Articoli

Plastica compostabile: Biorepack e Assobioplastiche rispondono a Greenpeace che a sua volta controreplica

Negli ultimi giorni Greenpeace Italia ha pubblicato una indagine volta a sottolineare le criticità presenti nella filiera della plastica compostabile poichè, secondo quanto emerso nell’indagine pubblicata in esclusiva sul sito www.ilfattoquotidiano.it nell’ambito della campagna “Carrelli di plastica”, sono presenti una serie di problemi riguardanti soprattutto la corretta gestione di questi rifiuti che in Italia vengono conferiti nell’umido. Secondo Greenpeace queste bioplastiche vengono trattate in impianti anaerobici dove difficilmente vengono poi degradate mentre la restante parte finisce in siti di compostaggio, ma anche qua la degradazione non è garantita poiché non è detto che rimangano nel sito abbastanza a lungo. Tra i soggetti intervistati da Greenpeace vi è anche il direttore tecnico di Biorepack, Ing. Carmine Pagnozzi, che ha inoltre dichiarato: “In alcuni impianti gli imballaggi in bioplastica sono vittime del processo di vagliatura. La fase di vagliatura nasce per eliminare i materiali non compostabili che purtroppo finiscono nella frazione organica, compromettendone la qualità. Peccato però che in questo modo, insieme ai materiali non conformi, la vagliatura porti via anche l’umido, fino a un terzo del totale, nonché le bioplastiche”.

Greenpeace ha poi precisato che gli shopper in bioplastica compostabile non rientrano tra i manufatti con problemi di degradazione negli impianti riconoscendo il valore positivo della legge nazionale sugli shoppers,

Tra i vari punti che ha evidenziato Greenpeace vi era però anche la logica del monouso che viene comunque mantenuta anche in favore della sostituzione delle plastiche rigide non compostabili con quelle compostabili (ad es. le stoviglie monouso). Si tratta delle stesse perplessità condivise dall’Europa nel parere circostanziato recentemente inviato al governo italiano e che espone l’Italia al rischio di una procedura d’infrazione. Assobioplastiche e Biorepack hanno risposto a questa indagine con una pubblicazione a pagamento nei quotidiani nazionali più diffusi dove hanno specificato che nessun attore della filiera delle bioplastiche ha mai promosso la sostituzione 1:1 della plastica monouso con la bioplastica monouso ma si è solo cercato di andare a trovare la soluzione per problemi riguardanti i materiali non compostabili già presenti nell’umido e che “gli impianti di riciclo organico che non trattano le bioplastiche compostabili rappresentano poche eccezioni dovute a particolari sistemi di pretrattamento”..

Biorepack e Assobioplastiche sostengono infine che, invece di avviare una crociata contro le bioplastiche occorrerebbe “interrogarsi su quegli impianti che se seguono cicli di riciclo organico troppo brevi, hanno un umido troppo inquinato da materiali non compostabili (e quindi finiscono per scartare anche le matrici compostabili), così come su quegli impianti che hanno scientemente deciso, per massimizzare la produzione di biogas, di selezionare solo alcune matrici da trattare, scartando tutto il resto, sia umido che bioplastiche”.

Nell’articolo dello scorso 21 maggio 2022, pubblicato sul Fatto quotidiano a firma di Luisiana Gaita, è stato quindi chiesto al dott. Luca Mariotto, direttore del Settore Ambiente di UTILITALIA, l’associazione delle imprese pubbliche del settore, quanti siano in Italia gli impianti in grado di trattare efficacemente le plastiche compostabili. Secondo il direttore : “È difficile quantificare quanti siano, sicuramente meno della metà, ma la legge di questo non ha tenuto conto”.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

La Commissione Ue contro il recepimento della direttiva Sup. Ora l’Italia è rischio infrazione

Per l’Italia continuano i problemi in merito al recepimento della direttiva UE che mira a ridurre la dispersione della plastica monouso nell’ambiente. Dopo la richiesta inascoltata di una sospensione del provvedimento legislativo, il rischio di una procedura d’infrazione si fa più concreto

Pronti… via? Anzi no, meglio un rinvio. Da oggi è in vigore il recepimento italiano della direttiva Sup, la normativa comunitaria del 2019 che punta alla “riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente”. Con il decreto legislativo n. 196 dell’8 novembre 2021 il nostro Paese, dopo più di due anni di rinvii e polemiche, si è finalmente adeguato al dettato comunitario. Lo ha fatto, però, inserendo una serie di commi “aggiuntivi” che la Commissione europea qualche settimana fa ha contestato con una comunicazione ufficiale al ministero dello Sviluppo economico. Il “parere circostanziato” firmato dal commissario europeo al Mercato interno Thierry Breton, che EconomiaCircolare.com ha avuto modo di visionare, è una bocciatura netta e lunga due pagine e mezzo, che analizza alcuni passaggi del provvedimento italiano soffermandosi sulle singole parole e definizioni.

Uno dei focus della bocciatura di Bruxelles è il tentativo del nostro Paese di salvaguardare il settore delle bioplastiche. “La direttiva Sup non prevede alcuna eccezione per la plastica biodegradabile – scrive in maniera esplicita il commissario Breton -. Al contrario, prevede esplicitamente che la definizione di ‘plastica’ contenuta nella direttiva dovrebbe comprendere la plastica a base organica e biodegradabile, a prescindere dal fatto che siano derivati da biomassa o destinati a biodegradarsi nel tempo. Pertanto, tale plastica biodegradabile è considerata come qualsiasi altra plastica“.

In teoria, quando la Commissione emana un parere circostanziato, dovrebbe conseguirne “la proroga dei termini del periodo di astensione obbligatoria dall’adozione del provvedimento notificato, che risultano ora fissati al 23 marzo 2022”.  In pratica il governo italiano, avrebbe dovuto sospendere l’attuazione del provvedimento che invece da oggi è pienamente vigente. Si presume, allora, che utilizzerà questo arco temporale per riaffermare le proprie ragioni nelle sedi europee.
Ma quali sono nel concreto le parti del decreto legislativo di recepimento che la Commissione contesta? E quali possono essere le conseguenze di una bocciatura così netta?

Leggi anche: Stop alla plastica monouso? Ecco cosa prevede l’adeguamento italiano alla direttiva Sup

I motivi della bocciatura 

Il parere della commissione entra nel dettaglio della definizione di plastica monouso e contesta alle norme entrate in vigore oggi di aver escluso da tale definizione i “rivestimenti in plastica aventi un peso inferiore al 10 per cento rispetto al peso totale del prodotto, che non costituiscono componente strutturale principale dei prodotti finiti”. Un’interpretazione tutta italiana, conferma il documento della Commissione, la quale ricorda che le definizioni condivise a livello europeo della plastica monouso “non impongono alcuna soglia per la quantità di plastica da includere nel prodotto affinché possa essere considerato un prodotto di plastica monouso. Non vi sono altri elementi nella direttiva, né nella storia legislativa, che indichino che tali definizioni dovrebbero essere interpretate in modo tale da richiedere una percentuale minima di contenuto di plastica per costituire un prodotto di plastica monouso”. E, secondo il parere, la misura italiana può incidere e modificare arbitrariamente il mercato interno “dato che tale soglia del 10% esclude dal campo di applicazione delle norme sui prodotti di plastica monouso determinati prodotti che sarebbero inclusi in tale ambito senza tale soglia quantitativa”.

Allo stesso modo, come accennato, viene respinto al mittente anche il tentativo di salvaguardare il settore delle bioplastiche dal divieto di immissione sul mercato dei prodotti monouso. A tal proposito, infatti, l’Italia ha previsto, con il paragrafo 3 dell’art. 5 del decreto legislativo dello scorso novembre, “un elenco di eccezioni per taluni prodotti biodegradabili e compostabili per i quali la materia prima rinnovabile raggiunge una certa percentuale” (il 40% per i primi due anni, il 60% a partire dal 2024). Eccezioni che, secondo la Commissione, non si possono applicare perché la plastica biodegradabile è comunque da considerare una plastica a tutti gli effetti. Ecco perché “la Commissione ritiene che tale disposizione del progetto notificato, prevedendo le eccezioni che consentono l’immissione sul mercato di prodotti di plastica biodegradabili e compostabili monouso elencati nella parte B dell’allegato, in particolare bastoncini cotonati, posate, piatti, cannucce, agitatori per bevande, ecc., sia contraria all’articolo 5 della direttiva Sup”.

Bocciato, poi, anche il credito d’imposta previsto dallo Stato italiano verso le imprese che promuovono l’acquisto di materiali e prodotti alternativi alla plastica monouso: anche in questo caso, infatti, il legislatore italiano ha sì inserito correttamente le alternative riutilizzabili ma anche, nuovamente, la plastica biodegradabile e compostabile. Che invece, secondo il parere della Commissione, rischia di incentivare la sostituzione della plastica monouso con quella biodegradabile. In un meccanismo tutt’altro che circolare. “La direttiva invita inoltre gli Stati membri a rispettare con tali misure la gerarchia dei rifiuti – si legge ancora nel documento – favorendo così la prevenzione, il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero prima dello smaltimento. La Commissione ritiene che la misura che, invece di prevenire, promuove finanziariamente l’uso di un determinato prodotto di plastica monouso, sia esso biodegradabile (in quanto plastica ai sensi della direttiva Sup), e non il riutilizzo, il riciclaggio o il recupero, sia contraria all’articolo 4 e agli obiettivi della direttiva Sup”.

Leggi anche: “La direttiva Sup considera il mare una discarica”. Le ragioni di Marco Versari, Assobioplastiche

Gli scenari dopo il parere della Commissione

E ora che succede? Prima di arrivare a questa bocciatura, il governo italiano, come ricorda la stessa Commissione, aveva provato a difendere le proprie ragioni (e quelle di un intero settore). “Le spiegazioni fornite dalle autorità italiane in risposta alla richiesta di informazioni supplementari della Commissione del 14 ottobre 2021 in merito al regime specifico introdotto per i prodotti di plastica biodegradabili e compostabili non modificano tale valutazione” scrive la Commissione, che poi aggiunge di non ravvisare “alcuna base giuridica per l’Italia per introdurre deroghe speciali”.  Sì all’adeguamento, insomma, no alle interpretazioni “all’italiana”.

Ora toccherà al governo e al ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani difendere le ragioni della scelta racchiusa nel decreto legislativo approvato a novembre, con la consapevolezza che le “correzioni” implicitamente evocate dall’Unione europea potrebbero produrre notevoli danni economici per l’industria della carta e per la filiera delle bioplastiche, già in difficoltà a causa dell’aumento dei prezzi dell’energia e dell’assenza di materie prime. D’altro canto le questioni emerse in quest’ultima missiva indirizzata al nostro esecutivo erano note da tempo, ma si è preferita la via della forzatura a quella dell’adeguamento per tempo. Non resta che sperare che si riesca, nelle prossime occasioni  di confronto, a evidenziare le specificità italiane nella gestione post consumo degli oggetti monouso messi sotto i riflettori da Bruxelles perché non rientranti nella previsione della direttiva.

Le opzioni, in ogni caso, sembrano limitate, dato che le precedenti prove di dialogo sono tutte falliteCome ricordava a Economiacircolare.com l’esperto Paolo Azzurro, consulente tecnico in materia di rifiuti e di economia circolare, l’Italia ha avuto molto tempo e molti tavoli a disposizione per provare a modificare la direttiva già durante la stesura in sede comunitaria (le direttive, come è noto, sono soggette a discussioni ampie e che si protraggono per anni). Nonostante la ferma opposizione degli interlocutori comunitari, il nostro Paese ha scelto di andare avanti sulla propria strada.
Probabilmente il nostro Paese avrebbe potuto intervenire anche a decreto approvato, prima dell’entrata in vigore effettiva, perché la missiva firmata dal commissario Breton risale a qualche giorno prima di Natale 2021. il governo avrebbe potuto forse prorogare in extremis l’entrata in vigore della nuova normativa, magari prorogandolo al 23 marzo 2022 in applicazione della procedura comunitaria in caso di emissione di pareri circostanziati. Non averlo fatto potrebbe procurare ulteriori problemi al nostro Paese.

Ora le ipotesi sono due: o l’Italia, alla luce delle nuove comunicazioni arrivate da Bruxelles, modifica con il primo provvedimento utile il sui decreto legislativo di recepimento della direttiva Sup, oppure potrebbe aprirsi una procedura d’infrazione nei confronti di uno Stato che ha scelto di non adeguarsi alle (ripetute) indicazioni giunte dalle autorità europee.

Fonte: EconomiaCircolare.com

Direttiva SUP: da oggi stop a (quasi tutta) la plastica monouso

Oggi 14 gennaio entra in vigore in Italia la direttiva SUP (Single Use Plastic), redatta nel 2019 dalla Commissione Europea.

Raccontata per lo più dalla stampa come la direttiva “che vieta dieci prodotti plastici”, in realtà è un provvedimento ben più complesso, che nelle intenzioni traccia una linea di non ritorno per la plastica monouso. Direttiva che ha da subito scatenato reazioni entusiastiche anche da chi sarebbe stato colpito da essa. È il caso, ad esempio, di PlasticsEurope, associazione Europea dei Produttori di materie plastiche, che all’approvazione della norma dichiarava “L’Associazione Europea delle materie plastiche condivide pienamente l’obiettivo di prevenire la dispersione dei rifiuti di qualsiasi tipo, compresi quelli di plastica, e accoglie con favore l’approvazione della direttiva SUP da parte del Parlamento europeo. In particolare, PlasticsEurope valuta positivamente il riconoscimento del fatto che la lotta contro i rifiuti è una responsabilità condivisa tra autorità competenti, produttori e consumatori. Solo con il coinvolgimento di tutte le parti interessate, i produttori di materie plastiche possono trovare soluzioni percorribili[1].

L’Italia però ha recepito la direttiva in maniera difforme dalla versione europea. Il testo, infatti, esclude dalla definizione di “plastica monouso” tutti i polimeri naturali non modificati chimicamente. Una specifica che non compare nelle norme approvate da Parlamento e consiglio UE. Insomma, si salvano le bioplastiche, di cui il nostro Paese è grande produttore. Nel contempo il provvedimento nazionale introduce un impegno di riduzione al 2026 per prodotti come tazze o bicchieri per bevande – inclusi tappi  e coperchi – e i contenitori per alimenti rimasti fuori dalla pretende gruppo.

Il recepimento “personalizzato” e l’esclusione dai divieti di materiali espressamente compresi nella direttiva Europea espongono il nostro Paese al rischio di un procedimento di infrazione e, a tendere, a quello di sanzioni. Le reazioni non si sono fatte attendere, e il mondo dell’ambientalismo ha preso posizioni decisamente differenziate sulla questione.

Greenpeace, che nei mesi scorsi aveva pubblicato il rapporto “Dalla riduzione del monouso in plastica alla riduzione del monouso: indicazioni per il recepimento della direttiva SUP in Italia” in cui venivano esaminate le azioni intraprese da altri Paesi nel quadro delineato dalle politiche comunitarie e dal quale erano scaturite una serie di proposte condivise con il Ministero della Transizione ecologica durante le fasi consultive in merito al recepimento della direttiva SUP, che tuttavia non hanno avuto seguito, sottolinea il rischio di infrazione. “La nuova legge europea rappresenta un’importante vittoria per l’ambiente e un primo passo importante per contrastare l’abuso di plastica usa e getta, ma l’Italia conferma ancora una volta di avere un approccio miope che favorisce solo una finta transizione ecologica. La direttiva offriva l’opportunità di andare oltre il monouso e la semplice sostituzione di un materiale con un altro, promuovendo soluzioni basate sul riutilizzo. Un obiettivo che è stato volutamente ignorato dal nostro Paese. Ci auguriamo che nelle prossime settimane l’Europa imponga al governo italiano le modifiche necessarie affinché prevalga la tutela dell’ambiente e della collettività anziché i meri interessi industriali. Purtroppo c’è il concreto rischio che venga avviato l’iter per una procedura d’infrazione”, afferma Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia (ecodallecitta.it).

Più morbida la posizione di Legambiente: nelle parole del Presidente Stefano CiafaniMa nella lotta alla plastica monouso non bisogna abbassare la guardia. In queste ultime settimane stanno comparendo prodotti in plastica molto simili a quelli monouso ma “riutilizzabili” per un numero limitato di volte, come indicato nelle confezioni. Un modo, a nostro avviso, per aggirare il bando e che porta ad un incremento dell’utilizzo di plastica piuttosto che ad una sua diminuzione” (rinnovabili.it) sottolinea i tentativi di trovare scappatoie da parte di alcuni operatori del mercato, ma che condivide l’atteggiamento del Governo sulle bioplastiche.
La Commissione ora è chiamata a esprimere un parere, e verosimilmente chiederà al nostro Paese di adeguarsi”, prevede Mauro Albrizio, responsabile dell’ufficio europeo di Legambiente dall’apertura nei primi anni Duemila. “Se da una parte è vero che la direttiva non è stata recepita in maniera rigorosa – prosegue Albrizio – lo è altrettanto che il testo lascia alcuni margini interpretativi, una zona grigia all’interno della quale è possibile negoziare. Bisogna aspettare la posizione ufficiale dell’Unione europea. La normativa europea non è troppo rigida, ma non tiene conto di alcune specificità nazionali. Dal mio punto di vista, l’Italia ha operato la scelta più efficace ed efficiente, sia dal punto di vista negoziale sia da quello ambientale. Per risolvere drasticamente il problema plastica è necessario incentivare l’ecodesign, ridurre gli imballaggi plastici e utilizzare plastiche biodegradabili: solo noi, a livello continentale, disponiamo di una raccolta dell’organico che le valorizza” (wired.it). 

“La deroga sulle bioplastiche compostabili inserita nel decreto di recepimento della direttiva SUP non deve tradursi nella sostituzione ‘1 a 1’ dei prodotti in plastica tradizionale”. Luca Bianconi, presidente di Assobioplastiche, non presta il fianco a chi etichetta la misura in vigore da domani come una mano tesa al ‘greenwashing’ dell’usa e getta. Anche se questo significa in parte remare contro gli interessi del settore che rappresenta. “Tutto il monouso, compreso quello in bioplastica, va ridotto significativamente”, spiega a Ricicla.tv, ricordando come in passato l’Italia abbia dato prova di saperlo fare prima e meglio degli altri, anche a costo di mettersi contro l’Ue. Come quando nel 2011 scegliemmo di mettere al bando i sacchetti monouso di plastica non biodegradabile o compostabile. “Quella scelta – ricorda Bianconi – portò alla riduzione di oltre il 60% dei volumi immessi sul mercato”. (riciclanews.it)
(SC)


[1] https://www.plasticseurope.org/it/newsroom/press-releases/27032019-e-stata-adottata-la-direttiva-sulla-plastica-monouso-sup

Votato in Consiglio dei ministri il recepimento della Direttiva SUP

Nel Consiglio dei Ministri di giovedì 5 agosto 2021 è “stato votato il recepimento della cosiddetta ‘Direttiva SUP’ (Single Use Plastics), la norma europea volta a prevenire e ridurre l’impatto sull’ambiente di determinati prodotti in plastica e a promuovere una transizione verso un’economia circolare, introducendo un insieme di misure specifiche, compreso un divieto comunitario sui prodotti in plastica monouso ogni qualvolta siano disponibili alternative”. E’ quanto annuncia il Ministero della Transizione Ecologica.

Il CdM ha approvato in totale dodici decreti legislativi di attuazione di norme europee, tra cui quello di attuazione della Direttiva SUP (direttiva UE 2019/904 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 giugno 2019).

Secondo quanto si apprende, il decreto legislativo esclude dal divieto di immissione sul mercato i prodotti plastici monouso realizzati in materiale biodegradabile e compostabile (certificato conforme allo standard europeo della norma UNI EN 13432 o UNI EN 14995), con percentuali di materia prima rinnovabile uguali o superiori al 40 per cento, o superiori almeno al 60% dal 2024, secondo specifiche condizioni. Questo qualora non vi siano alternative riutilizzabili ai prodotti di plastica monouso destinati ad entrare in contatto con alimenti (Parte B dell’Allegato) e in altre specifiche condizioni.

Esclude inoltre i rivestimenti in plastica inferiori al 10% del peso totale del manufatto, che invece sono inclusi nella direttiva europea.

La messa al bando non sarà comunque immediata: la norma permette di smaltire le giacenze di piatti, posate e cannucce fino ad esaurimento scorte, a condizione che ne sia dimostrata la data di produzione o di acquisto prima dell’entrata in vigore del decreto.

Come riporta Il Sole 24 Ore la norma prevede anche misure di sostegno allimprese per la loro “riconversione” da plastica tradizionale a prodotti consentiti e incentivi sotto forma di credito d’imposta per la produzione di manufatti riutilizzabili o realizzati in materiale biodegradabile o compostabile. Sono state inasprite le sanzioni per chi non rispetterà il dettato legislativo.

Fonte: Eco dalle Città

Direttiva SUP: trattative in Europa

Nei giorni scorsi si è acceso il dibattito sul recepimento da parte dell’Italia della Direttiva Europea “Single Use Plastic” (SUP).
Il testo originale della direttiva Europea introduce limiti, vincoli e restrizioni per numerosi articoli usa e getta in plastica, con l’obiettivo di ridurne l’utilizzo e la dispersione in ambiente. Dieci tipologie – per le quali, secondo Bruxelles, esistono già oggi valide alternative – non potranno più essere messe in commercio a partire dal 3 luglio: bastoncini cotonati per la pulizia delle orecchie, piatti e posate (forchette, coltelli, cucchiai, bacchette), cannucce, mescolatori per bevande e aste per palloncini, i contenitori con o senza coperchio (tazze, vaschette con relative chiusure) in polistirene espanso (EPS) per consumo immediato o asporto di alimenti senza ulteriori preparazioni, nonché contenitori per bevande e tazze sempre in EPS. La Direttiva SUP introduce la responsabilità estesa del produttore per altri manufatti monouso, con accollamento dei relativi costi di raccolta e smaltimento – come nel caso dei filtri di sigarette e delle reti da pesca – e vengono fissati target di raccolta e riciclo più restrittivi per le bottiglie: 77% di quanto immesso al consumo entro il 2025 e 90% al 2029; inoltre, a partire dal 2025, le bottiglie in plastica dovranno contenere un minimo del 25% di materiale riciclato, valore che salirà al 30% nel 2030. Inoltre la direttiva Europea sottolinea come nei divieti siano comprese le plastiche biodegradabili (art. 11 “La plastica fabbricata con polimeri naturali modificati o con sostanze di partenza a base organica, fossili o sintetiche non è presente in natura e dovrebbe pertanto rientrare nell’ambito di applicazione della presente direttiva. La definizione adattata di plastica dovrebbe pertanto coprire gli articoli in gomma a base polimerica e la plastica a base organica e biodegradabile, a prescindere dal fatto che siano derivati da biomassa o destinati a biodegradarsi nel tempo. “)

Proprio l’inserimento delle bio-plastiche fra i divieti ha aperto il dibattito Italiano: il nostro Paese è estremamente all’avanguardia nello studio e nella realizzazione dei bio-polimeri, che rappresentano un settore in forte espansione: nel 2020, in Italia l’industria delle plastiche biodegradabili e compostabili è rappresentata da 278 aziende, suddivise in produttori di chimica e intermedi di base (4), produttori e distributori di granuli (21), operatori di prima trasformazione (193), operatori di seconda trasformazione (60), con 2.775 addetti dedicati, oltre 110.000 tonnellate di manufatti compostabili prodotti e un fatturato complessivo di 815 milioni di euro. A tutela del settore la direttiva Europea è stata recepita esentando dai divieti i manufatti in bioplastica biodegradabile e compostabile certificata. Su questo punto si è aperta la discussione che vede spaccato anche il fronte ambientalista: Legambiente a favore dell’esclusioe e GreenPeace contrario.

In questo momento risultano, in vista del recepimento definitivo (entro il 3 luglio), fitti contatti fra Governo Italiano e Comunità Europea, che dopo i primi pareri assolutamente contrari all’esenzione delle bio-plastiche, hanno aperto a nuove valutazioni. L’annuncio arriva dal Ministro Cingolani su Radio 24: “l’accordo è che si continueranno a rivedere le linee guida in funzione delle nuove soluzioni tecnologiche, ed è stato riconosciuto il fatto che, se ho un bicchiere di carta che è il 90% carta e il 10% plastica, non me lo pesano come tutto plastica, ma riconoscono che c’è solo il 10%”.

Valutazioni confermate dalla UE, che in una nota scrive “Nel contesto del nuovo piano d’azione per l’economia circolare, la Commissione prevede di sviluppare nel 2022 un quadro politico sull’uso della plastica biodegradabile o compostabile, basato su una valutazione delle applicazioni in cui tale uso può essere vantaggioso per l’ambiente, e dei criteri per tali applicazioni. Nel complesso, è importante sottolineare che in un’economia circolare il riutilizzo deve essere prioritario rispetto all’uso singolo, ed è anche su questo che la Commissione si concentrerà nella sua definizione delle politiche nei prossimi anni.” (SC)

Novamont e Iren firmano accordo per bioeconomia circolare

Novamont e Iren hanno siglato un accordo di collaborazione triennale nel campo dei sistemi integrati di raccolta dei rifiuti con l’obiettivo di ridurre alla fonte i rifiuti non riciclabili e dare piena attuazione agli obiettivi della bioeconomia circolare.

Le due aziende si impegnano allo sviluppo di progetti specifici per la gestione ottimizzata di manufatti e imballaggi compostabili, il loro recupero e valorizzazione insieme alla frazione organica dei rifiuti solidi negli impianti di trattamento Iren.

Accanto all’istituzione di un tavolo tecnico di lavoro finalizzato allo scambio bilaterale di informazioni, conoscenze ed esperienze, l’accordo prevede l’organizzazione di flussi dedicati (anche di natura sperimentale) di frazione organica con prodotti compostabili monouso provenienti da mercati, esercizi di ristorazione e grandi eventi.

Diversi i progetti inseriti nell’accordo, fra cui la realizzazione di un modello tecnico-economico di gestione efficiente e ambientalmente sostenibile degli scarti generati durante le fasi di pretrattamento della frazione organica all’interno degli impianti di digestione anaerobica e compostaggio, mediante tecnologie di selezione ottica, massimizzandone il recupero.

Di particolare importanza sarà anche la promozione di attività congiunte per diffondere l’utilizzo del compost, frutto del processo di riciclo della frazione organica, e valorizzare al meglio la cultura del compostaggio, in collaborazione con la Fondazione RE SOIL.

Secondo Catia Bastioli, amministratore delegato di Novamont, “In linea con il Green Deal, la bioeconomia circolare, che vede nel suolo il suo punto di partenza e di arrivo, è uno strumento essenziale per risolvere i problemi di inquinamento e di sfruttamento eccessivo delle risorse, imparando a fare di più con meno. In questa prospettiva, la partnership con Iren sarà strategica non solo per migliorare la gestione dei rifiuti, ma soprattutto per chiudere il ciclo del carbonio, rigenerare i suoli e decarbonizzare l’atmosfera, sperimentando soluzioni nuove in una logica di learning by doing”.

“L’accordo siglato con Novamont – dichiara il presidente di Iren Renato Boero – costituisce un esempio concreto di ricerca e innovazione applicate agli asset impiantistici di Gruppo, elementi fondamentali per raggiungere gli sfidanti obiettivi di sostenibilità ambientale ed economia circolare che Iren ha inserito nel proprio piano industriale al 2025. L’innovazione e l’attenzione rivolta all’economia circolare sono due aspetti distintivi della nostra visione e questa collaborazione con Novamont, attraverso la ricerca e la sperimentazione sul campo, valorizza ulteriormente il ruolo di Iren come attore strategico della Green Economy”.

Fonte: Eco dalle Città

Monouso in bioplastica a Cortina 2021

Durante i Campionati del mondo di sci alpino Cortina 2021, in programma da oggi fino al 21 febbraio a Cortina d’Ampezzo, per il consumo di pasti di atleti, media, staff e volontari verranno impiegate stoviglie monouso in Mater-Bi, la bioplastica biodegradabile e compostabile di Novamont. All’iniziativa, a fianco del produttore novarese di biopolimeri, parteciperanno i partner EcozemaILIP e IMB.

Una volta usate, le stoviglie in bioplastica verranno smaltite nei punti di raccolta differenziata del rifiuto organico, presidiati da volontari, per poi essere conferite nell’impianto di compostaggio Maserot di Santa Giustina (BL).

L’adozione dei monouso in bioplastica rientra tra le linee guida fissate dal comitato organizzatore insieme con acquisti  secondo criteri green, alimenti e bevande provenienti dal territorio ampezzano o sostenibili, raccolta differenziata, compensazione delle emissioni dirette di CO2 attraverso progetti di agricoltura e forestazione, adozione degli standard internazionali ISO 20121:2012 e ISO 14064-1:2019, certificazione di sostenibilità da parte di organismi indipendenti esterni, rendicontazione agli stakeholder con indicatori numerici.

A Cortina 2021 sarà anche adottato il Contatore ambientale di Conai, strumento di misurazione dei benefici generati dal sistema integrato di gestione dei rifiuti urbani, del minore impatto rispetto al conferimento indifferenziato in discarica e della sua trasformazione in un nuovo oggetto, già sperimentato a Expo Milano 2015. Il modello si basa sul Life Cycle Assessment (LCA) per valutare gli impatti ambientali attraverso l’identificazione dei consumi energetici e dei materiali, dei mezzi e delle apparecchiature usate, e conseguentemente delle emissioni rilasciate in atmosfera.

Fonte: Polimerica

Biorepack: il settimo Consorzio di CONAI muove i primi passi

CONAI annuncia che il settimo consorzio del sistema, Biorepack, muove i primi passi. Dopo l’approvazione del suo statuto, arrivata con la pubblicazione del decreto costitutivo in Gazzetta Ufficiale il 14 novembre 2020, il Consorzio Nazionale Imballaggi inizia a dare concretezza alle disposizioni ministeriali.

CONAI diventa così il primo sistema di responsabilità estesa del produttore in Europa ad avere al suo interno un Consorzio dedicato alla valorizzazione degli imballaggi in bioplastica.

«Siamo felici di dare ufficialmente il benvenuto a Biorepack all’interno del sistema consortile» afferma il presidente CONAI Luca Ruini. «Vi aggiungo la soddisfazione di veder nascere il nostro settimo Consorzio durante il primo semestre del mio mandato. È importante far capire al cittadino che il fine vita della bioplastica ha bisogno di una corretta gestione, come quello di tutti gli altri materiali di imballaggio. Siamo pronti a lavorare anche su questo importante e delicato tema di educazione e sensibilizzazione ambientale».

«Il consorzio Biorepack è orgoglioso di entrare a far parte del sistema CONAI» dichiara il presidente Marco Versari. «In Europa siamo il primo consorzio per il riciclo organico degli imballaggi in bioplastica: un primato che consente al nostro Paese di rafforzare la leadership nel settore della bioeconomia circolare e della valorizzazione della frazione organica dei rifiuti solidi urbani. Lavoreremo fianco a fianco con il CONAI affinché i cittadini possano conferire correttamente nella raccolta dell’umido domestico gli imballaggi in bioplastica consentendo così ai Comuni e al sistema Paese di incrementare sempre più i risultati di riciclo, compreso quello organico».

Le adesioni a Biorepack sono già aperte. E dal 1° gennaio 2021 sarà disponibile la modulistica dichiarativa CONAI aggiornata, con evidenza delle tipologie di imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile.

Per plastica biodegradabile e compostabile si intende quella certificata conforme alle norme europee armonizzate UNI EN 13432:2002 e/o UNI EN 14995:2007 da parte di organismi accreditati  (art. 1, comma 1, dello Statuto di Biorepack).

Il mercato delle bioplastiche destinato a crescere del 36% nei prossimi 5 anni

I risultati dell’aggiornamento annuale dei dati di mercato delle bioplastiche europee (EUBP), presentati alla 15a conferenza EUBP, confermano la continua crescita dell’industria globale delle bioplastiche. “La nostra industria ha superato con successo le sfide poste dalla pandemia Covid-19 – dice François de Bie, Presidente di European Bioplastics – E anche le prospettive per le bioplastiche sono promettenti poiché si prevede che il mercato globale crescerà del 36% nei prossimi 5 anni ”. Insomma il nostro futuro e la nostra quotidianità saranno sempre più caratterizzati dalle bioplastiche che man mano andranno a sostituire le plastiche tradizionali a cominciare dal settore degli imballaggi.

 Il futuro delle bioplastiche

Per capire dove sta andando il mercato delle bioplastiche e quali prodotti l’industria sta realizzando torna utile lo studio di mercato “Bio-based Building Blocks and Polymers” condotto nel 2020 da nova-Institute dal quale si evince che la capacità di produzione globale di bioplastiche è destinata ad aumentare da circa 2,1 milioni di tonnellate nel 2020 a 2,8 milioni di tonnellate nel 2025. Numeri importanti dai quali emerge che i biopolimeri innovativi, come il PP bio (polipropilene) e in particolare i PHA (poliidrossialcanoati), continuano a guidare questa crescita. Da quando i PHA sono entrati nel mercato, la quota di questa importante famiglia di polimeri ha continuato a crescere. Le capacità di produzione dovrebbero aumentare di quasi sette volte nei prossimi 5 anni. Anche la produzione di acido polilattico (PLA) continuerà a crescere grazie ai nuovi investimenti nei siti di produzione di PLA in Cina, Stati Uniti e in Europa. Attualmente, le plastiche biodegradabili rappresentano quasi il 60% delle capacità di produzione globale di bioplastiche. PHA e PLA sono a base biologica, biodegradabili e presentano un’ampia gamma di proprietà fisiche e meccaniche.

Le capacità di produzione del PP bio dovrebbero triplicare entro il 2025. Ciò è dovuto all’ampia applicazione del PP in un’ampia gamma di settori perché è un materiale molto versatile e che presenta eccellenti proprietà di barriera ed è una delle materie plastiche più diffuse e si attende, nei prossimi anni, l’arrivo sul mercato di una versione bio-based.

 Le plastiche a base biologica non biodegradabili

Le plastiche a base biologica non biodegradabili, comprese le soluzioni drop-in PE a base biologica e PET a base biologica (polietilene tereftalato), nonché PA a base biologica (poliammidi), rappresentano attualmente il 40% (0,8 milioni di tonnellate ) delle capacità di produzione globale di bioplastiche. Per il PE bio si prevede che nei prossimi anni saranno disponibili nuove capacità in Europa e Sud America. Al contrario, il PET a base biologica contribuirà solo in piccola parte alle capacità complessive. Le intenzioni di aumentare le capacità di produzione non sono state realizzate quasi al ritmo previsto negli anni precedenti. Invece, l’attenzione si è spostata sullo sviluppo del PEF (polietilene furanoato), un nuovo polimero che dovrebbe entrare nel mercato nel 2023. Il PEF è paragonabile al PET ma è completamente bio-based e presenta inoltre proprietà barriera superiori, che lo rendono un materiale ideale per bottiglie per bevande.

L’imballaggio rimane il campo di applicazione più ampio per le bioplastiche con quasi il 47 percento (0,99 milioni di tonnellate) del mercato totale delle bioplastiche nel 2020. I dati confermano anche che i materiali bioplastici sono già utilizzati in molti altri settori e il portafoglio di applicazioni continua a diversificarsi . Segmenti, come i beni di consumo o prodotti dell’agricoltura e dell’orticoltura, continuano ad aumentare la loro quota relativa.

In vista dello sviluppo della capacità regionale, l’Asia rimane un importante centro di produzione con oltre il 46% delle bioplastiche prodotte mentre un quarto della capacità produttiva si trova in Europa. Si prevede che questa quota crescerà fino al 28% entro il 2025. “Di recente, sono stati annunciati investimenti significativi dal nostro settore, anche nel cuore dell’Unione europea. L’Europa è destinata a diventare un produttore chiave di bioplastiche. Il materiale giocherà un ruolo importante nel raggiungimento di un’economia circolare. La produzione “locale per locale” accelererà l’adozione delle bioplastiche nel mercato europeo “, afferma Hasso von Pogrell, amministratore delegato di European Bioplastics.

Il consumo di suolo

La terra utilizzata per coltivare la materia prima rinnovabile per la produzione di bioplastiche è stimata in 0,7 milioni di ettari nel 2020 e continua a rappresentare lo 0,015% della superficie agricola globale di 4,7 miliardi di ettari. Nonostante la crescita del mercato prevista nei prossimi cinque anni, la quota di utilizzo del suolo per le bioplastiche aumenterà solo leggermente fino allo 0,02%. “Non ci stanchiamo di sottolineare che non esiste concorrenza tra materie prime rinnovabili per alimenti e mangimi e l’uso di bioplastiche”, afferma von Pogrell, “il 94% di tutta la terra coltivabile viene utilizzata per pascoli, mangimi e alimenti”.

Fonte: Eco dalle Città

Bioeconomia circolare: una tre giorni per fare il punto su plastiche rinnovabili, biodegradabili e compostabili

Dal 24 al 26 novembre la conferenza on line organizzata da Assobioplastiche, CNR, TICASS e Università degli Studi di Bologna nell’ambito del progetto europeo BIO-PLASTICS EUROPE, per parlare dello stato dell’arte della ricerca su materiali innovativi

Si parla tanto di bioeconomia circolare, di ecodesign, di fonti rinnovabili, di materiali innovativi ma a che punto siamo? L’Europa e l’Italia cosa stanno facendo? E con quali prospettive?

Sono solo alcuni dei quesiti cui si cercherà di dare risposta nel corso della conferenza organizzata da Assobioplastiche, CNR, TICASS e Università degli Studi di Bologna nell’ambito del progetto europeo BIO-PLASTICS EUROPE.

Finanziato dall’Unione Europea all’interno del programma Horizon 2020, il progetto affronta il tema delle soluzioni sostenibili per la produzione e l’uso di plastiche rinnovabili, biodegradabili e compostabili a tutela della qualità ambientale del mare e del suolo in Europa. 

22 tra centri di ricerca, università e imprese provenienti da 13 nazioni collaboreranno insieme fino al 30 settembre 2023 nella progettazione di prodotti innovativi e nell’analisi di modelli di business che facilitino strategie e soluzioni efficaci per l’utilizzo e il riciclo delle plastiche rinnovabili, biodegradabili e compostabili per i settori dell’imballaggio alimentare, dell’agricoltura, del foodservice e dei consumer goods, con una grande attenzione anche al tema della sicurezza dei materiali. Dal 24 al 26 novembre Assobioplastiche, CNR, TICASS e Università di Bologna faranno il punto in tre momenti successivi, dalle ore 09.20 alle ore 11.10:
– 24 novembre 2020: Bioeconomia circolare
– 25 novembre 2020: Applicazioni nel settore agrifood
– 26 novembre: Modelli di business per la sostenibilità.

La prima giornata sarà dedicata ad analizzare il quadro italiano della bioeconomia con, tra gli altri, l’intervento di Alfonso Pecoraro Scanio, presidente di Fondazione Univerde, di ISPRA, CIC-Consorzio Compostatori Italiani, AMIU e Cluster SPRING.

Il secondo giorno si focalizzerà su casi studio del settore agrifood: sfide nella produzione di packaging bio-based (con interventi dell’Istituto Italiano di Tecnologia, dell’Università di Milano e del CNA Genova) e produzione high-tech di film per uso agricolo (con interventi di Polyeur e Lirsa).

La conferenza si chiuderà il 26 novembre con il focus sui modelli di business per la sostenibilità. La giornata sarà coordinata dall’Università di Bologna e vedrà il coinvolgimento di aziende leader del settore, quali Novamont, Polycart, ILIP, UniCoop e Krill Design.

Il programma completo è consultabile all’indirizzo: http://www.assobioplastiche.org/eventi.html

La partecipazione è gratuita previa registrazione: http://www.assobioplastiche.org/partecipazioneevento.php 

Fonte: Eco dalle Città