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Rifiuti pericolosi e gestione europea

La gestione dei rifiuti pericolosi è una delle questioni più importanti per l’Unione Europea. Nonostante l’adozione di una serie di normative per garantire la protezione dell’ambiente e della salute pubblica, la gestione dei rifiuti pericolosi rimane una questione critica.

Eurostat ha riferito che nel 2019 nell’UE sono stati prodotti oltre 100 milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi, di cui solo il 44% è stato gestito attraverso il riciclaggio, il 33% è stato smaltito in discarica e il restante 23% è stato trattato in impianti di recupero energetico. Questi numeri evidenziano che la maggior parte dei rifiuti pericolosi generati nell’UE non è ancora gestita correttamente.

Il problema della gestione dei rifiuti pericolosi riguarda soprattutto le piccole e medie imprese, che spesso non hanno le risorse per affrontare i costi elevati della gestione dei rifiuti. Inoltre, le normative europee sulla gestione dei rifiuti pericolosi sono complesse e variano da Paese a Paese, rendendo difficile per le aziende operare a livello transfrontaliero.

Un altro problema riguarda la mancanza di capacità di trattamento dei rifiuti pericolosi in molti Paesi dell’UE. In particolare, i Paesi dell’Europa orientale e sudorientale hanno le maggiori difficoltà a gestire i rifiuti pericolosi, a causa della mancanza di impianti di trattamento e della scarsa attenzione prestata alla questione.

Per affrontare il problema dei rifiuti pericolosi, l’UE ha adottato una serie di misure, tra cui la Direttiva sui rifiuti pericolosi del 2008, che stabilisce le regole per la gestione dei rifiuti pericolosi nell’UE. È stato inoltre istituito un sistema di controllo dei movimenti dei rifiuti per monitorare il trasporto di rifiuti pericolosi tra i Paesi dell’UE e prevenire il traffico illegale di rifiuti, anche verso Paesi Extra-Ue come la Turchia, dove è stata recentemente documentata la trasmissione “Presa diretta”.

Tuttavia, nonostante questi sforzi, la gestione dei rifiuti pericolosi continua a rappresentare una sfida per l’UE ed è molto importante che si continui a lavorare per migliorare la gestione dei rifiuti pericolosi e garantire la protezione dell’ambiente e della salute pubblica. Ciò comporta una maggiore cooperazione tra i Paesi dell’UE, la promozione di tecnologie avanzate per il trattamento dei rifiuti pericolosi e la sensibilizzazione delle imprese e dei cittadini sull’importanza di una corretta gestione dei rifiuti.

In sintesi, l’Unione Europea deve affrontare l’incognita dei rifiuti pericolosi in modo efficace e urgente. La gestione di questi ultimi è una questione critica che richiede un approccio coordinato e sistematico.


A cura di Andrea Tornavacca, ESPER

L’UE boccia (di nuovo) l’Italia su rifiuti e smog

Presentata la valutazione dell’attuazione ambientale (EIR), il documento che valuta come l’Italia applica le norme UE: la Commissione ci boccia su rifiuti e smog, mentre ritiene incoraggianti i passi avanti del nostro Paese per l’economia circolare

Norme ambientali europee, dove stiamo sbagliando?
Nel documento di valutazione dell’attuazione delle norme ambientali europee il nostro Paese non presenta buone performance: la Commissione UE boccia l’Italia su rifiuti e smog.

I nostri punti deboli restano la gestione dei rifiuti, la qualità dell’aria e la definizione delle aree protette, mentre Bruxelles ci incoraggia a proseguire nel percorso intrapreso su economia circolare e piani per i bacini idrografici, anche alla luce dei miglioramenti che potrebbero arrivare dall’attuazione del Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza.

Sono già 18 le procedure di infrazione che la Commissione ha aperto verso l’Italia negli anni, e la metà di queste potrebbero concretamente diventare sanzioni pecuniarie perché sono già in una fase avanzata dell’iter che può portare alla Corte di Giustizia Europea. Non sarebbe la prima volta. Ad oggi sono stati comminati milioni di euro di multe per l’emergenza rifiuti in Campania, per la presenza di discariche illegali sul territorio nazionale e per le attività di scarico di acque reflue in aree sensibili: a partire dal 2015, siamo già stati multati per più di 620 milioni di euro.

L’UE boccia l’Italia su rifiuti
Già negli anni passati la Commissione aveva invitato il nostro paese ad adeguarsi alle norme comunitarie in particolare su una serie di aspetti:

in materia di gestione dei rifiuti urbani, perché si limitasse progressivamente il conferimento in discarica a favore di uno sviluppo della raccolta differenziata, soprattutto al Sud;
nel trattamento delle acque reflue, richiedendo maggiori investimenti in strutture adibite a gestirlo in maniera efficace;
nella riduzione di particolato (PM10 e PM2,5) e di biossido di azoto, intervenendo sulla riduzione del traffico;
nel completamento dell’individuazione dei siti marini di conservazione speciale, nell’ambito del programma Natura 2000, con la designazione di obiettivi specifici di conservazione per ogni sito;
in generale, nel migliorare l’efficienza con cui vengono impiegate le risorse destinate alla protezione ambientale.
Negli ultimi anni il nostro Paese ha compiuti diversi sforzi e, per molti ambiti, ha migliorato le proprie performance ma, anche a questo esame, l’UE boccia nuovamente l’Italia proprio su rifiuti e smog. Per quanto riguarda la gestione dei rifiuti urbani, ci dice la Commissione, abbiamo ancora troppe carenze: gli esempi citati sono sotto gli occhi di tutti, dal numero ancora troppo elevato delle discariche alla situazione di emergenza in Campania.

Potrebbero aiutarci, in questo senso, i fondi del PNRR, che potranno supportare una nuova strategia nazionale per l’economia circolare e un programma nazionale di gestione dei rifiuti.

Male anche la qualità la protezione delle aree naturali e la qualità dell’aria
La Commissione ha inoltre segnalato che il nostro Paese è ancora indietro nella designazione delle aree marine protette per la rete Natura 2000. In generale, da Bruxelles ci giunge un monito a migliorare la conservazione degli habitat e delle specie protette dall’Unione, pianificando investimenti strategici ad hoc. Investimenti che la Commissione teme non siano all’orizzonte, sottolineando come “Nel PNRR non sono previsti fondi sufficienti a sostegno della biodiversità per finanziare queste esigenze; di conseguenza l’importo mancante deve essere compensato attingendo ad altri fondi UE e fonti nazionali”.

Ancora troppo limitati sono ritenuti i progressi effettuati per quanto riguarda la qualità dell’aria e la riduzione delle emissioni. Il documento sottolinea anzi come nel 2020 siano proseguiti gli sforamenti dei valori limite di PM10 e NO2. La Commissione sollecita molto su questo punto, facendo presente che il 20% delle risorse del nostro PNRR sia destinato a energia e trasporti sostenibili e come a Bruxelles ci si aspetti che queste misure incidano sul miglioramento della qualità dell’aria. Il documento inoltre sollecita il nostro Paese a valutare ulteriori strumenti, come spostare la tassazione dal lavoro agli imponibili ambientali, ed eliminare i sussidi ambientalmente dannosi.

Male anche la gestione delle acque reflue urbane, per le quali servono maggiori investimenti per risanare molti punti critici, soprattutto al nord Italia, e per intervenire per un miglioramento delle acque potabili nel Lazio. In generale risulta scadente o molto scadente lo stato di diversi descrittori marini e molto allarmante il livello di consumo, soprattutto al Sud, di acqua in agricoltura.

Fonte: Rinnovabili.it

Ue adotta rapporto su riduzione emissioni di metano: approvati emendamenti che cambiano la strategia sulle discariche

Martedì 28 settembre la Commissione ENVI del Parlamento Europeo (Ambiente, Sanità pubblica e Sicurezza alimentare) ha adottato la relazione sulla strategia Ue per ridurre le emissioni di metano, con obiettivi vincolanti per raggiungere i target climatici comunitari in linea con l’Accordo di Parigi. Il documento, che ha ricevuto 61 voti favorevoli, 10 contrari e 7 astensioni, chiede che la Commissione Europea proponga nuovi strumenti di regolamentazione ed indirizzo in materia, coprendo tutti i settori responsabili delle emissioni di quello che è un gas climalterante 84 volte più potente della CO2 nel breve periodo.

La strategia riguarda dunque anche l’economia circolare e la gestione rifiuti. Per il settore, la Relazione, nella sua versione finale adottata, chiede alla Commissione di rivedere il Landfill Cap, ovvero l’obbligo per gli Stati membri di limitare entro il 2035 al 10% o meno la quantità di rifiuti urbani da collocare in discarica rispetto al totale prodotto in un dato anno, e di e stabilire nuovi obiettivi per limitare la produzione di rifiuto residuo nella revisione (prevista per il 2024) della Direttiva sui Rifiuti e della Direttiva sulle Discariche.

Tali richieste riecheggiano le critiche sollevate da molti, sulla contraddizione tra Landfill Cap, strategie di lotta al cambiamento climatico, ed economia circolare. Secondo  Zero Waste Europe questo rappresenta una “ulteriore svolta fondamentale” che “depotenzia ancora di più il ruolo dell’incenerimento come strumento per minimizzare la discarica”.

“Il Rapporto approvato dall’Europarlamento – spiega il network europeo – fa propri alcuni concetti e richieste avanzate da ZWE da tempo: in particolare chiede alla Commissione, e per la seconda volta in pochi mesi (la prima fu nel voto del Febbraio scorso sul Circular Economy Action Programme), di rivedere radicalmente il ‘Landfill Cap’ al 10%“.

Più nel dettaglio Zero Waste spiega che gli emendamenti adottati dall’Europarlamento ed accolti nella versione finale della relazione chiedono:

– di modificare il Landfill Cap, sostituendolo con un ‘residual waste cap’ (limite alla produzione di rifiuto residuo) in kg per abitante, e/o con un Landfill Cap espresso nello stesso modo (e non in percentuale) onde consentire di conseguirlo anche con la combinazione di riduzione, riuso, riciclo, compostaggio;

– di rafforzare piuttosto l’obbligo di pretrattamento, ancora disatteso in vari Paesi (non in Italia) e che, in un’epoca di decarbonizzazione, è il migliore modo per ridurre le emissioni di gas serra dalla gestione del RUR (come evidenziano molti studi, la biostabilizzazione tendenzialmente annulla le potenziali emissioni di metano, ma, a differenza dell’incenerimento, non rilascia CO2 fossile);   

– di sottolineare il ruolo della raccolta differenziata dell’organico e delle altre frazioni biodegradabili, come opzioni prioritarie per la minimizzazione delle emissioni da discarica;

–di confermare l’annullamento di qualunque programma di finanziamento all’incenerimento, e sottolineare il ruolo sempre più residuale dell’incenerimento nella gerarchia UE; il che non ne fa una delle opzioni preferibili nelle strategie di minimizzazione del metano.

“Per tutto questo, sottolinea ZWE, è quantomeno avventato proporre pianificazioni sulla base del Landfill Cap, basandosi ad esempio sulla formula 100-65-10, a più riprese proposta per calcolare impropriamente un ‘25% di necessità di incenerimento’. Il Landfill Cap al 10%, oltre ad essere lontano nel tempo, è possibile, anzi sempre più probabile, che venga rivisto nella revisione di medio termine del Pacchetto Economia Circolare, anche perché non è sostenuto dalle evidenze raccolte negli studi che accompagnano la Landfill Directive”.

Fonte: Eco dalle Città

Ue, nuova tassonomia verde: escluso l’incenerimento e rafforzati limiti del riciclo chimico

Incenerimento escluso e riciclo chimico soggetto a vincoli molto più restrittivi. Sono queste le principali novità sul trattamento dei rifiuti contenute nell’atto delegato relativo agli aspetti climatici della nuova tassonomia verde Ue, la classificazione delle attività economiche che possono essere definite “sostenibili“ all’interno dell’Unione Europea. Viene quindi confermato quanto anticipato alcune settimane fa dal portale endswasteandbioenergy.

L’atto delegato, adottato dalla Commissione Ue il 21 aprile scorso all’interno di un pacchetto di misure “intese a favorire i flussi di capitale verso attività sostenibili in tutta l’Unione Europea, mira a promuovere gli investimenti sostenibili chiarendo meglio quali attività economiche contribuiscono di più al conseguimento degli obiettivi ambientali dell’Unione. Sarà ufficialmente adottato alla fine di maggio.

Nel testo si legge che Bruxelles considera il riciclo chimico come l’ultima risorsa per trattare i rifiuti di plastica, che potrebbe essere ammessa solo nei casi in cui non fosse possibile utilizzare le tecniche meccaniche attualmente diffuse. Inoltre, il recupero di polimeri tramite riciclo chimico deve dimostrare, sulla base di procedure LCA codificate, di avere un minore impatto, in termini di generazione di gas-serra, rispetto alla produzione di polimeri vergini. Questo restringerà di molto il campo delle tecnologie di riciclo chimico ammissibili a finanza sostenibile, in quanto molte di loro si basano su processi che richiedono un elevato input energetico e recuperano solo parti minori del totale del C per la produzione di polimeri, mentre gran parte finisce in realtà in combustibili.  

Per quanto riguarda l’incenerimento invece non c’è proprio margine di trattativa. Gli impianti che bruciano rifiuti per produrre energia, i “nostri” termovalorizzatori insomma, sono esclusi totalmente dalla tassonomia della finanza sostenibile in quanto i relativi investimenti sono considerati “poco green”.

Soddisfazione è stata espressa da Zero Waste Europe che approva la decisione della Commissione guidata da Ursula von der Leyen: “Riteniamo che la tassonomia debba essere lungimirante quando si tratta di gestione dei rifiuti – ha affermato Janek Vahk, che guida il programma ZWE per il clima, l’energia e l’inquinamento atmosferico – È quindi positivo che l’incenerimento dei rifiuti sia escluso dalla tassonomia del clima e che i criteri per il riciclaggio chimico siano ulteriormente rafforzati”.

Fonte: Eco dalle Città

Pacchetto economia circolare, in Gazzetta Ufficiale anche la direttiva sulle discariche

È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale anche il provvedimento sulle discariche, l’ultimo dei quattro D. Lgs per il recepimento delle direttive Ue del “pacchetto economia circolare” che contiene i decreti relativi anche a veicoli fuori uso, Raee e imballaggi. Il 14 settembre è stato infatti pubblicato il D.Lgs 3 settembre 2020 n. 121 “Attuazione della direttiva Ue 2018/850, che modifica la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti”.

Il D.Lgs per il recepimento della direttiva 2018/850 introduce una nuova disciplina sul conferimento dei rifiuti per arrivare a una riduzione del ricorso alle discariche. Il decreto (che entra in vigore il 29 settembre) riforma infatti i criteri di ammissibilità dei rifiuti negli impianti. Vengono inoltre definite le modalità, i criteri generali e gli obiettivi, anche in coordinamento con le Regioni, per il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla direttiva in termini di percentuali massime di rifiuti urbani conferibili negli impianti.
L’obiettivo principale è la riduzione del conferimento dei rifiuti urbani a meno del 10% entro il 2035. Il decreto legislativo, al fine di raggiungere anche l’obiettivo specifico relativo alle percentuali massime di rifiuti urbani conferibili in discarica, intende riformare il sistema dei criteri di ammissibilità dei rifiuti nelle discariche, definendo modalità, criteri ed obiettivi progressivi, anche in coordinamento con le regioni ed adeguare al progresso tecnologico i criteri di realizzazione e di chiusura delle discariche.

La gestione dei rifiuti organici, un potenziale non sfruttato nell’Unione Europea

La Bio-based Industries Consortium (BIC), la principale associazione industriale europea che pone la circolarità, l’innovazione e la sostenibilità al centro della bioeconomia europea, in collaborazione con Zero Waste Europe (ZWE) ha chiesto alla Scuola Agraria del parco di Monza di produrre un rapporto unico nel suo genere, che identifichiil potenziale non sfruttato per la valorizzazione dei rifiuti organici (rifiuti di giardino e alimentari) in Europa.

Il rapporto, che verrà pubblicato integralmente il 6 luglio, individua il potenziale residuo di crescita del sistema basandosi sulle migliori pratiche di raccolta differenziata e descrive in dettaglio l’attuale generazione e i tassi di raccolta dei rifiuti organici per ciascuno Stato membro dell’UE27 più Norvegia e Regno Unito. Per lo spreco alimentare, l’attuale quota intercettata è di soli 9.520.091 tonnellate all’anno, solo il 16% del potenziale teorico stimato in 59.938.718 tonnellate.

 I rifiuti organici possono servire da preziosa materia prima per le industrie bio-based e il settore è ben posizionato per convertire i rifiuti organici in prodotti a base biologica di alto valore. Questa innovazione può alleviare la sfida europea dello spreco alimentare e stimolare nuove opportunità di crescita sostenibile, contribuendo al recupero verde dell’Europa.

Per Dirk Carrez direttore esecutivo del BIC “il settore sta già valorizzando i rifiuti organici in processi intelligenti ed efficienti con obiettivi a rifiuto zero. Diversi progetti finanziati dalle Bio-based Industries Joint Undertaking (BBI JU) dimostrano come l’innovazione nel nostro settore può convertire i rifiuti organici in prodotti biologici di alto valore. Le industrie bio-based cercano di realizzare una società efficiente in termini di risorse e zero rifiuti, come identificato nella nostra visione. Il previsto partenariato pubblico dell’UE (Circular bio-based Europe)- contribuirà a realizzare ulteriormente tutto ciò”.

“Il rapporto mostra che la gestione dei rifiuti organici rimane un potenziale non sfruttato nell’Unione Europea per un’ulteriore transizione verso un’economia circolare. Attualmente – dice Pierre Condamine, responsabile delle politiche sui rifiuti di Zero Waste Europe – viene catturato solo il 16% del potenziale e, attraverso iniziative adeguate, questo numero potrebbe essere moltiplicato per 5 in modo da raggiungere l’85%. Ciò dimostra la necessità che l’UE e gli Stati membri mantengano e intensifichino i loro sforzi nella raccolta e nel trattamento dei rifiuti organici come passi chiave verso la rigenerazione del suolo, la circolarità e la neutralità climatica”.

Una sintesi del rapporto ‘Bio-waste generation in the EU: Current capture levels and future potential’ è ora disponibile qui.

Fonte: Eco dalle Città

Tradotte le linee guida UE su rifiuti e Covid19

Pubblichiamo la versione italiana delle linee guida pubblicate lo scorso 14 aprile dalla UE sulla gestione dei rifiuti in tempo di Corona Virus

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UE: la Commissione pubblica le linee guida per la gestione della raccolta rifiuti in tempo di Covid

“In questa crisi senza precedenti, stiamo lavorando con gli Stati Membri e con gli operatori della raccolta rifiuti in tutta l’UE per affrontare la sfida di garantire un elevato livello di protezione della salute umana e dell’ambiente. La corretta gestione dei rifiuti fa parte del servizi essenziali alla base del benessere dei nostri cittadini possibile grazie all’attività di numerose aziende che si occupano di rifiuti e di mantenere viva l’economia circolare”

Con queste parole il commissario Virginijus Sinkevičius ha presentato le linee guida per la gestione della Raccolta rifiuti in tempo di Covid.

Quello dell’economia circolare è un settore produttivo ed economico in crescita, che rischia oggi di subire un duro colpo, qualora si permettesse all’emergenza Covid di mutare le buone pratiche che erano ormai assodate fino all’inizio di questo tormentato 2020. Non possiamo smettere di differenziare i nostri rifiuti, non possiamo smettere di raccogliere in maniera differenziata i nostri rifiuti. Non possiamo smettere di riciclarli. Se uno solo di questi passaggi venisse meno, tutto il settore ne avrebbe danni sostanziali. E per un settore giovane ed in crescita, potrebbero pregiudicare il futuro.

A tal proposito la Commissione Europea ha pubblicato il 14 aprile le linee guida per la gestione della raccolta rifiuti in tempo di Covid.

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Che futuro per il settore del riciclo? Situazione, criticità, prospettive

Sono sempre maggiori gli allarmi sulla crisi del mercato della carta da macero, che si associano a quelli sul riciclo della plastica dopo la famosa stretta cinese. Gli operatori chiedono un tavolo tecnico di confronto tra Istituzioni e piattaforme “al fine di scongiurare il rischio di blocco delle raccolte differenziate”. Ne abbiamo parlato con Enzo Favoino, Coordinatore Scientifico di Zero Waste Europe

Negli ultimi mesi sono sempre maggiori gli allarmi lanciati dagli addetti ai lavori,in Italia e in Europa, sulla crisi del mercato della carta da macero, che si associano a quelli sul riciclo della plastica dovuti alla famosa stretta cinese del 1° gennaio 2018. Nel nostro paese alcuni operatori del settore chiedono “al Ministro dell’Ambiente l’istituzione urgente di un Tavolo tecnico di confronto tra Istituzioni e piattaforme del riciclo, al fine di scongiurare il concreto e diffuso rischio di blocco delle raccolte differenziate”. Una situazione che ha spinto alcuni attori in campo a mettere in discussione il sistema del riciclo e il paradigma dell’economia circolare, proponendo in alcuni casi un ritorno allo smaltimento dei rifiuti.  

Ne abbiamo parlato con Enzo Favoino, della Scuola Agraria del Parco di Monza, e Coordinatore Scientifico di Zero Waste Europe. In questo primo intervento, vengono anticipate alcune valutazioni sulla dimensione globale del problema. Successivamente, verranno esaminate le tendenze in atto a livello UE, gli effetti indotti dalle politiche di settore, e come raccordarsi armonicamente con le stesse.

Favoino che momento sta vivendo il settore del riciclo alla luce dei divieti all’export di carta e plastica?

“Come qualunque settore anche quello del riciclo vive in un’economia pienamente globalizzata e quindi può risentire di trend globali e di alcune specificità congiunturali. Le mosse cinesi, e non solo, sia sulla carta che sulla plastica sono una novità importante e di cui tenere conto, ma come è stato giustamente rilevato anche da altri, stiamo parlando di materia di bassa qualità, cioè quella che supera un certo grado di contaminazione. Questa cosa ha messo sotto stress le filiere del riciclo per quei quantitativi di bassa qualità che venivano esportati verso l’estero, che a quanto ci risulta anche dai report internazionali ufficiali però non sono la prevalenza”.

Di che numeri si parla?

“Un recente rapporto europeo specificava ad esempio che le esportazioni di plastica dall’Italia erano dell’ordine delle 100 mila tonnellate all’anno, ridotte poi a 60 mila negli ultimi anni, verosimilmente anche per effetto dei divieti cinesi ed asiatici. Dunque gran parte del tonnellaggio esportato residuo dovrebbe essere rappresentato da polimeri di valore inviati a processi effettivi di riciclo e valorizzazione. Questo su un totale di plastica immessa al consumo di 6 milioni di tonnellate, di cui circa 2,5 milioni sono di plastica da imballaggio, quella oggetto dei meccanismi EPR e dunque dei circuiti di raccolta differenziata, e circa 1 milione sono le tonnellate avviate a riciclo”.

“Il ricorso all’export non è dunque trascurabile e lavoriamo quotidianamente anche con gruppi di lavoro internazionali, perché venga eliminato il fenomeno del ‘recupero truffa’, ma sulla base di questi dati non si può inferire che sia fondamentale, e che bloccato il flusso dell’export di plastiche di basso valore il sistema nel suo complesso sia al collasso. Certe filiere del riciclo sono certo sotto stress, uno stress congiunturale in attesa dell’adattamento ai nuovi scenari causati dalle mosse cinesi ed asiatiche, ma questa non è una quota prevalente né è una condizione eterna. Richiede adattamenti che, nello spirito della agenda UE, non sono quelli del ‘ci vogliono più inceneritori per smaltire gli scarti’. Ci sono soluzioni congiunturali, come opzioni di valorizzazione del plasmix, sostenute dai meccanismi di stimolo al mercato, e soprattutto strutturali, di lungo termine. Queste ultime sono le dinamiche di maggiore interesse, in prospettiva”.

(Le esamineremo nel dettaglio nella seconda parte dell’intervista, anticipiamo solo che l’istituzione di una ‘cabina di regia’, come chiesto da molti operatori, potrebbe essere un valido strumento per governare la transizione, ndr)

Il problema tuttavia non riguarda solo l’Europa. Come si stanno muovendo fuori dall’UE per far fronte alla situazione?

“Consideriamo ad esempio le contromosse di una delle realtà più avanzate ed ambiziose nelle politiche e pratiche di differenziazione e riciclo, la città di San Francisco. San Francisco è ad oggi sopra l’80% di raccolta differenziata, e non pensa minimamente a riassestarsi su scenari meno ambiziosi, piuttosto il contrario. Non solo la strategia e la pratica Zero Waste va avanti, ma la città vuole incrementarlo aumentando i tassi di riciclo, le strategie di riduzione e quant’altro, come da programma. Un recente programma di facilitatori per ogni stabile intende ad esempio andare ad intercettare ulteriori materiali valorizzabili che attualmente finiscono nel rifiuto residuo. Il tutto, peraltro, in un contesto operativo e regolamentare ben meno favorevole di quello europeo”.

“A San Francisco non hanno aspettato il divieto cinese per sincerarsi delle effettive filiere di recupero, ed avevano mandato loro ispettori a controllare la destinazione effettiva dei flussi verso l’Asia. Per cui avevano già individuato le pratiche di scam recovery, il ‘recupero truffa’, e avevano rescisso i contratti con gli intermediari meno affidabili. Per affrontare il problema del miglioramento dei flussi di riciclo, avevano già migliorato le proprie capacità di selezione e oggi riescono ad arrivare alla migliore definizione possibile dei vari tipi di polimero e dei vari tipi di carta e cartone avviabili al mercato, minimizzando i materiali di bassa qualità. Va inoltre sottolineato che il sistema nord americano, si basa generalmente su una raccolta rifiuti a tre bidoni: organico, residuo e imballaggi, dunque con questi ultimi raccolti in modalità ‘commingled’ non tipizzata, e non a cinque come da noi. Questo sistema genera tipicamente materiali di peggiore qualità dei nostri, tanto che diverse città stanno pensando di passare alle raccolte tipizzate, alcune lo hanno già fatto”.

“Condivido perfettamente le ottime valutazioni di chi ha già sottolineato che la qualità delle raccolte deve essere una delle determinanti del sistema, assieme alla quantità. Essendo tra coloro che per primi hanno ad esempio promosso le raccolte tipizzate e domiciliari, mettendo in risalto le prestazioni incrementali, per quantità e qualità delle raccolte, rispetto a raccolte multimateriali e/o stradali, questo è sempre stato un argomento per noi prioritario”.

Tornando alla situazione Europea, quali sono le strategie di settore e le tendenze in atto?

“La situazione europea va valutata alla luce delle indicazioni di prospettiva generate dal Pacchetto Economia Circolare, dalla Strategia UE sulle Plastiche, e dalla Direttiva sulle Plastiche Monouso. Questo pacchetto di previsioni marca un cambiamento epocale, su vari versanti: quello della progettazione e produzione di beni ed imballaggi, quello della raccolta, quello dell’assorbimento dei maceri. Certamente gli effetti non sono immediati, e questo determina i problemi congiunturali, ma vale la pena di allargare lo sguardo ai processi in atto, perché gli operatori sappiano individuare i processi di cambiamento e accelerarne o anticiparne gli effetti”.

“Anzitutto va ricordato sempre che mentre sinora il riciclo è stata la determinante principale delle strategie europee, e a cascata nazionali, la UE intende lavorare sempre più sulla riduzione ed il riuso. Il discorso di insediamento del Vice Presidente della Commissione Europea Timmermans è stato molto esplicito in questo senso: conferma, come abbiamo sempre detto, che il riciclo è il ‘piano B per la sostenibilità’ e come tale è eccezionale per conseguire gli obiettivi di minimizzazione degli smaltimenti e di riduzione del prelievo di risorse primarie, ma il piano A deve passare necessariamente per la riduzione, che sta diventando uno degli elementi trainanti del green deal della Commissione. Già la Direttiva SUP ne include i primi, importanti segni. Altri verranno nell’aggiornamento del Pacchetto Economia Circolare, con la probabile adozione di obiettivi vincolanti di riduzione”.

Per quanto riguarda la saturazione del mercato cosa si può fare?

 “Le soluzioni sono diverse, ma prima vorrei ricordare un episodio significativo. Quando è stata presentata la strategia europea sulla plastica, i vice presidenti della Commissione UE, stimolati dai giornalisti che li incalzavano sulle difficoltà dovute alla stretta cinese, risposero in modo efficace: dissero in sintesi che non si può parlare di economia circolare e poi voler allargare il cerchio fino a farne un ovale che arriva fino alla Cina. Se il sistema deve essere circolare dev’essere reso circolare in Europa, anche per rispondere alla fame di materie prime di un continente strutturalmente povero delle stesse, il che fu la principale motivazione della strategia. Di conseguenza, secondo tale indicazione, l’Europa deve: completare la propria capacità infrastrutturale per il riciclo e deve soprattutto determinare le condizioni per un aumento della capacità di assorbimento da parte del mercato”.

In che modo?

“Be’ attualmente l’Unione sta lavorando su due aspetti importantissimi del pacchetto sull’economia circolare, che sono le tariffe modulate sugli imballaggi, che andranno a premiare quelli maggiormente riciclabili e riusabili e penalizzare quelli che lo sono meno. In Italia abbiamo già iniziato ad usarle, ma le tariffe non sono ancora sufficientemente incentivanti; il processo è comunque in atto”.

“L’altro aspetto sono gli essential requirments, cioè i requisiti essenziali per gli imballaggi, e tra questi ci saranno anche i MRC, i contenuti minimi di riciclato. Cosa che ha già iniziato a fare capolino nella Direttiva sulle Plastiche Monouso e che dovrebbe sanare alcuni elementi contraddittori, come l’attuale basso assorbimento di polimeri riciclati in vari settori, inclusi quelli a maggiore capacità potenziale di assorbimento, come il settore automobilistico e quello delle costruzioni. In Italia questo potrebbe permettere di superare alcune criticità per l’uso dei polimeri da riciclo negli imballaggi a contatto alimentare, innalzandone le percentuali obbligatorie”.

“Ma se posso, io userei di più e meglio il settore del Green Public Procurement, su cui abbiamo già norme ed obblighi che però sono stati sterilizzati da una inazione generale. Non a caso, la capacità di assorbimento da parte del settore degli acquisiti pubblici è usata come driver principale di mercato in Nord America, ove l’assenza di direttive non fornisce tutti gli altri strumenti di promozione del mercato che invece possiamo dispiegare in Europa”.

 Insomma, per concludere, il riciclo ha i suoi problemi ma sono già operative soluzioni adeguate.

“Diciamo che il sistema ha delle imperfezioni che la transizione, determinata da un lato dalla spinta europea alla differenziazione e al riciclo e dall’altro dalle mosse asiatiche, sta rendendo visibili e condizionanti nel breve periodo. Ma l’agenda europea sta lavorando per risolverle e portare il sistema ad equilibrarsi, così come stanno facendo anche il Canada e la stessa Cina che hanno annunciato agende analoghe a quella UE”.   

 “Certo, il processo è di medio termine, non immediato, ma il trend è chiaro e i segnali ci sono: riduzione dei materiali difficili da riciclare, aumento della capacità continentale di riciclo, aumento delle capacità di assorbimento del mercato, contenuti minimi di riciclato… bisogna saperli cogliere e anticiparli per accelerare la transizione. Intanto sono disponibili subito alcune soluzioni come il recupero del plasmix per esempio, in attesa che le Direttive UE ne riducano la consistenza. L’effetto combinato di queste tecnologie e il potenziamento del Green Public Procurement potrebbe già dare una risposta consistente al tema delle plastiche di basso valore, sino a quando le stesse sono presenti. Mentre di sicuro la roadmap di lungo termine va nel senso della riduzione od eliminazione totale dei materiali difficili da riciclare”.

Fonte: Bruno Casula per Eco dalle Città

Il Pacchetto UE sull’Economia Circolare e il paradosso dei termovalorizzatori

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Il quadro nazionale relativo al governo dei rifiuti urbani deve affrontare a breve un profondo rinnovamento a seguito della pubblicazione nel luglio 2018 nella sua versione definitiva del “Pacchetto sull’Economia Circolare”, significativamente sottotitolato “un programma Rifiuti Zero per l’Europa” a testimoniare il solido legame reciproco tra visione circolare di una economia efficientata a livello UE e l’implementazione delle strategie Rifiuti Zero, che ne possono essere lo strumento attuativo nei programmi locali.

Il percorso istituzionale di tale pacchetto era iniziato nel 2014 ed include obiettivi e previsioni qualificanti circa il riuso e riciclo dei rifiuti urbani (65% entro il 2035 senza considerare il compostaggio) e dei rifiuti da imballaggio (70% al 2035), la minimizzazione del ricorso alla discarica (massimo 10% al 2035). A questi si aggiungono l’obbligo di raccolta differenziata dell’organico in tutta Europa a partire dal 2024 nonché un’armonizzazione dei criteri di calcolo per il conseguimento di tali obiettivi.

Inoltre, sempre a livello comunitario è attualmente in atto la revisione della Direttiva sulle Fonti Energetiche Rinnovabili, che prevede condizioni più restrittive per la concessione di sussidi al trattamento termico dei rifiuti (che dovrebbero rispettare la gerarchia UE con la priorità alle opzioni superiori) e la revisione dei criteri di erogazione dei Fondi Regionali UE per escludere dai finanziamenti qualunque tecnologia di trattamento del rifiuto residuo, proprio per renderla meno economicamente vantaggiosa rispetto agli interventi di riduzione e recupero. Il tramonto delle politiche di sussidio e finanziamento determinerà quindi un significativo peggioramento del quadro economico per i business plan di nuovi impianti di incenerimento.

Le principali determinanti della nuova “Waste Policy” comunitaria, cui dovranno essere conformate le strategie e politiche nazionali nei prossimi decenni, possono dunque essere sintetizzate come di seguito:

1.  Si va nella direzione di un forte incremento dei livelli di ambizione a livello UE, in particolare per l’innalzamento degli obiettivi complessivi di riuso e riciclaggio, minimizzando i cosiddetti “leakage (decadimenti) di materiali dai modelli circolari, come sarebbe nel caso di incenerimento e discarica;

2.  La raccolta differenziata obbligatoria dell’organico conferma strategie già ampiamente diffuse sul territorio nazionale, ne consolida ruolo ed effetto, e – per quanto riguarda le implicazioni operative sulla gestione del RUR – determinerà un sempre maggiore drenaggio di matrici putrescibili dal rifiuto residuo, determinandone una maggiore inclinazione alla lavorabilità nell’ottica del recupero dei materiali valorizzabili ancora ivi inclusi (es. plastiche non da imballaggio, che non sono incluse nei circuiti di raccolta differenziata e tendono dunque a concentrarsi nel RUR);

3.  L’effetto combinato di quanto sopra sarà una minimizzazione progressiva del rifiuto urbano residuo (RUR), il che comporta condizioni di rischio per gli investimenti in tecnologie che richiedono flussi costanti di RUR (tipicamente, l’incenerimento), e determina la necessità di tecnologie flessibili, ossia in grado di adattarsi a scenari con diminuzione progressiva del RUR e parallelo aumento delle frazioni da RD, sia quelle compostabili che quelle riciclabili.

In relazione all’ultimo punto, ha recentemente determinato ampia risonanza l’analisi critica della situazione nei Paesi del Nord Europa commissionata dai Ministeri dell’Ambiente di tali Paesi che ha dimostrato che in tale area il largo ricorso alla termovalorizzazione con recupero energetico (termine che nel resto d’Europa viene tradotto semplicemente con “incenerimento”) ha sostanzialmente “ingessato” il sistema frenando lo sviluppo dei tassi di riciclo e delle politiche di riduzione.

Il paradosso degli Stati membri del Nord Europa che hanno praticamente eliminato le discariche è infatti che la rigidità del sistema impiantistico a servizio dell’incenerimento e dei suoi contratti ventennali o trentennali, vincola le comunità e i territori serviti a conferire determinati quantitativi di rifiuti ogni anno. A causa di questi vincoli contrattuali gli interessi dei soggetti pubblici o privati detentori e gestori degli impianti di incenerimento risultano inevitabilmente in contrasto con le politiche di riduzione e prevenzione che tendono a limitare ulteriormente i quantitativi prodotti ed a aumentare oltre certi livelli i tassi di riciclo.

Lo scenario tendenziale nazionale deve dunque mostrare una forte propensione evolutiva, con innalzamento dei tassi di raccolta differenziatariciclo e di recupero materia ben oltre i livelli medi attuali, ed allineati con le buone pratiche operative che abbondano in Italia e fanno spesso da modello a livello mondiale. Per applicare correttamente le suddette strategie europee anche dal punto di vista impiantistico, risulta quindi necessario: realizzare rapidamente l’impiantistica necessaria ad accompagnare l’aumento dei livelli di riciclo e recupero (ad es. gli impianti di compostaggio); garantire la capacità di pretrattamento del RUR, come previsto dalla Direttiva 1999/31 sulle discariche, e dai suoi recepimenti in ambito nazionale; questo va fatto privilegiando le tipologie impiantistiche connotate da intrinseca flessibilità operativa, per garantirne la compatibilità e l’adattamento, diretto o con modifiche organizzative ed operative di entità marginale, a scenari con riduzione progressiva del rifiuto urbano residuo (RUR) ed aumento delle frazioni derivanti da una raccolta differenziata sempre più incisiva ed efficiente.

Tali principi sono stati recepiti anche nel programma del Governo Conte Bis appena insediato che si è impegnato “a promuovere politiche volte a favorire la realizzazione di impianti di riciclaggio e, conseguentemente, a ridurre il fabbisogno degli impianti di incenerimento, rendendo non più necessarie nuove autorizzazioni per la loro costruzione”. Prima di questo importante impegno strategico in Italia si era invece cercato di imporre alle Regioni la realizzazione di 12 nuovi inceneritori con recupero energetico. L’art. 35 del Dl 133/14, noto come “Sblocca Italia” aveva individuato infatti l’incenerimento come unico sistema possibile per il pretrattamento dei rifiuti anche se, come da più parti rilevato, tale scelta risultava in contraddizione con il testo della stessa Direttiva 1999/31, che all’articolo 2 include il trattamento termico (incenerimento, trattamenti termici non convenzionali, co-incenerimento) tra i trattamenti possibili, ma non lo individua come unica opzione. In sede di Conferenza Stato-Regioni è stata inoltre evidenziata la mancanza di una procedura di una VAS (Valutazione Ambientale Strategica) che risultava invece necessaria a corredo del suddetto Decreto in quanto lo stesso si configurava come un vero e proprio atto programmatorio integrativo.

Non a caso, dopo le prese di posizione di diverse Regioni che hanno resa esplicita (con dichiarazioni di Governatori ed Assessori, o con l’adozione di disposizioni o Piani regionali) l’intenzione di non seguire le indicazioni dello “Sblocca-Italia”, è arrivato il rinvio, da parte della Giustizia Amministrativa, del Decreto alla Corte di Giustizia Europea, su iniziative di alcune ONG e proprio in relazione alla debole argomentazione sulle scelte operate e alla mancanza di valutazioni a supporto (oltre che alla potenziale contraddizione con gerarchie UE e previsioni del Pacchetto Economia Circolare). La Corte di Giustizia Europea ha in seguito sostanzialmente confermato la debolezza dell’impianto dello Sblocca-Italia, per l’assenza di una VAS con relativa analisi delle alternative.

Fonte: RiEnergia