Negli ultimi anni, il diritto ambientale italiano ha subito cambiamenti. Con l’ultima modifica al Decreto Legislativo 231/2001, approvata con il Decreto Legislativo 116/2025, si va verso regole più severe per le imprese. La riforma allarga il numero dei reati ambientali che possono rendere responsabile un’azienda e introduce punizioni più dure per chi non usa sistemi di controllo e prevenzione adeguati.
Da più di vent’anni, il Decreto 231 regola la responsabilità delle società e degli enti se dirigenti, dipendenti o collaboratori commettono reati per interesse o vantaggio dell’azienda. In pratica, se un’impresa guadagna da un reato commesso al suo interno, può essere sanzionata come se fosse colpevole, anche se il reato è stato commesso da una persona fisica.
Fino a poco tempo fa, questo valeva soprattutto per reati economici o societari, come corruzione, frodi o truffe allo Stato. Ora, il governo ha deciso di estendere questa responsabilità all’ambiente.
Con la riforma, nel Decreto 231 rientrano tutti i principali reati ambientali del Codice penale: inquinamento, disastro ambientale, gestione illegale di rifiuti, traffico di sostanze pericolose, abbandono o scarico abusivo di sostanze inquinanti, e anche violazioni su bonifiche, emissioni o protezione della fauna. Se un’impresa o un suo appaltatore commette uno di questi reati, l’azienda può subire sanzioni economiche, ma anche il blocco delle attività, il divieto di fare affari con la pubblica amministrazione o la perdita di licenze ambientali.
Le sanzioni economiche sono state aumentate, arrivando fino a 1,5 milioni di euro, a seconda della gravità del reato e della grandezza dell’impresa. La cosa più importante è che le nuove regole rendono più difficile evitare la responsabilità. Per dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il reato, le imprese devono avere un modello organizzativo e gestionale (MOG) efficace, aggiornato e adatto ai rischi ambientali.
Ogni impresa dovrà valutare i rischi ambientali delle sue attività — dal consumo di risorse al trattamento dei rifiuti — e aggiungere al proprio modello 231 controlli, formazione, monitoraggio e segnalazione. Dovrà anche nominare un Organismo di Vigilanza (OdV) con competenze ambientali, che verifichi il rispetto delle regole e intervenga in caso di problemi.
L’obiettivo è rendere la tutela ambientale parte della gestione aziendale, non solo un obbligo formale. Le imprese, pubbliche o private, devono mettere la protezione dell’ambiente nella loro strategia gestionale, come fanno con la sicurezza sul lavoro.
Questa riforma è anche un segnale politico: lo Stato considera l’ambiente un bene primario e sposta la responsabilità del danno su chi lo causa e su chi non lo previene. Questo aiuta le aziende virtuose, che investono in controlli e sistemi di gestione certificati (come ISO 14001 o EMAS), e penalizza quelle che non lo fanno.
Per molte imprese italiane, soprattutto quelle di medie dimensioni, adeguarsi al nuovo Decreto 231 sarà una sfida impegnativa e richiederà investimenti in formazione, consulenza legale e revisione dei processi interni. Ma i vantaggi sono tanti: evitare sanzioni, migliorare la reputazione e ottenere un vantaggio nei bandi pubblici e nelle forniture sostenibili.
La prevenzione dei reati ambientali non è più una scelta, ma un obbligo di legge, e chi non si adegua rischia sanzioni e l’esclusione dal mercato. La sostenibilità entra a far parte del diritto penale d’impresa.