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Coerentemente con il nuovo Piano regionale in Valle d’Aosta le tariffe più contenute verranno applicate solo ai SubAmbiti che differenziano meglio

Coerentemente alle misure previste nell’aggiornamento del Piano regionale per la gestione dei Rifiuti della Regione autonoma Valle d’Aosta (redatto da ESPER insieme ad Ambiente Italia, Scuola Agraria del Parco di Monza e Zimatec) è stata recentemente approvata dalla Giunta una diversa articolazione delle tariffe di trattamento in riferimento alla qualità dei flussi differenziati nei vari sub-ambiti.

A partire dal 2023, i cinque Sub-ambiti della Valle d’Aosta saranno quindi sottoposti a controlli più restrittivi riguardo non solo alla quantità ma anche e soprattutto alla qualità dei rifiuti raccolti in modo separato. Secondo il nuovo PNGR una corretta differenziazione dei rifiuti urbani risulta essenziale per poter contenere i costi del servizio di igiene urbana. Il criterio premiante non è quindi più esclusivamente legato all’elevata percentuale di raccolta differenziata e le tariffe più favorevoli saranno riconosciute solo ai sub-ambiti caratterizzati dalla migliore qualità dei rifiuti differenziati.

A fronte di una serie di controlli nell’impianto di trattamento e recupero di Brissogne sono state rilevate “frazioni estranee” in numero molto maggiore rispetto a quello atteso soprattutto per quanto riguarda la raccolta multimateriale, che per la Valle d’Aosta prevede plastica, metalli e alluminio. Queste frazioni estranee sono state finora presenti in percentuali che variano dal 17% al 35%. La conseguenza è una netta riduzione dei ricavi ottenuti dalla valorizzazione e riciclo di tale flusso differenziato multimateriale.

In accordo con Enval, società che gestisce l’impianto di Brissogne, sono state quindi introdotte le nuove tariffe e sanzioni che, a fronte di specifiche analisi merceologiche sulle frazioni di rifiuto differenziato, verranno eventualmente applicate ai Sub-ambiti caratterizzati da percentuali troppo elevate di “frazioni estranee”. Per i sub-ambiti caratterizzati da una migliore qualità delle raccolte differenziate, le tariffe applicate saranno più vantaggiose e quindi anche le bollette per i propri utenti saranno minori rispetto a quelle degli altri sub-Ambiti.

Un’ulteriore novità è l’esclusione delle plastiche dure (giocattoli, bacinelle, secchi…) dalla raccolta del multimateriale. Questi rifiuti dovranno essere portati nelle isole ecologiche o nei centri di conferimento.

Tutte queste iniziative mirano a garantire il raggiungimento degli obiettivi assunti dalla Regione cioè un tasso netto di effettivo riciclo per i rifiuti urbani del 65% e un tasso di raccolta differenziata almeno pari all’80% entro il 2026.


A cura di Andrea Tornavacca, ESPER

Imballaggi in plastica: un incubo per l’industria del riciclo

L’enorme varietà e abbondanza degli imballaggi in plastica — comprese le scatole blister, particolarmente difficili da aprire — sono un bel grattacapo per l’industria del riciclo.

Qualche tempo fa, le forbici venivano confezionate tra due spessi strati di plastica resistente. Sembravano imprigionate per sempre. Servivano una certa ingegnosità e un certo sforzo, per liberare l’articolo in offerta dalla sua prigione trasparente. Ma c’era anche il rischio di farsi male. Migliaia di persone si feriscono ogni anno procurandosi tagli e lesioni tentando di aprire confezioni di plastica e altri imballaggi simili.

Le scatole blister non solo sono state decretate l’imballaggio dal design peggiore di sempre, ma hanno anche dato origine all’espressione “furia da disimballaggio”, ben rappresentata dal comico Larry David nel tentativo di aprirne una. Ciononostante, i prodotti così confezionati riempiono gli scaffali di negozi e supermercati.

Gli imballaggi dei prodotti generano più rifiuti di plastica di qualsiasi altra industria. In Europa rappresentano il 59% di tutti i rifiuti di plastica, in termini di peso. Negli Stati Uniti tale quota probabilmente è più vicina al 65%, secondo gli esperti. Il mercato globale degli imballaggi è un’industria da 640 miliardi all’anno, e sta crescendo del 5,6% annuo. La plastica ne rappresenta un terzo, rendendo così il packaging il più grande settore di mercato per la plastica negli USA.

Le scatole blister, come la maggior parte delle confezioni, sono in plastica monouso e, anche se tecnicamente riciclabili, in realtà solo minime quantità vengono riconvertite negli USA. Questa tendenza dovrà cambiare rapidamente, se i produttori e l’industria della plastica vogliono tener fede agli impegni presi per il riciclaggio e il riutilizzo della plastica, e aumentare sostanzialmente il loro uso di plastica riciclata nel packaging.

L’evoluzione delle scatole blister

L’invenzione delle scatole blister, o bivalve, è attribuita a Thomas Jake Lunsford, anche se lui le chiamò “Sistema di packaging ed esposizione separabile” quando ne registrò il brevetto il 15 settembre 1976. Le scatole “bivalve”, come il loro nome suggerisce, sono formate da due “gusci” di plastica identici che racchiudono il prodotto uniti in un unico punto che funge da “cardine”. Quando le due parti vengono premute l’una contro l’altra, lo scatto dell’incastro forma la chiusura, che può essere più o meno difficile da aprire.

Lunsford non aveva previsto l’uso della sigillatura a caldo sui bordi per rendere le scatole blister impossibili da aprire senza l’uso di attrezzi. Le forbici, anche quelle non intrappolate negli imballaggi, non funzionano bene su queste plastiche “scivolose”. Inoltre, così come i taglierini, comportano un certo rischio di ferirsi le mani. Le cesoie funzionano meglio, ma c’è uno strumento ideato appositamente per aprire questo tipo di confezioni.

Per aiutare la madre di 90 anni ad aprire gli imballaggi in plastica, tanti anni fa il dentista in pensione Steve Fisher inventò lo Zip-it Opener, un “apriscatole” a batteria per confezioni in plastica. È uno strumento molto popolare tra gli anziani, le persone affette da artrite o comunque con ridotta forza nelle mani, disse Fisher in un’intervista.

Le scatole blister rimangono una tipologia di packaging molto usata nella vendita al dettaglio perché il prodotto è visibile dai due lati, può essere appeso o semplicemente appoggiato sugli scaffali, ed è difficile da taccheggiare perché la confezione è più grande del prodotto al suo interno. È molto più leggera del cartone e di qualsiasi altro materiale alternativo quindi consente di risparmiare energia nel trasporto, è più economica da produrre e più durevole. Nell’industria alimentare viene utilizzato oltre il 60% di tutto il packaging prodotto sotto forma di scatole blister.

“La varietà di tipologie di scatole bivalve e blister è enorme”, afferma Sara Greasley, che ha un noto blog sul packaging e lavora nel settore. Le confezioni in blister generalmente sono formate da un involucro di plastica montato su un supporto in cartone. Le pile ad esempio, vengono ancora vendute così. Ma i due termini — scatole bivalve e confezioni blister — spesso vengono usati in modo intercambiabile, e questo può creare confusione, afferma Greasley.

Il tipo di packaging usato è spesso determinato dai rivenditori, soprattutto dalle grandi catene che hanno specifici requisiti per il confezionamento delle merci, afferma. Il packaging deve superare specifici test di resistenza, ad esempio allo scuotimento, alla rottura e alla caduta, che garantiscono che il prodotto non venga danneggiato. 

Riciclabile non significa riciclato

L’enorme varietà e abbondanza degli imballaggi in plastica si rivela essere un bel grattacapo per l’industria del riciclo. “È una grande sfida” riconosce Steve Alexander, Presidente dell’Association of Plastic Recyclers. “Le scatole blister normalmente sono fatte di PET, quindi sono altamente riciclabili”, afferma Alexander.

C’è una forte domanda di PET (polietilene tereftalato) riciclato, contenuto nelle scatole blister nuove, in particolare in quelle usate nell’industria alimentare. Tuttavia, questi imballaggi non vengono riciclati perché non vengono raccolti, e se vengono raccolti la maggior parte degli impianti di recupero dei materiali non sono in grado di separarli dagli altri materiali. E quando questo è possibile, le etichette o i residui di cibo possono essere problematici da rimuovere, così come il supporto in cartone delle confezioni blister, afferma.

I consumatori stanno scegliendo sempre di più i prodotti sostenibili — con relativo packaging — che si vendono al doppio della velocità rispetto agli altri prodotti, come ha mostrato uno studio di Nielsen del 2018.

Nell’ultimo decennio le iniziative per un packaging sostenibile di Amazon hanno ridotto i rifiuti prodotti dal packaging di Amazon del 16%; l’obiettivo è arrivare a una riduzione complessiva del 25%, afferma. A questo scopo l’azienda ha sviluppato una busta di carta imbottita interamente riciclabile per sostituire le onnipresenti buste gialle imbottite con plastica pluriball.

Ridurre e riutilizzare su larga scala

Giganti multinazionali come PepsiCoCoca Cola e Walmart, e altri 400 marchi, hanno fissato ambiziosi propositi di riciclaggio in base al New Plastics Economy Global Commitment, avviato nel 2018 dalla Ellen MacArthur Foundation. L’obiettivo è un’economia circolare per la plastica che prevede che la stessa non diventi mai un rifiuto, e il packaging è il primo target.

A questo fine anche le aziende hanno accettato di aumentare la quantità di plastica riciclata usata nel packaging di un 25% di media entro il 2025, rispetto all’attuale media globale del solo 2%. Anche questa è una grande sfida, ha detto Alexander. “Per raggiungere questi obiettivi abbiamo bisogno di una quantità di PET 3,5 volte superiore a quella che viene attualmente raccolta e differenziata”, continua.

Anche le bottiglie di plastica sono in PET e sono la fonte principale per le aziende di riciclo. Nei prossimi dieci anni sarà necessario un investimento di oltre 2 miliardi di € solo in impianti di trasformazione, per raggiungere gli obiettivi delle aziende, secondo un report del gruppo di ricerca e analisi Wood Mackenzie. E questo non include gli ulteriori investimenti per le strutture di raccolta e di recupero dei materiali.

Quindi ora le navi cariche di rifiuti di plastica americani vengono spedite in paesi come Thailandia, India e Indonesia, dove la maggior parte dei rifiuti viene gestita in modo inappropriato. E nel 2018 la plastica bruciata negli USA è stata sei volte di più di quella riciclata. Bruciando, la plastica produce CO2 e può rilasciare tossine. Solo il 50% delle famiglie negli USA ha la raccolta porta a porta, quindi come fanno le aziende di riciclaggio ad avere accesso al materiale? – chiede Alexander. 

Meno del cinque per cento della plastica viene riciclato, negli USA. Il resto va in discarica, viene bruciato o esportato. Nel 2017, 907 tonnellate di rifiuti di plastica sono state mandate in Cina e ad Hong Kong, e lo stesso anno la Cina disse che non ne avrebbe accettati altri. “È necessario affrontare un dibattito serio in questo Paese sulla soluzione di questo problema”, afferma Alexander.

A parte il riciclaggio, il riutilizzo delle scatole blister è la caratteristica che Lunsford, il loro inventore, affermava fosse il vantaggio rispetto al packaging plastico esistente. Ma lì nel negozio, avevo una scatola blister termosigillata di plastica spessa in mano, con un paio di forbici blindate lì dentro. Erano forbici forti, in grado di aprire qualsiasi tipo di confezione. Ma, come Larry David, avrei dovuto distruggere l’imballaggio per tirarle fuori, rendendo la scatola in plastica non più riutilizzabile. Quelle forbici valevano lo sforzo e il rischio necessari per liberarle dalla loro prigione di plastica? Le ho rimesse sullo scaffale.

Fonte: National Geographic Italia

Tavola rotonda a Cagliari riguardo al docufilm “Oltre i luoghi Comuni”

Il 29 marzo 2023, presso la Sala MEM del Comune di Cagliari, ha avuto luogo una tavola rotonda a seguito della presentazione di “Oltre i luoghi Comuni”, il docufilm del regista Alessandro Scillitani realizzato da Greenaccord Onlus e da un’idea del Direttore generale di ESPER, Attilio Tornavacca.

Il Sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu, ha dichiarato la sua soddisfazione per i progressi che Cagliari ha compiuto nella raccolta differenziata e nella valorizzazione dell’ambiente, passando da essere uno dei comuni con i dati peggiori ad uno dei migliori, insieme alla Città Metropolitana.

L’inviato della RAI ha poi chiesto cosa caratterizzi i cittadini delle realtà più virtuose “Si rileva spesso un sentimento di orgoglio, c’è un senso di appartenenza riacquistato, perché – ha chiarito il Dott. Tornavaccaci si sente parte di una comunità che sta facendo del suo meglio per difendere le generazioni future.

Nel docufilm vengono infatti smentite una serie di errate convinzioni che a volte scoraggiano e rendono meno lungimiranti, sul tema dei rifiuti, sia le amministrazioni che i cittadini. Si è cercato di mostrare un’Italia ricca di eccellenze che sono poco conosciute ma che potrebbero trainare tante altre realtà verso percorsi più virtuosi, come quello dell’economia circolare, della tariffazione puntuale e della tutela ambientale.

Sono infatti molte le testimonianze da Nord a Sud che promuovono i traguardi raggiunti e le buone pratiche, permettendo così di stimolare non solo altre amministrazioni ma anche i cittadini, senza i quali non sarebbe stato possibile puntare o addirittura superare il traguardo dell’80% della raccolta differenziata nei Comuni mostrati nel docufilm.

Dopo la proiezione si è aperto un dibattito moderato dal Direttore di “Italia Libera”, Igor Staglianò, al quale hanno preso parte anche la Presidente Regionale di Legambiente, Annalisa Columbu, il Segretario generale della CGIL Sardegna, Fausto Durante, il vice Sindaco Metropolitano con delega all’ambiente, Roberto Mura e l’Assessore all’Innovazione tecnologica, Ambiente e Politiche del Mare, Alessandro Guarracino.

Si riporta di seguito il link al servizio del TG Regione di Rai3: Cagliari tra i comuni più virtuosi per la gestione dei rifiuti

ed il link al docufilm: Oltre i luoghi Comuni


A cura di Andrea Tornavacca, ESPER

Nasce Planet Reuse, il portale europeo per il riuso. “Per connettersi, imparare e collaborare”

Arriva dall’Olanda il sito che mira a diffondere e a mettere in comune le soluzioni di riuso finora introdotta in maniera sparsa in Europa. Planet reuse è “la prima piattaforma e rete online europea che riunisce professionisti per connettersi, imparare e collaborare”

Un portale online per il riuso, facile da consultare e da cui visualizzare tutte le soluzioni di riuso applicate in Europa? Da qualche tempo ciò è possibile grazie a Planet Reuse, il sito che, come si legge sulla homepage, costituisce  “la prima piattaforma e rete online europea che riunisce professionisti per connettersi, imparare e collaborare sul tema del riutilizzo e delle soluzioni di imballaggio riutilizzabili”. Al momento in cui scriviamo la piattaforma vanta 416 membri, 266 organizzazioni e 64 soluzioni di riuso. E l’Italia? La domanda è pertinente soprattutto se si considerano le (presunte) specificità del nostro Paese, che negli ultimi anni si è contraddistinto per una sorta di resistenza alle direttive comunitarie che combattono la plastica monouso e favoriscono soluzioni di riuso, come insegnano le recenti vicende della direttiva SUP e del regolamento sugli imballaggi.

“Al momento il portale è disponibile in lingua inglese, francese, tedesca e olandese, a breve sarà attivata anche la lingua italiana – segnala su Linkedin Paolo Azzurro, responsabile dell’area economia circolare per ANCI Emilia Romagna –  Nell’attesa abbiamo attivato sul portale anche l’Hub Italiano, che si propone quale luogo di incontro e confronto tra operatori economici, tecnici, ricercatori, amministratori pubblici interessati allo sviluppo e all’implementazione di soluzioni basate sul riuso sul territorio nazionale. La registrazione e l’utilizzo delle funzioni messe a disposizione dal portale è gratuita e aperta a tutte e tutti”.

Il riuso a portata di tutti

Seppur attivo da poco, esattamente dal settembre 2022, Planet Reuse sta facendo già parlare di sé. Facile da fruire e accattivante nella grafica, il portale è nato in Olanda e vanta, tra i partner, anche la rete Zero Waste Europe e l’Istituto olandese per il packaging sostenibile. Sebbene gli imballaggi riutilizzabili esistono da decenni in Europa, è stato solo negli ultimi anni che centinaia di soluzioni di riutilizzo sono state sviluppate e introdotte sul mercato. Molte di queste, nate magari come start-up, sono poi diventate nuove ed estese applicazioni in molti settori: dall’e-commerce al cibo e alle bevande fino ai prodotti per la cura della persona. Tuttavia la sensazione è che ancora ci si muova troppo in maniera singola, soprattutto all’interno dei singoli Stati dell’Unione europea. E manca anche un’implementazione diffusa e su larga scala di modelli comuni di riuso, che ovviamente poi ciascun territorio dovrà adattare in base alle proprie esigenze.

Quel che è mancato, insomma, è lo scambio. Ecco perché, come scrive il sito Packaging Revolution, nell’estate del 2021 alcuni appassionati di riutilizzo in tutta Europa si sono incontrati e hanno discusso su come accelerare la transizione dagli imballaggi monouso a quelli riutilizzabili. L’idea era proprio quella di aumentare la visibilità delle soluzioni di riutilizzo e migliorare l’accesso alla conoscenza e agli strumenti che supportano il processo decisionale e l’implementazione di modelli di riutilizzo. Nei mesi che seguirono si capì che il vero valore aggiunto sarebbe stato riunire i professionisti per imparare gli uni dagli altri e consentire la cooperazione e la collaborazione tra questi professionisti.

Aumentando la visibilità delle soluzioni di riutilizzo – si legge nel manifesto di Planet reuse – le possibilità di trovare partner di cooperazione (come fornitori e fornitori di servizi) e attraverso una comunità impegnata e attiva, miriamo ad accelerare l’implementazione di soluzioni di riutilizzo e l’espansione dell’infrastruttura di imballaggio riutilizzabile. In questo modo, possiamo prevenire attivamente i rifiuti di imballaggio. La fondazione senza scopo di lucro dietro Planet Reuse è orientata all’impatto, trasparente e indipendente. È neutrale per quanto riguarda il contenuto, basata sui fatti e scientificamente valida, garantita da un comitato di esperti del settore. Un comitato consultivo assicurerà che la piattaforma rimanga neutrale e indipendente da qualsiasi influenza”.

Fonte: EconomiaCircolare

Spagna, dal 2023 stop alla vendita di frutta e verdura in imballaggi usa e getta di plastica

Lo prevede una bozza di decreto diffusa dal ministero per la transizione ecologica di Madrid. Al vaglio anche un sistema di deposito su cauzione e restituzione degli imballaggi per bevande per migliorarne il riciclaggio.

Stop al monouso e istituzione di un sistema di deposito su cauzione finalizzato al riciclaggio. Sono questi i due obiettivi principali del decreto spagnolo su imballaggi e rifiuti, reso noto dal Ministero per la transizione ecologica di Madrid.

Secondo quanto emerge, la vendita di frutta e verdura in imballaggi di plastica sarà vietata nei supermercati e nei negozi di alimentari spagnoli a partire dal 2023. Il divieto si applicherà ai prodotti di peso inferiore a 1,5 chilogrammi, seguendo il modello francese, dove una misura simile è stata approvata recentemente ed entrerà in vigore già il prossimo anno.

Verrà, inoltre, istituito un sistema di deposito su cauzione che prevede il pagamento anticipato di almeno 10 centesimi di euro per ogni bottiglia di plastica o lattina, che sarà restituito al consumatore solo al momento della riconsegna dell’imballaggio, avviato poi al successivo riciclaggio.

La proposta aggiorna in maniera significativa la normativa vigente in Spagna, in vigore da 20 anni, con importanti passi in avanti verso un’economia circolare, incorporando obiettivi e misure specifici per confezionamento, distribuzione, consumatori e amministrazioni.

Deposito su cauzione obbligatorio in caso di mancato raggiungimento dei target di riciclo

Una delle misure cardine contenute nella bozza è l’implementazione di un sistema di deposito cauzionale e restituzione degli imballaggi, come già realizzato in altri Paesi europei. Il modello prevede che i consumatori lascino in deposito alcuni centesimi per ogni bottiglia di plastica o lattina, che potranno recuperare solo alla restituzione. Questo meccanismo diventerà “obbligatorio” per le bottiglie di plastica monouso e le lattine per bevande, nel caso in cui non vengano raggiunti gli obiettivi intermedi per la raccolta differenziata delle bottiglie di plastica monouso, per le bevande sotto i 3 litri: 70% nel 2023 e 85% nel 2027.

Inoltre, per i contenitori saranno approvati nuovi obblighi di etichettatura circa il loro materiale, la riciclabilità, la percentuale di materiale riciclato e il contenitore in cui devono essere depositati dopo l’utilizzo.

Stop al monouso 

Il decreto prevede, inoltre, l’obbligo per le autorità ad ogni livello governativo di “incoraggiare l’installazione di fontanelle negli spazi pubblici” e “introdurre alternative alla vendita di bevande in bottiglia”, nonché di revocare “la distribuzione di bicchieri monouso” in occasione di eventi pubblici, a partire dal 2023.

I punti vendita dovranno offrire un “numero minimo” di referenze di bevande in contenitori riutilizzabili, entro un periodo compreso tra i 12 ei 18 mesi dall’approvazione del regio decreto, a seconda delle dimensioni del negozio.

Alberghi, ristoranti e caffetterie dovrebbero utilizzare bottiglie riutilizzabili a un tasso del 50% entro il 2025. Nel caso della birra, gli obiettivi sono l’80% al 2025 e il 90% al 2030. Per le bevande analcoliche gli obiettivi sono, invece, il 70% e l’80%.

“Una pandemia: beviamo, mangiamo e respiriamo plastica”

Erano anni che i gruppi ambientalisti spagnoli si battevano per eliminare, o almeno ridurre il più possibile, la plastica dagli scaffali di supermercati e negozi alimentari.

Julio Barea di Greenpeace, ha espresso il parere favorevole dell’associazione sull’adozione delle nuove misure, ma ha anche aggiunto che sarà importante aspettare e vedere “come verranno applicate”. Beviamo plastica, mangiamo plastica e respiriamo plastica”, ha dichiarato, denunciando il pericolo di quella che ha definito, senza mezzi termini, una vera e propria “pandemia”.

Da Barea non sono poi mancate le critiche al Governo, guidato dal Partito Socialista (PSOE) e Unidas Podemos, accusato di non muoversi abbastanza in fretta “per porre fine radicalmente al flusso di inquinamento da plastica”.

Fonte: EconomiaCircolare

In Europa i produttori di sigarette pagano per la raccolta dei mozziconi abbandonati: quando in Italia?

I mozziconi di sigaretta si trovano ormai ovunque, in strada, sui marciapiedi e persino in spiaggia o in mare. Per cercare di contrastare l’inquinamento derivante dalla pratica, purtroppo largamente diffusa, di gettare in terra sigarette “usate” o simili (tabacco riscaldato), molti governi si sono mobilitati cercando in primis di sanzionare questi comportamenti illeciti ed irrispettosi con specifiche multe, successivamente si è passato alla responsabilizzazione delle aziende produttrici di sigarette e dei  rifiuti abbandonati derivanti da tale consumo, con l’approvazione di alcune norme in Paesi come la Spagna e la Francia. Le aziende produttrici di tabacco sono state quindi obbligate a fare una cosa molto simile in entrambi i paesi, contribuire con ingenti somme alla tutela  dell’ambiente da questo rifiuto così insidioso, che impiega normalmente una decina di anni per decomporsi, rilasciando in questo arco di tempo circa 7.000 sostanze chimiche, molte di queste cancerogene per l’uomo.

In questi Paesi si sta anche cercando di disincentivare l’uso del tabacco attraverso campagne volte a sensibilizzare l’utente, pubblicità anti-fumo e, in Spagna, con divieti in tutte le spiagge. A Barcellona è infatti bandito il fumo in tutte le spiagge cittadine.

In Italia la percentuale di fumatori è circa il 25% della popolazione, che consuma in media 12 sigarette al giorno. Secondo stime non ufficiali vengono fumate circa 68 miliardi di sigarette all’anno, non si sa quanti di questi mozziconi prodotti finiscono nell’ambiente ma nel corso dell’indagine “Park Litter 2022” di Legambiente è emerso che il 42,2% dei rifiuti totali abbandonati, raccolti in un campione rappresentato da 56 parchi pubblici di 28 città italiane, è rappresentato proprio da mozziconi.

Negli ultimi giorni ha fatto molto discutere la scelta del Governo di non aumentare le tasse (più specificatamente le accise) sui pacchetti di sigarette già pronti all’uso ma solo sul tabacco trinciato in pacchetti da 30g. Si deve inoltre considerare che la percentuale dell’accise specifica è la più bassa dell’unione europea (si veda https://www.tabaccoendgame.it/news/il-confronto-tra-prezzi-e-tasse-sulle-sigarette-nei-paesi-ue-mostra/) e che la Fondazione Veronesi già nel 2021 ha presentato una petizione al Parlamento per chiedere l’aumento delle accise su sigarette, tabacco sciolto e tabacco riscaldato. ed ha recentemente pubblicato un articolo riguardante l’importanza delle accise su tutti i tipi di prodotto derivante dal tabacco, del quale consigliamo la lettura al seguente link.

Nuove Eco-etichette dal 2023

Dal 1° gennaio 2023 è entrato in vigore l’obbligo di etichettare in maniera ecologica e sostenibile tutti gli imballaggi che verranno commercializzati. Da pochi giorni è infatti vietato l’uso delle “vecchie” etichette su prodotti ancora da immettere nei mercati. Tutti gli imballaggi che erano già presenti in commercio o con già un’etichetta ecologica entro l’inizio dell’anno nuovo, potranno continuare ad essere venduti fino all’esaurimento delle scorte. Dal 2020 una serie di proroghe avevano posposto questa scadenza al 1° gennaio 2023, obbligo che era già previsto nel cosiddetto “Codice Ambientale” all’articolo 219, comma 5, del Dlgs 152/2006. La precedente normativa è stata in seguito completata dal Dm Ambiente 360/2022, volta a chiarire gli obblighi ed evitare le pesanti sanzioni (da 5.000 a 25.000 euro) che potrebbero scaturire dall’inosservanza del Dm.

Le etichette e le loro applicazione sono diverse in base al settore di utilizzo ed i produttori devono indicare e specificare su qualsiasi tipo di imballaggio (primario, secondario o terziario) un codice alfa-numerico previsto dalla decisione 97/129/CE. Oltre al codice è necessario anche facilitare la raccolta, il riutilizzo o il facile riciclo degli imballaggi, anche aiutando i consumatori a capire meglio la destinazione finale. Queste informazioni possono essere comunicate anche attraverso l’uso di QR code, siti web o app e prevedono l’uso di un colore diverso per identificare le varie tipologie di etichette in base al materiale: alcuni esempi sono il marrone per l’organico, il blu per la carta, il giallo per la plastica, etc.

Sull’etichetta si dovranno riportare i materiali utilizzati per l’imballaggio oltre alle marcature specifiche, già previste dall’articolo 182-ter, comma 6, lettera b, Dlgs 152/2006, per gli imballaggi in plastica compostabile o biodegradabile, che se opportunamente etichettati, potranno essere riciclati come rifiuti organici.

Il Ministero ha inoltre chiarito che, fino ad ulteriori nuove specifiche, i precedenti obblighi non si applicano agli imballaggi dei medicinali destinati all’uso umano o veterinario.

Nuove candidature per le città “rifiuti zero”: Monaco di Baviera e Barcellona

In questi ultimi giorni è giunta ufficialmente la candidatura di Monaco di Baviera e Barcelona a “Zero Waste Cities”, standard europeo molto rigido che caratterizza quelle realtà che hanno firmato un vero e proprio impegno a diminuire in maniera drastica la produzione di rifiuti. Candidature molto importanti perché servirebbero a dimostrare che anche dei centri enormi, entrambi con circa 1,6 milioni di abitanti, possono diventare dei baluardi di prevenzione, riciclaggio ed anche riuso.

A Monaco di Baviera, terza città più popolosa della Germania, sono state stilate circa 100 misure per prevenire l’uso di nuove risorse e ridurre il quantitativo di rifiuti che, per i rifiuti domestici pro capite all’anno, sarà ridotto del 15% entro il 2035 e per i rifiuti residui la quantità sarà ridotta del 35%. Il sindaco di Monaco ha dichiarato di essere entusiasta del percorso che la sua città sta facendo ormai dal 2019 e che con la firma della candidatura si punta ad avere un ruolo pionieristico in Europa.

Barcellona sta coinvolgendo la comunità locale oltre che molte parti interessate dall’argomento per velocizzare e facilitare la “zero waste strategy”, con l’obiettivo di raggiungere un tasso di raccolta differenziata almeno del 67% entro il 2027 ed un massimo di rifiuti pro capite prodotti pari a 427 kg. Barcellona lavora ormai da anni sul tema della prevenzione dei rifiuti grazie alla guida dell’organizzazione Rezero e con una serie manovre quali lo Zero Waste Plan 2021-2027, il Zero Plastic Commitment e il Carbon Calculator. La sindaca inoltre ha dichiarato che le grandi città dovrebbero sentirsi in debito con il territorio del quale fanno parte per l’eccessiva produzione di rifiuti e Barcellona punta a diventare una città neutrale, più responsabile ed anche ispiratrice.

Riguardo a quest’ultima candidatura il direttore esecutivo di Zero Waste Europe, Joan Marc Simon, si è dimostrato molto orgoglioso della sua città natale per l’impegno preso verso la certificazione zero waste e ricorda di quando, nel 2010, il concetto di rifiuti zero a Barcellona non si pensava realizzabile.

I record di Fiumicino: «se ce l’abbiamo fatta noi…»

Dal 38 per cento del 2016 all’attuale 80, il Comune di Fiumicino ha scalato a passo di carica la montagna della raccolta porta a porta, dopo aver liquidato la municipalizzata ed esternalizzato il servizio perché la «differenziata stradale non funzionava, non portava miglioramenti e non permetteva di controllare la qualità dei rifiuti». Più che da quelli, però, la montagna era rappresentata dalla stessa fisionomia della città alle porte di Roma, fatta di aree densamente abitate e di zone rurali: estendere il porta a porta a tutti gli 85 mila concittadini, superando le diversità urbanistiche e logistiche, per il trentenne Enzo Di Genesio Pagliuca, vicesindaco Pd e consigliere dal 2011, è stata la vera palestra politica. Tante le difficoltà, racconta, ma tutte superate sul campo, sperimentando e collaborando, caso per caso, o meglio, casa per casa.

«Nelle zone a maggior densità —sottolinea il vicesindaco Pagliuca—, come il nuovo quartiere San Leonardo, tra palazzi di dieci piani con centinaia di appartamenti, dove era difficile fare accettare i bidoni condominiali, i condòmini si sono messi d’accordo, distribuendosi i compiti per radunare e poi esporre all’esterno i rifiuti che in un primo tempo andavano accumulandosi negli androni. Il meccanismo oggi funziona come un orologio. Nella zona rurale i problemi della raccolta erano anche più imprevedibili, legati alla frequenza, all’effetto della temperatura sui rifiuti, all’opera degli animali, ma anche lì abbiamo preso le misure». Per un comune turistico, oltretutto, i problemi si moltiplicano nrel periodo estivo. «Fiumicino ha 800 strutture di somministrazione, tra ristoranti e stabilimenti balneari, cui si aggiungono i rifiuti di due milioni di turisti all’anno: un carico che stiamo imparando a fronteggiare, calibrando le forze in base alle previsioni».

— Ma i costi di un porta a porta così spinto?

«Milioni di euro in più, ma vendiamo i materiali separati ai consorzi che li riciclano. Così, negli ultimi nove anni, da quando il centro-sinistra guida il Comune, siamo riusciti a non alzare di un centesimo la Tari, senza contare che Fiumicino è vistosamente più pulita e, aggiungo, che la differenziata domestica è fondamentale per educarci alla gestione consapevole dei rifiuti. In ogni caso, non dimentichiamo che 13 anni fa, quando chiuse la discarica di Malagrotta, l’indifferenziato, che era quasi il totale dei rifiuti conferiti, ci costava 70 euro a tonnellata, e ora ne costa quasi 200. Se non lo avessimo ridotto dell’80 per cento, la spesa sarebbe insostenibile».

— L’aeroporto Leonardo da Vinci come viene gestito?

«Per fortuna gestisce in modo indipendente i rifiuti dei suoi 44 milioni annuali di arrivi».

—Vi siete avvalsi di consulenti esterni?

«Sì, in particolare di E.S.P.E.R, che ci ha seguito a lungo ed anche attualmente, prima come supporto tecnico per lo sviluppo del progetto, poi come direzione per l’esecuzione del contratto. Professionisti del settore molto qualificati che operano solo per soggetti pubblici e che hanno curato anche la redazione del Piano regionale per la gestione dei rifiuti».

— Dove sono stati più utili?

«Nella corretta gestione della plastica in particolare, anzi, delle plastiche. Sono i materiali che ormai incidono di più sui costi, perché sono i più voluminosi».

— E la tariffazione puntuale, cioè ‘pago-per-i-rifiuti-che-produco’?

«È un passaggio importante per raggiungere i nostri prossimi obiettivi, che sono l’ulteriore riduzione sia della quota di rifiuti indifferenziati, sia della Tari, attraverso un sistema di sconti, legati, ad esempio, all’uso delle compostiere, all’età, al reddito, al numero di componenti la famiglia. La tariffa a volume è prevista nel nuovo piano rifiuti regionale, insieme a una forte campagna di informazione. Partirà dopo l’estate per le utenze commerciali, che ne avranno anche un vantaggio economico, perché prima, quando superavano una certa quantità, erano costrette a stipulare contratti a parte, mentre così non ci saranno limiti. Poi sarà allargata alle utenze domestiche».

— Inceneritori?

«Non ci servono, puntiamo a diminuire lo scarto migliorando la selezione, specie quella più problematica dei vari polimeri plastici, ma anche quella degli scarti umidi che oggi costa da smaltire ben 130 euro a tonnellata. Per questo, abbiamo deciso di girare al gestore i proventi della vendita dei materiali riciclati».

— Come combattete ‘Sacchetto Selvaggio’?

«La rimozione è compresa nel nuovo contratto con la ditta. Questo, insieme alle fototrappole, servirà a tenere pulite le strade e a disincentivare eventuali interessi di parte che contribuiscono ad aumentare il fenomeno».

— Giusto a un tiro di sacchetto da qui, c’è Roma, della quale Fiumicino faceva parte fino al 1992. Un paragone è inevitabile…

«Con tutte le differenze e le difficoltà della Capitale, il nostro Comune, per la sua estensione, la varietà ambientale — comprende anche riserve naturalistiche e archeologiche — e la complessità urbanistica e sociale, rappresenta un modello plausibile dei problemi di una grande città. Va anche detto che l’integrazione è essenziale: il nostro nuovo impianto per gli umidi, a Maccarese, potrà accogliere sessantamila tonnellate, di cui diecimila di Fiumicino e il resto a disposizione dei comuni vicini. Insomma, mi sembra di poter dire che se ce l’abbiamo fatta noi…».

A cura di Igor Staglianò

Nuovi CAM per la raccolta dei rifiuti

Il 5 agosto è stata pubblicata la Gazzetta Ufficiale n° 182, nella quale si è ritenuto opportuno revisionare ed aggiornare il decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare del 13 febbraio 2014 con cui erano stati pubblicati per la prima volta i Criteri Ambientali Minimi (abbreviato usualmente in CAM). Questo aggiornamento mira principalmente a massimizzare qualità e quantità della raccolta differenziata, stando però attenti anche a prevenire la produzione di rifiuti anche grazie alla diffusione di beni riciclati o contenenti materiale riciclato.

Nelle 63 pagine che compongono il documento si leggono molte novità che dovranno essere introdotte per l’affidamento dei servizi di igiene urbana quali, ad esempio, l’uso di sacchetti coerenti al rifiuto che contengono (plastica con plastica e carta e con carta ecc.). Emerge inoltre una particolare attenzione per la percentuale minima di materiale riciclato da utilizzare nella produzione di contenitori per la raccolta dei rifiuti e l’introduzione di criteri premianti.

Sono previsti nuovi standard qualitativi anche per il materiale raccolto che saranno più elevati per la raccolta monomateriale, più contenuti per il multimateriale mentre per la raccolta differenziata della carta viene imposta esclusivamente la raccolta monomateriale.

Particolare attenzione è stata usata anche nel caso della raccolta delle pile, dei RAEE, dei farmaci ed oli esausti, che dovranno essere raccolti non solo grazie a contenitori pubblici ma anche con eventi temporanei oppure occasionali.

Per i centri di raccolta sarà importante disporre di un sistema di monitoraggio al fine di poter acquisire dati sull’effettivo recupero di materia rispetto alla sola percentuale di raccolta differenziata. Tali dati dovranno essere poi inseriti in un rapporto annuale che verrà reso disponibile alla stazione appaltante solo dopo due mesi dalla presentazione del MUD.