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Imballaggi in plastica: un incubo per l’industria del riciclo

L’enorme varietà e abbondanza degli imballaggi in plastica — comprese le scatole blister, particolarmente difficili da aprire — sono un bel grattacapo per l’industria del riciclo.

Qualche tempo fa, le forbici venivano confezionate tra due spessi strati di plastica resistente. Sembravano imprigionate per sempre. Servivano una certa ingegnosità e un certo sforzo, per liberare l’articolo in offerta dalla sua prigione trasparente. Ma c’era anche il rischio di farsi male. Migliaia di persone si feriscono ogni anno procurandosi tagli e lesioni tentando di aprire confezioni di plastica e altri imballaggi simili.

Le scatole blister non solo sono state decretate l’imballaggio dal design peggiore di sempre, ma hanno anche dato origine all’espressione “furia da disimballaggio”, ben rappresentata dal comico Larry David nel tentativo di aprirne una. Ciononostante, i prodotti così confezionati riempiono gli scaffali di negozi e supermercati.

Gli imballaggi dei prodotti generano più rifiuti di plastica di qualsiasi altra industria. In Europa rappresentano il 59% di tutti i rifiuti di plastica, in termini di peso. Negli Stati Uniti tale quota probabilmente è più vicina al 65%, secondo gli esperti. Il mercato globale degli imballaggi è un’industria da 640 miliardi all’anno, e sta crescendo del 5,6% annuo. La plastica ne rappresenta un terzo, rendendo così il packaging il più grande settore di mercato per la plastica negli USA.

Le scatole blister, come la maggior parte delle confezioni, sono in plastica monouso e, anche se tecnicamente riciclabili, in realtà solo minime quantità vengono riconvertite negli USA. Questa tendenza dovrà cambiare rapidamente, se i produttori e l’industria della plastica vogliono tener fede agli impegni presi per il riciclaggio e il riutilizzo della plastica, e aumentare sostanzialmente il loro uso di plastica riciclata nel packaging.

L’evoluzione delle scatole blister

L’invenzione delle scatole blister, o bivalve, è attribuita a Thomas Jake Lunsford, anche se lui le chiamò “Sistema di packaging ed esposizione separabile” quando ne registrò il brevetto il 15 settembre 1976. Le scatole “bivalve”, come il loro nome suggerisce, sono formate da due “gusci” di plastica identici che racchiudono il prodotto uniti in un unico punto che funge da “cardine”. Quando le due parti vengono premute l’una contro l’altra, lo scatto dell’incastro forma la chiusura, che può essere più o meno difficile da aprire.

Lunsford non aveva previsto l’uso della sigillatura a caldo sui bordi per rendere le scatole blister impossibili da aprire senza l’uso di attrezzi. Le forbici, anche quelle non intrappolate negli imballaggi, non funzionano bene su queste plastiche “scivolose”. Inoltre, così come i taglierini, comportano un certo rischio di ferirsi le mani. Le cesoie funzionano meglio, ma c’è uno strumento ideato appositamente per aprire questo tipo di confezioni.

Per aiutare la madre di 90 anni ad aprire gli imballaggi in plastica, tanti anni fa il dentista in pensione Steve Fisher inventò lo Zip-it Opener, un “apriscatole” a batteria per confezioni in plastica. È uno strumento molto popolare tra gli anziani, le persone affette da artrite o comunque con ridotta forza nelle mani, disse Fisher in un’intervista.

Le scatole blister rimangono una tipologia di packaging molto usata nella vendita al dettaglio perché il prodotto è visibile dai due lati, può essere appeso o semplicemente appoggiato sugli scaffali, ed è difficile da taccheggiare perché la confezione è più grande del prodotto al suo interno. È molto più leggera del cartone e di qualsiasi altro materiale alternativo quindi consente di risparmiare energia nel trasporto, è più economica da produrre e più durevole. Nell’industria alimentare viene utilizzato oltre il 60% di tutto il packaging prodotto sotto forma di scatole blister.

“La varietà di tipologie di scatole bivalve e blister è enorme”, afferma Sara Greasley, che ha un noto blog sul packaging e lavora nel settore. Le confezioni in blister generalmente sono formate da un involucro di plastica montato su un supporto in cartone. Le pile ad esempio, vengono ancora vendute così. Ma i due termini — scatole bivalve e confezioni blister — spesso vengono usati in modo intercambiabile, e questo può creare confusione, afferma Greasley.

Il tipo di packaging usato è spesso determinato dai rivenditori, soprattutto dalle grandi catene che hanno specifici requisiti per il confezionamento delle merci, afferma. Il packaging deve superare specifici test di resistenza, ad esempio allo scuotimento, alla rottura e alla caduta, che garantiscono che il prodotto non venga danneggiato. 

Riciclabile non significa riciclato

L’enorme varietà e abbondanza degli imballaggi in plastica si rivela essere un bel grattacapo per l’industria del riciclo. “È una grande sfida” riconosce Steve Alexander, Presidente dell’Association of Plastic Recyclers. “Le scatole blister normalmente sono fatte di PET, quindi sono altamente riciclabili”, afferma Alexander.

C’è una forte domanda di PET (polietilene tereftalato) riciclato, contenuto nelle scatole blister nuove, in particolare in quelle usate nell’industria alimentare. Tuttavia, questi imballaggi non vengono riciclati perché non vengono raccolti, e se vengono raccolti la maggior parte degli impianti di recupero dei materiali non sono in grado di separarli dagli altri materiali. E quando questo è possibile, le etichette o i residui di cibo possono essere problematici da rimuovere, così come il supporto in cartone delle confezioni blister, afferma.

I consumatori stanno scegliendo sempre di più i prodotti sostenibili — con relativo packaging — che si vendono al doppio della velocità rispetto agli altri prodotti, come ha mostrato uno studio di Nielsen del 2018.

Nell’ultimo decennio le iniziative per un packaging sostenibile di Amazon hanno ridotto i rifiuti prodotti dal packaging di Amazon del 16%; l’obiettivo è arrivare a una riduzione complessiva del 25%, afferma. A questo scopo l’azienda ha sviluppato una busta di carta imbottita interamente riciclabile per sostituire le onnipresenti buste gialle imbottite con plastica pluriball.

Ridurre e riutilizzare su larga scala

Giganti multinazionali come PepsiCoCoca Cola e Walmart, e altri 400 marchi, hanno fissato ambiziosi propositi di riciclaggio in base al New Plastics Economy Global Commitment, avviato nel 2018 dalla Ellen MacArthur Foundation. L’obiettivo è un’economia circolare per la plastica che prevede che la stessa non diventi mai un rifiuto, e il packaging è il primo target.

A questo fine anche le aziende hanno accettato di aumentare la quantità di plastica riciclata usata nel packaging di un 25% di media entro il 2025, rispetto all’attuale media globale del solo 2%. Anche questa è una grande sfida, ha detto Alexander. “Per raggiungere questi obiettivi abbiamo bisogno di una quantità di PET 3,5 volte superiore a quella che viene attualmente raccolta e differenziata”, continua.

Anche le bottiglie di plastica sono in PET e sono la fonte principale per le aziende di riciclo. Nei prossimi dieci anni sarà necessario un investimento di oltre 2 miliardi di € solo in impianti di trasformazione, per raggiungere gli obiettivi delle aziende, secondo un report del gruppo di ricerca e analisi Wood Mackenzie. E questo non include gli ulteriori investimenti per le strutture di raccolta e di recupero dei materiali.

Quindi ora le navi cariche di rifiuti di plastica americani vengono spedite in paesi come Thailandia, India e Indonesia, dove la maggior parte dei rifiuti viene gestita in modo inappropriato. E nel 2018 la plastica bruciata negli USA è stata sei volte di più di quella riciclata. Bruciando, la plastica produce CO2 e può rilasciare tossine. Solo il 50% delle famiglie negli USA ha la raccolta porta a porta, quindi come fanno le aziende di riciclaggio ad avere accesso al materiale? – chiede Alexander. 

Meno del cinque per cento della plastica viene riciclato, negli USA. Il resto va in discarica, viene bruciato o esportato. Nel 2017, 907 tonnellate di rifiuti di plastica sono state mandate in Cina e ad Hong Kong, e lo stesso anno la Cina disse che non ne avrebbe accettati altri. “È necessario affrontare un dibattito serio in questo Paese sulla soluzione di questo problema”, afferma Alexander.

A parte il riciclaggio, il riutilizzo delle scatole blister è la caratteristica che Lunsford, il loro inventore, affermava fosse il vantaggio rispetto al packaging plastico esistente. Ma lì nel negozio, avevo una scatola blister termosigillata di plastica spessa in mano, con un paio di forbici blindate lì dentro. Erano forbici forti, in grado di aprire qualsiasi tipo di confezione. Ma, come Larry David, avrei dovuto distruggere l’imballaggio per tirarle fuori, rendendo la scatola in plastica non più riutilizzabile. Quelle forbici valevano lo sforzo e il rischio necessari per liberarle dalla loro prigione di plastica? Le ho rimesse sullo scaffale.

Fonte: National Geographic Italia

Spagna, dal 2023 stop alla vendita di frutta e verdura in imballaggi usa e getta di plastica

Lo prevede una bozza di decreto diffusa dal ministero per la transizione ecologica di Madrid. Al vaglio anche un sistema di deposito su cauzione e restituzione degli imballaggi per bevande per migliorarne il riciclaggio.

Stop al monouso e istituzione di un sistema di deposito su cauzione finalizzato al riciclaggio. Sono questi i due obiettivi principali del decreto spagnolo su imballaggi e rifiuti, reso noto dal Ministero per la transizione ecologica di Madrid.

Secondo quanto emerge, la vendita di frutta e verdura in imballaggi di plastica sarà vietata nei supermercati e nei negozi di alimentari spagnoli a partire dal 2023. Il divieto si applicherà ai prodotti di peso inferiore a 1,5 chilogrammi, seguendo il modello francese, dove una misura simile è stata approvata recentemente ed entrerà in vigore già il prossimo anno.

Verrà, inoltre, istituito un sistema di deposito su cauzione che prevede il pagamento anticipato di almeno 10 centesimi di euro per ogni bottiglia di plastica o lattina, che sarà restituito al consumatore solo al momento della riconsegna dell’imballaggio, avviato poi al successivo riciclaggio.

La proposta aggiorna in maniera significativa la normativa vigente in Spagna, in vigore da 20 anni, con importanti passi in avanti verso un’economia circolare, incorporando obiettivi e misure specifici per confezionamento, distribuzione, consumatori e amministrazioni.

Deposito su cauzione obbligatorio in caso di mancato raggiungimento dei target di riciclo

Una delle misure cardine contenute nella bozza è l’implementazione di un sistema di deposito cauzionale e restituzione degli imballaggi, come già realizzato in altri Paesi europei. Il modello prevede che i consumatori lascino in deposito alcuni centesimi per ogni bottiglia di plastica o lattina, che potranno recuperare solo alla restituzione. Questo meccanismo diventerà “obbligatorio” per le bottiglie di plastica monouso e le lattine per bevande, nel caso in cui non vengano raggiunti gli obiettivi intermedi per la raccolta differenziata delle bottiglie di plastica monouso, per le bevande sotto i 3 litri: 70% nel 2023 e 85% nel 2027.

Inoltre, per i contenitori saranno approvati nuovi obblighi di etichettatura circa il loro materiale, la riciclabilità, la percentuale di materiale riciclato e il contenitore in cui devono essere depositati dopo l’utilizzo.

Stop al monouso 

Il decreto prevede, inoltre, l’obbligo per le autorità ad ogni livello governativo di “incoraggiare l’installazione di fontanelle negli spazi pubblici” e “introdurre alternative alla vendita di bevande in bottiglia”, nonché di revocare “la distribuzione di bicchieri monouso” in occasione di eventi pubblici, a partire dal 2023.

I punti vendita dovranno offrire un “numero minimo” di referenze di bevande in contenitori riutilizzabili, entro un periodo compreso tra i 12 ei 18 mesi dall’approvazione del regio decreto, a seconda delle dimensioni del negozio.

Alberghi, ristoranti e caffetterie dovrebbero utilizzare bottiglie riutilizzabili a un tasso del 50% entro il 2025. Nel caso della birra, gli obiettivi sono l’80% al 2025 e il 90% al 2030. Per le bevande analcoliche gli obiettivi sono, invece, il 70% e l’80%.

“Una pandemia: beviamo, mangiamo e respiriamo plastica”

Erano anni che i gruppi ambientalisti spagnoli si battevano per eliminare, o almeno ridurre il più possibile, la plastica dagli scaffali di supermercati e negozi alimentari.

Julio Barea di Greenpeace, ha espresso il parere favorevole dell’associazione sull’adozione delle nuove misure, ma ha anche aggiunto che sarà importante aspettare e vedere “come verranno applicate”. Beviamo plastica, mangiamo plastica e respiriamo plastica”, ha dichiarato, denunciando il pericolo di quella che ha definito, senza mezzi termini, una vera e propria “pandemia”.

Da Barea non sono poi mancate le critiche al Governo, guidato dal Partito Socialista (PSOE) e Unidas Podemos, accusato di non muoversi abbastanza in fretta “per porre fine radicalmente al flusso di inquinamento da plastica”.

Fonte: EconomiaCircolare

Con l’e-commerce troppi imballaggi usa e getta. Ma ora arrivano le startup del riutilizzo

Il Covid-19 è stato il definitivo trampolino di lancio per le vendite online. Secondo le stime di un rapporto dell’Unctad (United Nations Conference on Trade and Development) pubblicato il 3 maggio, il balzo dell’e-commerce tra le restrizioni di movimento causate dalla pandemia, ha aumentato la quota delle vendite online globali dal 16% al 19% nel 2020. Il Regno Unito ha visto il picco più marcato nelle transazioni online con un aumento del 7,5 %; così anche per Cina (4,2%) e Stati Uniti (3%). Le vendite online B2C per le 13 principali aziende del mondo hanno toccato il record di 2,9 trilioni di dollari nel 2020. Cifre da capogiro che hanno messo in crisi i punti vendita fisici e arricchito quelli digitali, esacerbando i problemi nel gestire i rifiuti da imballaggio usa e getta.

Confezionare i beni che consumiamo per il trasporto via corriere, infatti, comporta un utilizzo di materiali decisamente maggiore rispetto agli acquisti fatti direttamente in negozio che include anche i materiali di protezione. Gli effetti sull’ambiente causati dalla continua crescita degli imballaggi usa e getta, che siano di carta, cartone, plastica o polistirolo, si è acuito e le previsioni non sembrano delle più rosee. Secondo le stime del Global E-commerce Plastic Packaging Market, nel 2020 il mercato globale degli imballaggi in plastica per l’e-commerce è stato valutato 10,26 miliardi di dollari e si prevede che raggiungerà i 21,78 miliardi di dollari entro il 2026.

Anche nel settore dell’e-commerce si stanno facendo strada alcune soluzioni riutilizzabili, prevalentemente in materiali plastici in varie dimensioni poiché leggeri e facilmente igienizzabili. Si tratta di opzioni adatte a varie tipologie di prodotto che, comparate a quelle monouso, hanno un minore impatto sull’ambiente ma anche sul budget delle aziende perché sul medio e lungo termine vengono a costare di meno.

Sistema centralizzato e decentralizzato

Il riutilizzo degli imballaggi anche nell’e-commerce rappresenta un processo a ciclo chiuso, circolare, dove l’imballaggio non viene sprecato in un singolo viaggio, ma conserva le sue funzioni senza perdere di valore all’interno di cicli di vita che possono anche durare anni.

Da un recente studio  The Rise of Reusable Packaging: Understanding the Impact and Mapping a Path to Scale di Fashion for Good, in collaborazione con l’università di Utrecht e la Sustainable Packaging Coalitionmirato al mondo della moda, emerge che l’impiego di imballaggi riutilizzabili nelle spedizioni al posto del monouso possono portare a importanti riduzioni nelle emissioni di CO2 e nel consumo dei materiale in peso. Lo studio fa anche luce sul numero e la natura della variabili che possono influenzare drasticamente l’impatto ambientale tra le quali le distanze di trasporto, i tassi di restituzione e i tipi di imballaggio utilizzati.

Alcune delle opzioni più comuni di packaging usate nel commercio online (buste in plastica e in cartone) sono state valutate attraverso un’analisi LCA per misurare le emissioni di CO2 equivalenti associate a ciascuna opzione ipotizzando una spedizione di uno stesso bene. In generale i risultati hanno evidenziato che le comuni buste in LDPE (polietilene a bassa intensità) d uso singolo devono oltre tre quarti delle emissioni di carbonio alla fase di lavorazione delle materie prime – indicazione che rafforza la scelta di realizzarle con un alto contenuto di materiale riciclato.

Nel caso degli imballaggi riutilizzabili, una proporzione molto maggiore (tra il 40% e il 60%) delle  emissioni derivano invece dalla fase di trasporto, considerato che le emissioni riferite alla fase di fabbricazione del bene vengono ripartite ( e quindi ammortizzate) su molteplici usi. Da un confronto degli impatti ambientali di un ciclo d’uso tra un imballaggio in cartone (monouso), una busta in LDPE (polietilene a bassa densità) monouso e una riutilizzabile (sempre in LDPE) emerge che :

  • le buste riutilizzabili gestite con un sistema centralizzato (ovvero rese a un unico centro per le operazioni di controllo e igienizzazione prima di essere rimesse in distribuzione presso i rivenditori che ne fanno uso) causano il 39% in meno di emissioni di carbonio per ciclo di utilizzo rispetto a buste  monouso dello stesso materiale con il 30% di contenuto riciclato;
  • le buste riutilizzabili in un sistema decentralizzato (ovvero quando rese al centro di distribuzione dei prodotti da cui partite) causano il 72% di emissioni di carbonio per ciclo in meno rispetto a una busta monouso in LDPE realizzata con il  30% di contenuto riciclato;
  • l’imballaggio riutilizzabile ha l’82% in meno di emissioni di carbonio per ciclo rispetto a una busta in LDPE vergine.
  • in tutti i casi si genera l’87% in meno di rifiuti di plastica (in peso) quando si utilizzano buste riutilizzabili piuttosto che monouso (indipendentemente dal contenuto di materiale riciclato con cui possono essere state realizzate)

“L’imballaggio riutilizzabile è una leva chiave per ridurre l’impatto della plastica anche nel settore della moda. Ci auguriamo che i risultati di questo studio servano a convincere il settore che la circolarità è realizzabile oggi e a utilizzarli come toolkit per tracciare il proprio percorso e scalare soluzioni più sostenibili delle attuali”, afferma Katrin Ley, amministratore delegato di Fashion for Good.

Vista dal lato del cliente la differenza tra gestire un imballaggio monouso o riutilizzabile si presenta nel momento in cui ha esaurito la sua funzione e invece di essere “buttato”  viene chiesto al destinatario di restituire l’imballaggio, tramite posta o altra modalità di consegna. Nel modello centralizzato l’imballaggio viene reso a un nodo logistico aggiuntivo, come anticipato, dove viene pulito e ricondizionato quando necessario, che non coincide con il centro di distribuzione del bene che ha trasportato. Successivamente viene inviato ai centri di distribuzione che fanno capo ai rivenditori online, e il ciclo ricomincia.

Nel modello decentralizzato invece l’imballaggio torna direttamente al centro di distribuzione del rivenditore da cui è partito con operazioni di pulizia e manutenzione effettuate nello stesso hub, senza un passaggio intermedio presso un nodo logistico aggiuntivo.

Il modello decentralizzato si è rivelato in alcuni casi più sostenibile rispetto al sistema centralizzato, perché si elimina un passaggio e si riducono i viaggi che gli imballaggi devono percorrere con minori emissioni di CO2 prodotte. Tuttavia l’adozione di entrambi i modelli determina un impatto ambientale sensibilmente inferiore al modello tradizionale basato sul packaging monouso, sia in plastica che in carta.

Tra i casi studio che vedremo, RePack utilizza un modello centralizzato con un hub logistico per l’Europa situato a Tallinn in Estonia – così come Hipli in Francia– mentre gli altri casi citati hanno adottato un modello decentralizzato. Tuttavia, quando si ripensano i modelli di business è inevitabile imbattersi in cambiamenti necessari che non possono riguardare solamente una sola azienda. Infatti spesso richiedono un cambiamento a livello di sistema e il consenso e la collaborazione di tutte le parti interessate lungo la catena del valore di un particolare prodotto. Il passaggio ad imballaggi riutilizzabili rappresenta un’area in cui la collaborazione tra marchi, rivenditori e produttori di imballaggi riutilizzabili innovativi può sviluppare soluzioni e processi che soddisfano tutta la catena di approvvigionamento migliorandone la sostenibilità. Un esempio che ben chiarisce le potenzialità dell’approccio di sistema è la collaborazione nata recentemente tra RePack e la finlandese Axla Logistics. Quest’ultima che gestisce la completa logistica dell’e-commerce per i prodotti delle aziende clienti proporrà le buste di RePack agli acquirenti online, con benefici per entrambi i partner dell’accordo.

RePack e l’accordo con le poste francesi

Utilizzare la confezione più volte sembra la soluzione più sostenibile e ci sono Paesi, come la Francia, in cui si iniziano a vedere movimenti e iniziative concrete verso vari modelli di riutilizzo. La più grande compagnia postale in Francia, La Poste, ha firmato recentemente un accordo di collaborazione per un progetto di 9 mesi con la startup finlandese RePack che offre ai commercianti aderenti le proprie buste riutilizzabili. Una volta che il consumatore riceve il prodotto, le buste riutilizzabili, provviste di un’etichetta prepagata, vengono ripiegate e inviate all’azienda tramite posta ordinaria. RePack, che collabora con quasi 150 marchi e ha in circolazione 250mila pacchi in tutta Europa, pulisce e controlla la qualità dell’imballaggio prima di rimandarlo ai negozi e ai magazzini di distribuzione. RePack ha vinto recentemente il premio German Design Award 2021 nella categoria ‘Excellent Communication Design Packaging’ per la comunicazione presente sulle sue buste.

Nel 2020 si è registrata in Francia una crescita del settore dell’e-commerce del 32%, il doppio rispetto all’anno precedente e che ha generato circa 1,3 miliardi di pacchi consegnati. Un fenomeno in crescita che  ha probabilmente indotto La Poste a ripensare il proprio modello, considerato che gli imballaggi sono responsabili di una quota che compresa dal 10% al 30% delle emissioni di CO2 del commercio online.

A questo proposito va detto che la Francia, a differenza di altri Paesi, ha previsto con la sua legge anti-spreco (anti-gaspillage) per un’economia circolare del 2020 il perseguimento di obiettivi di riduzione e riutilizzo che nel caso degli imballaggi richiede ai produttori che il 5% degli imballaggi sia riutilizzabile entro il 2023 e che entro il 2027 si arrivi al 10% rispetto all’immesso al consumo.

In Olanda Robin, una piattaforma online con sede ad Amsterdam, offre il meglio di ciò che le boutique locali della città hanno da offrire e le consegne a domicilio avvengono in bicicletta. Per consegne fuori città Robin si avvarrà degli imballaggi riutilizzabili di RePack attraverso il servizio postale.

Le virtuose realtà d’Oltralpe

In Francia non c’è solo RePack che offre ai rivenditori online un sistema di riuso che non produce rifiuti e gestisce gli imballaggi in un ciclo continuo. La startup Hipli ha ideato delle buste riutilizzabili in tre formati in materiale sintetico impermeabile che stanno all’interno di una pochette con chiusura a cerniera che i clienti possono restituire facilmente per posta. La busta è progettata per essere utilizzata 100 volte che significa – secondo le stime di Hipli – circa 25 kg di rifiuti evitati. ll funzionamento è abbastanza semplice. Il rivenditore online che vuole aderire al sistema inserisce l’opzione riutilizzabile tra le modalità di spedizione. L’acquirente interessato che sceglie l’opzione è invitato a restituire l’imballaggio in modalità prepagata tramite servizio postale con la pochette che, una volta richiusa, presenta già l’indirizzo di spedizione prestampato. Il costo per il servizio di resa e manutenzione dell’imballaggio corrisponde a 2 euro ed è in genere sostenuto dal rivenditore online che può decidere se ribaltarlo sul cliente o meno.

“In pratica il 10% dei nostri partner non addebita il nostro servizio al cliente e gli altri parzialmente, in media il contributo è di 1 euro” spiega Anne-Sophie Raoult, co-fondatrice di Hipli. Attualmente Hipli conta un centinaio di piccole aziende clienti nel settore della moda, oggettistica e cosmetica con circa 100mila pochette in circolazione che hanno un tasso di restituzione dell’89%.

Un’altra startup francese ancora in fase di test è Opopop, che si propone di sostituire con le sue buste riutilizzabili in materiale sintetico 1 milione di pacchetti usa e getta entro tre anni e di ottenere un tasso di restituzione del 95%. Il servizio funziona con un sistema di deposito cauzionale digitale (con addebito di un importo di 5 euro qualora ‘imballaggio non sia reso entro 15 giorni) oppure nella modalità del pagamento “a consumo”, a un costo di 1,65 euro per ogni rotazione.

Chiudere la carrellata sulla Francia LivingPackets, con sedi a Nantes, Parigi e Berlino, che sta introducendo sul mercato europeo una tecnologia di imballaggio intelligente molto sofisticata. Si tratta di una scatola, “The Box”, progettata per compiere mille viaggi e che porta fino a 5 kg di peso, adatta per l’80% dei prodotti venduti online, come si può leggere sul sito. Questa Box incorpora un sistema per il fissaggio del carico e in più un display dove si possono inserire e aggiornare dati come l’indirizzo e altre informazioni rilevanti per la logistica. Dentro la scatola ci sono dei sensori e una telecamera integrata per monitorare il contenuto della spedizione e le condizioni ambientali a cui è esposto il carico: temperatura, umidità e possibili urti durante il trasporto. Il lancio del servizio – che l’azienda descrive come “packaging-as-a-service” – è partito all’inizio di quest’anno con accordi in via di definizione con le oltre mille potenziali aziende clienti in Francia e Germania, che hanno contattato LivingPackets manifestando interesse per il prodotto e il servizio offerto.

Anche negli Usa si sperimenta il riuso innovativo

Le startup statunitensi LimeLoop Returnity utilizzano entrambe un modello logistico decentrato e una tecnologia digitale sofisticata. Puntando a realizzare un modello di spedizione più digitale, LimeLoop usa dei sensori GPS inseriti nell’imballaggio, che tracciano le spedizioni e rivelano dati come l’apertura del pacco. Rivenditori e clienti finali possono interagire ulteriormente con l’imballaggio tramite un’app.

LimeLoop noleggia i propri contenitori “intelligenti” ai rivenditori online, tramite un servizio di abbonamento. I clienti che ricevono la merce acquistata utilizzano un’etichetta di spedizione prepagata per restituire l’imballaggio al magazzino del produttore più vicino tramite UPS.
Le confezioni prodotte da LimeLoop sono realizzate in vinile riciclato da vecchi cartelloni pubblicitari e sono riutilizzabili fino a 2000 volte.

Michael Newman, fondatore di Returnity, spiega bene la filosofia del progetto. “Affrontare il tema del packaging significa saper vedere un sistema – afferma – Non si tratta solamente di un prodotto, ma di  rocessi e partecipazione. Solamente da questa prospettiva mentale si potrà capire come funzionano gli imballaggi riutilizzabili all’interno dei sistemi”. Returnity fornisce soluzioni di imballaggio riutilizzabili alle aziende, che possono rimpiazzare una vasta gamma di imballaggi utilizzati nelle spedizioni personalizzandole: buste, scatole, borse, borsoni e porta-abiti progettati per risparmiare spazio e facilmente impilabili dopo l’uso. Robusti e realizzati in materiali riciclati, possono “resistere” a più di 40 spedizioni.

Returnity fornisce anche un sistema logistico integrato che include pulizia e manutenzione degli imballaggi riutilizzabili. Una piattaforma denominata “Returnity’s 3P Platform” supporta le aziende a fare la “scelta giusta” sotto l’aspetto operativo, economico e ambientale. La startup statunitense si avvale della partnership di Happy Returns, una rete di luoghi fisici che si occupa di spedire gli imballaggi resi dai clienti ai suoi hub regionali – in contenitori riutilizzabili anch’essi – dove vengono smistati e restituiti ai rivenditori. Le aziende che utilizzano il pacchetto completo di Happy Return, che include anche la gestione dei resi, risparmiano in media il 20% sulle spese di spedizione con un 10% nel primo anno, rispetto all’utilizzo di imballaggi monouso. I consumatori restituiscono l’imballaggio in soli 60 secondi e il rimborso è immediato. Negli Stati Uniti sono operativi oltre 700 punti di resa per i contenitori, con circa 15mila imballaggi in continua circolazione.

Dalla Norvegia all’Olanda, pacchi e pallet riutilizzabili 

Packoorang è un’azienda norvegese che fornisce un servizio di imballaggi riutilizzabili ai rivenditori online con due linee di prodotto: le “Packoorang Mailer Bags, buste in varie dimensioni e modelli che possono essere usate fino a 500 volte, e i pallet riutilizzabili Palloorang, adatti per settore del B2B. Packoorang  collabora inoltre con aziende partner che mettono a disposizione uno spazio fisico e possono fungere da centri di raccolta per gli imballaggi resi dagli utilizzatori del servizio. Lanciata nel 2019, l’azienda progetta le sue opzioni riutilizzabili in poliestere – con o senza imbottitura – a partire da bottiglie riciclate e altri scarti di fabbricazione del settore del tessile.

Il rivenditore che si affida al servizio di Packoorang sceglie le opzioni riutilizzabili più adatte ai propri prodotti che possono essere personalizzate. I clienti che scelgono l’imballaggio riutilizzabile lo rendono in modalità prepagata postale al centro logistico unificato o presso altri punti di raccolta. Dopo le usuali operazioni di controllo e pulizia gli imballaggi ripartono poi alla volta dei centri di distribuzione dei rivenditori online.

Fonte: Simone Fant e Silvia Ricci per Economiacircolare.com

Rifiuti, col lockdown +8% imballaggi in plastica e dopo? È cresciuto l’export

Nel corso del 2019 sono 2.083.880 le tonnellate di imballaggi in plastica (o meglio in plastiche) immessi al consumo, che una volta divenute rifiuti sono state avviate a riciclo (43,39%) a recupero energetico (48,63%) o a smaltimento (8% circa): questi i dati forniti dal consorzio Corepla nel suo ultimo Rapporto di sostenibilità, ma cos’è successo nell’ultimo anno segnato dalla pandemia? Una prima panoramica viene fornita oggi sempre dal Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica.

La raccolta rifiuti è stata annoverata anche dal Governo fra i “servizi essenziali” e non si è mai fermata, nonostante le forti criticità che hanno investito le filiere industriali a valle del servizio, tanto da determinare, nonostante tutto, un aumento degli imballaggi raccolti nel 2020 rispetto all’anno precedente, anche se con una crescita ad una sola cifra.

Nel 2020 si evidenzia infatti un incremento dell’8% dei quantitativi di rifiuti di imballaggio in plastica gestiti da Corepla nel bimestre marzo-aprile 2020, in rapporto allo stesso periodo del 2019; un aumento, quest’ultimo, in controtendenza rispetto alla riduzione dei consumi (-4%) e della produzione dei rifiuti urbani (-10/14%) del medesimo periodo. Come mai?

Come osservano da Corepla la quarantena ha indotto importanti modifiche nei comportamenti dei consumatori, che hanno privilegiato l’acquisto di generi alimentari imballati, incrementato gli acquisiti online e del cibo da asporto.

Questo per quanto riguarda l’immesso al consumo, ma da Corepla aggiungono che nel secondo bimestre 2020 sono cresciuti anche i quantitativi sia dei rifiuti di imballaggio avviati a riciclo sia di quelli valorizzati tramite recupero energetico; c’è poco da festeggiare però, perché in questo contesto il ruolo dell’export è stato di primo piano.

Sono infatti ormai note le forti criticità dovute alla chiusura delle attività commerciali e produttive, al brusco arresto dell’export dei rifiuti urbani, alla saturazione della capacità disponibile negli impianti nazionali ma anche al blocco del settore delle costruzioni, che ha fortemente ridotto l’utilizzo della frazione di imballaggi non riciclabili meccanicamente come combustibile nei cementifici (che ad esempio assorbono il 75% circa del plasmix, quelle plastiche miste difficilmente riciclabili, anche se alcune realtà d’eccellenza riescono a riciclarne alcune componenti).

Basti pensare che in sole 7 settimane di lockdown è stata bloccata l’esportazione di oltre 16.000 tonnellate di rifiuti urbani. Circa 2.300 tonnellate a settimana.

Come spiegano da Corepla, le cause appena citate – unite alla saturazione della capacità disponibile negli impianti nazionali – nel secondo bimestre 2020 hanno provocato da una parte l’aumento della quota di rifiuti di imballaggio destinata a riciclo in impianti esteri (+27%, ovvero 3mila tonnellate) e dall’altra, la crescita della percentuale conferita a termovalorizzazione (circa 42mila tonnellate in più rispetto all’anno precedente). La chiusura di alcune settori operativi utilizzatori di materie prime seconde, le forti difficoltà nella movimentazione delle merci e la ridotta capacita disponibile negli impianti di termovalorizzazione hanno spinto, come ultima ratio, anche alla crescita del conferimento in discarica.

«Il sistema ha dato prova di grande resilienza – sostiene Giorgio Quagliuolo, presidente di Corepla –, riuscendo ad  individuare soluzioni senza ulteriori ripercussioni sulla collettività per garantire lo svolgimento del servizio essenziale anche in un momento di enorme criticità. La tenuta del sistema è stata garantita grazie a interventi straordinari in assenza dei quali la filiera avrebbe rischiato la chiusura e che hanno evidenziato le carenze strutturali impiantistiche e del mercato nazionale delle materie prime seconde, rispetto alle quali occorrerà lavorare di concerto con le istituzioni per evitare crisi future».

Fonte: Green Report

Le Linee Guida CONAI sull’etichettatura ambientale degli imballaggi sono pubbliche

Sono finalmente pubbliche le nuove Linee Guida sull’etichettatura ambientale degli imballaggi, redatte da CONAI per provare a dare risposte all’obbligo di etichettatura in vigore dallo scorso 26 settembre, a seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo 116. Una novità che lascia spazio a dubbi interpretativi e alla necessità di chiarirli in tempi rapidi.

Così, a seguito di una consultazione pubblica su una prima proposta di Linee Guida (1.800 presenze all’evento di lancio, cui hanno fatto seguito più di 1.000 altri contributi via email) terminata il 30 novembre, il Consorzio Nazionale Imballaggi ha redatto un nuovo documento che ha sia l’obiettivo di favorire una lettura condivisa dei nuovi obblighi sia la volontà di fornire uno strumento di orientamento e supporto alle imprese.

Disponibili sul sito ufficiale conai.org, le nuove Linee Guida sull’etichettatura sono frutto di un confronto serrato fra tutti gli attori principali del comparto, a cominciare dall’Istituto Italiano Imballaggio per arrivare a UNIConfindustriaFederdistribuzione e numerose Associazioni industriali, di categoria e territoriali. Un contributo fondamentale per un documento che vuole essere la risposta di un sistema al problema delle zone d’ombra e di poca chiarezza con cui l’obbligo di etichettatura ambientale degli imballaggi spaventa le aziende del nostro paese, proponendo un’interpretazione della norma condivisa.

Saranno ora sottoposte alle Istituzioni, anche per portare alla loro attenzione punti sui quali si auspicano opportuni chiarimenti. Per potersi adeguare correttamente, inoltre, è già stata richiesta l’introduzione di  un adeguato periodo transitorio.

Le Linee Guida, intanto, offrono già un quadro che identifica non solo le informazioni minime da riportare sull’etichetta ambientale, ma anche quelle facoltative. E lo fa anche attraverso esempi concreti che illustrano le modalità attraverso cui apporre un’etichetta ambientale a diversi tipi di pack, differenziati per destinazione d’uso (B2B e B2C) e per composizione (monocomponente o composto da più componenti separabili manualmente).

Tant’è che l’evento di presentazione del 16 dicembre ha visto la partecipazione anche di grandi attori dell’industria e della grande distribuzione italiana come CONADMirato Group e Nestlè.

«Abbiamo capito da subito che l’attenzione delle imprese del nostro Paese stava rendendo il tema dell’etichettatura sempre più rilevante» ha affermato il presidente CONAI Luca Ruini durante il webinar che ha presentato il documento. «Stiamo parlando di un obbligo che ha in parte spaventato e che ha imposto la ricerca urgente di soluzioni concrete. Siamo orgogliosi di aver messo attorno a un tavolo tutti gli attori della filiera: fornire supporto e risposte concrete alle aziende, del resto, è uno dei grandi compiti istituzionali del Consorzio».

«È stato bello vedere gli attori del comparto lavorare insieme per sciogliere i dubbi interpretativi che lascia il decreto» ha aggiunto il presidente dell’Istituto Italiano Imballaggio Anna Paola Cavanna. «Questi dubbi hanno amplificato le difficoltà che le aziende italiane stanno vivendo in questi mesi. Non ho però dubbi sul fatto che, una volta a regime, l’etichettatura ambientale degli imballaggi porterà benefici sia alle imprese sia ai consumatori finali».

Per provare ad accelerare i tempi, quindi, è stato messo a punto da CONAI anche un nuovo tool online: e-tichetta, interamente dedicato all’etichettatura ambientale degli imballaggi, che da metà gennaio sarà a disposizione delle aziende per guidarle nell’adozione di un sistema di etichettatura omogeneo, conforme alle richieste di legge e chiaro per i consumatori finali.

Creando (anche) terreno fertile per far germinare buone pratiche diffuse a livello sempre più ampio. «Gli esempi di etichette ambientali virtuose devono essere valorizzati e avere visibilità» conclude infatti Luca Ruini. «Possono ispirare e guidare tutte le aziende del nostro sistema Paese, soprattutto quelle di dimensioni piccole e medie: cercheremo di identificarli e di promuoverli. È una vera e propria call to action: ci stiamo lavorando con entusiasmo sempre crescente. Non ho dubbi che porterà i frutti che tutti aspettiamo».

«Abbiamo previsto nella Linea Guida anche box di approfondimento sulle tematiche tecniche più rilevanti e sviluppato FAQ che sono già disponibili su conai.org» gli fa eco la Responsabile dell’Area Prevenzione CONAI Simona Fontana. «E non intendiamo fermarci qui. L’obiettivo è quello di fornire strumenti alle imprese per supportarle concretamente. Il tutto nel rispetto dei diversi ruoli istituzionali che vedono CONAI come interlocutore e mediatore privilegiato tra Istituzioni e mondo imprenditoriale sulle tematiche della sostenibilità degli imballaggi».

Pacchetto economia circolare, pubblicato il decreto rifiuti e imballaggi

Recepite due delle direttive che andranno a modificare il Testo Unico Ambientale per quanto riguarda la definizione di rifiuto urbano, di rifiuti speciali assimilabili, di tracciabilità e responsabilità estesa

È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale ed entrerà in vigore il prossimo 26 settembre il decreto legislativo 116/20  che recepisce due delle direttive approvate due anni fa dall’Unione europea in materia di rifiuti e imballaggi e, in particolare, quella che tratta la riduzione degli scarti e il recupero di risorse. Tra gli obiettivi del provvedimento, il raggiungimento entro il 2025 del 55% di riciclo dei rifiuti urbani, mentre già nel 2030 per i soli imballaggi bisognerà aver raggiunto complessivamente il 70%. Per quanto riguarda i conferimenti in discarica, il tetto massimo dovrà essere del 10% entro il 2035.
 
Definizioni di rifiuto e responsabilità estesa –  Il decreto pubblicato va a modificare la parte quarta del decreto legislativo 152 del 2006, che si occupa di disciplinare la gestione dei rifiuti. Alla revisione del Testo unico ambientale saranno tenuti ad adeguarsi tutti i soggetti pubblici e privati che producono, raccolgono, trasportano e gestiscono rifiuti. Cambiano molte delle definizioni, a partire da quella di “rifiuto urbano”, così come cambiano le discipline di legge relative al deposito temporaneo, alla classificazione, ai criteri di ammissibilità in discarica dei rifiuti. I rifiuti speciali assimilati a quelli urbani diventano semplicemente urbani quando sono “simili per natura e composizione ai rifiuti domestici”, un’assimilazione che deriva dall’incrocio tra 15 tipologie di rifiuti (dagli organici ad “altri rifiuti non biodegradabili”) con 29 categorie di attività che li producono e che sottrae ai Comuni la possibilità di assimilazione. Ma cambia anche il ruolo dei produttori di beni di consumo, con un rafforzamento dell’istituto della responsabilità estesa, tra i principi cardine dell’impalcatura normativa disegnata dall’Ue e oggi entrata definitivamente nell’ordinamento italiano. L’entrata in vigore del decreto legislativo di recepimento della direttiva europea sui rifiuti riscrive infatti il quadro normativo nazionale in materia, preparando l’avvento del nuovo sistema di tracciabilità, si legge infatti nel decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale, che sarà “integrato nel Registro Elettronico Nazionale” istituito a seguito della conversione del Decreto Legge n. 135/2018 (e della contestuale abolizione del Sistri) e sarà gestito dall’Albo Nazionale Gestori Ambientali.

Consorzi – Il nuovo decreto inciderà profondamente sui meccanismi che regolano il sistema italiano di raccolta e gestione. Cambiano, ad esempio, le logiche di finanziamento delle differenziate, con i sistemi Epr, ovvero i consorzi afferenti al Conai nel caso dei rifiuti da imballaggio, che saranno obbligati a coprire il 100% dei “costi efficienti” di gestione (l’80% in deroga) entro il 2024.
Novità sugli impianti, decide il Ministero – Il decreto rifiuti demanda al Ministero dell’Ambiente, con il supporto tecnico di Ispra, la definizione di un “Programma nazionale di gestione dei rifiuti” con gli obiettivi, i criteri e le linee strategiche cui le Regioni e Province autonome si dovranno attenere nell’elaborazione dei Piani regionali di gestione dei rifiuti. Il programma dovrà contenere, tra l’altro, la “ricognizione impiantistica nazionale”, indicando il fabbisogno di recupero e smaltimento da soddisfare. Una misura che ridimensionerà la potestà degli enti locali, con le Regioni che dal canto loro avranno la possibilità di definire accordi per “l’individuazione di macro aree” che consentano “la razionalizzazione degli impianti dal punto di vista localizzativo, ambientale ed economico, sulla base del principio di prossimità”. 

Reazioni – “Recependo il Pacchetto Economia Circolare, il Governo dimostra attenzione nei confronti delle prospettive sostenibili per il futuro del Paese e sensibilità nei confronti delle istanze avanzate durante l’iter legislativo dal settore del recupero e riciclo dei rifiuti. Il principio dell’obbligo della detassazione va nella giusta direzione di sostenere le imprese della Green Economy e contribuisce allo sviluppo di un comparto industriale tra i più competitivi a livello europeo.” Lo dichiara in una nota Francesco Sicilia, Direttore Generale di Unirima, Unione Nazionale Imprese Recupero e Riciclo Maceri.

Fonte: E-Gazette

Dlgs imballaggi, responsabilità estesa del produttore: obbligo di informazione per riutilizzo e riciclo

Nell’ultima versione del dlgs imballaggi, contenuto nel pacchetto sull’economia circolare, i soggetti sottoposti al regime Epr avranno l’obbligo di mettere a disposizione del pubblico tutte le informazioni relative alla modalità di riutilizzo e riciclo degli imballaggi

Arrivano novità dal governo sul fronte degli imballaggi, lo rende noto l’agenzia stampa Public Policy che segue da vicino i lavori istituzionali. I soggetti sottoposti al regime Epr (Responsabilità estesa del produttore), principio che verrà introdotto con il recepimento della Direttiva Europea 851/2018 e che stabilisce la corresponsabilità di produttori e distributori nel fine vita dei prodotti, avranno l’obbligo di metterea disposizione del pubblico tutte le informazioni relative alla modalità di riutilizzo e riciclo degli imballaggi

La misura è una delle novità contenuta nell’ultima versione del dlgs Imballaggi, che fa parte a sua volta del pacchetto sull’economia circolare, in attesa di essere licenziato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri. La modifica era stata suggerita dalla Conferenza Stato-Regioni.

Un’altra modifica ha ritoccato il comma 12 dell’articolo 1 del dlgs, elimimando un riferimento inerente gli sfalci e le potature che – come spiega la relazione illustrativa – avrebbe comportato problemi di infrazione con la Commissione europea. 

Riciclo: il vetro è l’imballaggio preferito dagli europei

Il vetro continua a scalare posizioni nei gusti dei consumatori europei ed italiani. Oltre 9 europei su 10 (91%) raccomandano il vetro come miglior contenitore per conservare cibi e bevande, un incremento dell’11% rispetto al 2016, e in Italia sono addirittura il 96%, 3 anni fa erano l’88%. Le ragioni di questa scelta? L’elevata riciclabilità del vetro, la crescente consapevolezza del consumatore rispetto alle sue credenziali ambientali, le maggiori garanzie che offrono i contenitori in vetro per la sicurezza alimentare. La popolarità del vetro è documentata da una ricerca indipendente di InSites, condotta su oltre 10.000 consumatori in 13 Paesi Europei, commissionata da Friends of Glass e FEVE, la Federazione Europea dei Contenitori in Vetro, che rivela che le persone stanno acquistando sempre più vetro: la metà dei consumatori, infatti, compra oggi più prodotti confezionati in vetro di quanto non facesse 3 anni fa.

Secondo il sondaggio, l’impatto ambientale degli imballaggi è visto come un fattore decisivo negli acquisti di alimenti e bevande, con la maggior parte dei consumatori (3 su 4) “fortemente preoccupati” per i rifiuti da contenitori per alimenti e 1 intervistato su 3 che lo citano come la loro considerazione più importante al momento della scelta di acquisto. Allo stesso tempo, il 46% degli europei afferma di aver ridotto in modo significativo il consumo di plastica per prevenire i rifiuti nell’ambiente.

Il sondaggio esamina anche i motivi per cui gli italiani scelgono vetro: per la sua riciclabilità (42%), per la sicurezza alimentare (34%), per il minor impatto ambientale (31%), Dalla ricerca emerge anche che la maggioranza dei consumatori ricicla i propri imballaggi di vetro (l’84% degli europei raccoglie il vetro separatamente per il riciclo) con un record in Italia con il 90% dei consumatori. Inoltre, 2 consumatori su 5 scelgono attivamente il vetro rispetto ad altri materiali da imballaggio proprio perché lo vedono come più riciclabile.

Fonte: Ansa

Coronavirus: Conai,a rischio raccolta rifiuti da imballaggio

L’emergenza coronavirus potrebbe mettere a rischio la raccolta dei rifiuti da imballaggio. E’ l’allarme del Consorzio nazionale imballaggi (Conai), che parla di “problemi indifferibili per l’intera filiera della gestione della raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio”. Per questo il Consorzio, alla luce del suo ruolo nel supporto dei Comuni italiani e cittadini nelle operazioni di raccolta, riciclo e recupero di questi rifiuti, ha già inviato una lettera al premier, al Capo della Protezione Civile, ai ministri competenti e al Presidente dell’Anci. Obiettivo: un immediato confronto con Governo e Regioni per scongiurare il pericolo della saturazione delle filiere.

Il blocco delle attività produttive non strategiche, denuncia il Conai, sta determinando la cancellazione di molti ordini d’acquisto di materia prima seconda, ossia la materia ottenuta da riciclo. Un problema che potrebbe, in tempi brevi, costringere i riciclatori a bloccare – almeno in parte – i ritiri dei rifiuti selezionati utilizzati per produrre materia riciclata: stanno aumentando gli stoccaggi in tutte le piattaforme di conferimento e selezione dei rifiuti, i cui limiti autorizzati determineranno a breve la sospensione delle attività di raccolta. “La compromissione delle attività presidiate da Conai può mettere a repentaglio la raccolta differenziata, inficiando i positivi risultati ottenuti negli anni e determinando conseguenze gravissime sul sistema di gestione dei rifiuti urbani, già congestionato”, afferma Giorgio Quagliuolo, presidente Conai. «Auspichiamo l’urgente adozione di interventi specifici e utili a preservare il comparto ma soprattutto l’ambiente”. (ANSA).

Ecco il supermercato dove la plastica è bandita (e trionfa l’economia locale)

Il Comune trentino di Ossana ha concesso un locale per un supermercato a una condizione: vietare contenitori di plastica e vendere quasi solo prodotti sfusi

Quell’immobile di proprietà pubblica era sfitto da anni. Per il Comune di Ossana, piccolo borgo da 800 abitanti in alta Val di Sole (Trentino), nessun vantaggio. Per la collettività nessun servizio in più. L’amministrazione comunale ha quindi pensato di sfruttarlo per una piccola rivoluzione: far aprire un supermercato che fosse, al tempo stesso, un simbolo delle azioni quotidiane possibili per la transizione ecologica, un esempio di lotta contro l’inutile produzione di rifiuti inutili, soprattutto plastici. E, per di più, ha voluto farne uno strumento per rafforzare l’economia territoriale e le filiere corte agricole.

Buone pratiche tra gli scaffali

«In Val di Sole abbiamo decine di produttori agricoli, allevatori e altre piccole imprese che faticano a trovare spazio nella Grande distribuzione organizzata classica e vengono messe a repentaglio dalle sue logiche spietate” spiega il sindaco di Ossana, Luciano dell’Eva. «Dovevamo assegnare un locale di proprietà comunale a Fucine, una frazione del nostro Comune. Abbiamo quindi pensato di farne un veicolo di buone pratiche».

L’idea, peraltro, fa parte di un pacchetto di iniziative che il Comune sta mettendo in campo da anni tese a ridurre l’impronta ecologica – a partire da quelli del settore turistico e della mobilità – ed è in prima linea per scelte di sostenibilità ambientale.

Un bando scritto bene

Lo strumento che ha reso possibile la piccola rivoluzione è un bando di gara. In Italia, spesso sono scritti molto male (e nei settori più disparati), con danni importanti per l’interesse collettivo. Questa volta, è accaduto il contrario.

Il bando per il nuovo supermercato conteneva vincoli precisi e stringenti: obbligo di vendere i prodotti alimentari secchi o senza il confezionamento in plastica o altro materiale (per una quota di almeno il 70%) o usando vetro (per almeno il 20%). La soglia sale ad almeno il 90% per i prodotti liquidi (olio, vino e altre bevande) che, in più, per il 75% dovranno essere stati prodotti o trasformati entro 110 chilometri dal punto vendita.

Norme “chilometriche” analoghe anche per il banco frigo (90% dei prodotti sfusi o in vetro e l’80% dovrà provenire da massimo 40 km di distanza) e per quelli ortofrutticoli freschi o trasformati come salse, sughi, creme e marmellate (90% sfusi o in vetro, dei quali 70% entro i 40 km e 20 entro i 110 km).

Inoltre, per i prodotti destinati alla pulizia e all’igiene, oltre ai requisiti dell’assenza di packaging e della provenienza territoriale, è stato inserito un obbligo di venderli in maxi-confezioni di vetro o alluminio per almeno il 20% del totale. Per trasportare la spesa poi tutti i contenitori dovranno essere realizzati in carta, stoffa o altro tessuto riutilizzabile. Addio shopper in polimeri plastici, insomma.

Il sogno della vincitrice: un biodistretto ai piedi dell’Ortles

Ad aggiudicarsi il bando è stata la titolare di un’azienda agricola biologica della zona: Patrizia Pedergnana, una giovane ragazza della Val di Pejo. La sua è la tipica storia di chi ha deciso di “tornare alla terra” convinta che coniugare attività umane e tutela dell’ambiente e della biodiversità sia non solo necessario ma anche possibile.

Nella sua azienda produce eccellenze locali ed è anche diventata “custode dei semi” per salvarli dall’estinzione. «Coltivare le antiche sementi della Val di Sole è un’azione concreta contro il collasso della biodiversità e per salvare la nostra tradizione» spiega a Valori. «Peraltro, questi semi dimostrano di avere una grande capacità di adattamento alle condizioni del territorio di origine per quanto difficili possano essere».

Nella nuova avventura del supermercato packaging free, Patrizia ripone un sogno personale: «creare un piccolo agrodistretto biologico a chilometro zero ai piedi delle vette alpine dell’Ortles Cevedale». Per riuscirci ha pensato di fare del “suo” supermercato uno snodo per i produttori locali. «Il loro ruolo è cruciale, al pari di quello dei consumatori – osserva – ma troppo poco spesso si rendono conto di quale straordinario potere abbiano nelle loro mani».

Fonte: Valori.it