L’economia circolare viene spesso confusa con la sola gestione e avvio a recupero dei rifiuti, che rappresenta in realtà solo una parte – benché importante – di un modello di sviluppo molto ampio, che parte dall’apice dei sistemi di produzione e consumo. Una ricerca di Ambiente Italia presentata oggi a Roma come risultato del lavoro del gruppo “Riciclo e recupero” del Kyoto club prova a dare conto di una prospettiva più ampia per quanto riguarda l’economia circolar nel nostro Paese.
Spaziando dalle azioni di prevenzione e riuso dei prodotti alle attività manifatturiere basate sui materiali di riciclo, dalle attività del ciclo idrico a quelle di servizio di noleggio e leasing, l’economia circolare italiana appare come un settore che dà lavoro a più di 575 mila persone e che vale oggi 88 miliardi di euro di fatturato e 22 di valore aggiunto, ossia l’1,5% del valore aggiunto nazionale; numeri che sostanzialmente equivalgono a quelli di tutto il settore energetico nazionale o di un settore industriale storico come quello dell’industria tessile, non molto distante dal valore aggiunto dell’agricoltura.
Lo studio, commissionato da Conai con i consorzi nazionali per il riciclo degli imballaggi (Cial, Comieco, Corepla, Ricrea) e dal Gruppo Cap, il gestore del servizio idrico della città metropolitana di Milano, sottolinea comunque che ad oggi nell’economia circolare italiana poco meno del 50% del valore aggiunto e circa il 35% degli occupati è riconducibile più specificamente alla filiera del riciclo, mentre la parte residua è essenzialmente riconducibile alla filiera della manutenzione e riparazione, con quote minori per ciclo idrico e servizi.
L’analisi di Ambiente Italia conferma come il nostro Paese possa già oggi vantare numerosi punti di forza – ma nessuna regia nazionale, purtroppo – nell’economia circolare. Secondo i dati raccolti l’economia italiana risulta in Europa l’economia più performante in materia di produttività d’uso delle risorse materiali: per ogni kg di risorsa consumata, l’Italia genera – a parità di potere d’acquisto (PPS) – 4 € di Pil, contro una media europea di 2,24 e valori tra 2,3 e 3,6 in tutte le altri grandi economie europee. Anche il tasso di “circolarità dell’economia”, fornito dalla misura del tasso di utilizzo di materia seconda rispetto alla materia prima, ci pone ai vertici europei, pur con un risultato che mostra tutti i suoi limiti: con il 18,5% di materia seconda sui consumi totali di materia l’Italia ha una prestazione largamente superiore alla media europea, il che la dice lunga sul quanto la nostra economia e quella dell’intera Unione siano lontane da un modello davvero circolare. Si tratta di una realtà che non solo pratichiamo, ma anche conosciamo ancora troppo poco.
Il rapporto di Ambiente Italia riconosce ad esempio che il vero motore dell’economia circolare e soprattutto della filiera del riciclo è l’industria manifatturiera, ma andando a indagare l’effettivo impiego di materie seconde nei propri cicli produttivi non ha potuto che basarsi su stime: «La nostra stima – con inevitabile semplificazione, talora giustificatamente, in altri casi forzando l’effettiva realtà del mercato – ha attribuito le grandezze economiche proporzionalmente alla quantità di materia seconda impiegata rispetto al prodotto del settore […] Purtroppo, l’aleatorietà di alcuni dati ci ha permesso di considerare solo l’impiego produttivo di circa 33 milioni di tonnellate di materia rispetto alle 46 milioni di tonnellate lavorate al netto delle esportazioni. Non sono state considerate neanche gli impieghi (minori, ma non irrilevanti) cosiddetti “open loop”, cioè in distinte filiere produttive rispetto a quelle originarie».
Il vero problema è che le buone performance registrate dall’economia circolare nazionale difettano di una regia nazionale che possa mettere pienamente a frutto le potenzialità del Paese: secondo Ambiente Italia «l’economia italiana risulta in Europa l’economia più performante in materia di produttività d’uso delle risorse materiali e di circolarità di materia. Non è un risultato ovvio, né verosimilmente percepito. Eppure, è un risultato che si conferma nel tempo e che, per certi versi, si accelera. Anche se sembra più il risultato di una fortunata combinazione di spinte e necessità dell’economia e di comportamenti personali, piuttosto che l’esito consapevole di politiche e culture pubbliche e private».
Il precedente Governo nazionale aveva iniziato a metterci una toppa predisponendo il documento Verso un modello di economia circolare per l’Italia, con l’obiettivo di fornire un inquadramento generale dell’economia circolare nonché di definire il posizionamento strategico del nostro Paese sul tema. Compito che ha però lasciato al Governo successivo, ovvero quello in carica, se e quando vorrà impegnarsi su questa strada. Al momento siamo lontani, e le esigenze dell’economia circolare rimangono inascoltate.
«Riteniamo che occasioni come la presentazione di questo studio possono rappresentare un ulteriore momento di confronto per evidenziare – commenta Andrea Bianchi, direttore area Politiche industriali di Confindustria – come sia opportuno porre in essere il giusto contesto normativo, tecnologico-impiantistico ed economico per “chiudere il cerchio”, affinché i nuovi obiettivi definiti a livello europeo e che l’Italia si dovrà traguardare siano uno stimolo a migliorare ulteriormente tali performance, confermando l’auspicio contenuto nel rapporto presentato oggi, ovvero che lo sviluppo dell’economia circolare comporta necessariamente una grande trasformazione industriale».
L. A.
Fonte: Greenreport