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Plastiche monouso: il Regno Unito segue l’esempio dell’UE

Facendo seguito a una serie di azioni già intraprese in passato, da ottobre 2023 nel Regno Unito saranno vietate ulteriori specifiche plastiche monouso inquinanti.

Fuori dall’UE ma con un occhio sempre attento alle scelte di Bruxelles: anche il Regno Unito si allinea ai progetti green, con una decisione importante che potrebbe avere un impatto significativo per l’ambiente, ma anche per la produzione nazionale e l’import.

Il 14 gennaio 2023, infatti, la Segretaria all’Ambiente, Thérèse Coffey, ha annunciato il divieto di utilizzo per una serie di prodotti in plastica.

Così, a partire dal mese di ottobre 2023, le plastiche monouso inquinanti saranno bannate.

Dunque, esattamente un anno dopo (14 gennaio 2022) l’entrata in vigore della Direttiva europea SUP (Single Use Plastic), con la quale l’Unione metteva al bando prodotti monouso per ridurre il consumo di plastica, limitandone la dispersione nell’ambiente e negli oceani – anche il Regno Unito segue l’esempio green friendly.

Plastiche monouso: i dati in UK

Londra, dunque, pone il veto su piatti, vassoi, ciotole, posate, bastoncini per palloncini in plastica monousocontenitori per alimenti in polistirolo e alcuni tipi di bicchieri.

Alle aziende sono stati concessi poco più di 8 mesi per adattarsi al nuovo regime produttivo, anche se la notizia era già nell’aria.

Dal prossimo ottobre non sarà più possibile acquistare questi prodotti, che non verranno neppure utilizzati nell’industria dell’ospitalità o in quella della ristorazione.

La misura è stata accolta con il favore della maggioranza dei partecipanti alla consultazione pubblica, indetta appositamente per la questione: le motivazioni che sottendono tale scelta sono note.

E, se i dati europei risultavano preoccupanti, quelli britannici sembrano essere ancora peggiori.

Le stime parlano di un utilizzo, per posate monouso, pari 2,7 miliardi di unità annue, e di 721 milioni di piatti della stessa tipologia. I numeri potrebbero esser accettabili se non fosse che solo il 20% di questi passa alla fase del riciclo.

Tra l’altro, la plastica impiega centinaia di anni per essere smaltita, creando ingenti danni alle risorse acquifere – che arrivano poi all’uomo – senza considerare che la produzione della stessa rappresenta una delle principali fonti di emissioni di gas serra.

Le precedenti azioni per la tutela dell’ambiente

In passato il Paese oltremanica aveva già attuato una serie di azioni a tutela ambientale, regolamentando le produzioni e l’utilizzo delle plastiche inquinanti.

Nel 2018 erano state vietate le microsfere di plastica, nei prodotti per la cura personale che necessitavano di risciacquo, per evitarne appunto una dispersione nell’ambiente.

Da ottobre 2020, poi, il Regno Unito ha provveduto a restringere l’utilizzo di plastiche monouso, quali cannucce, bacchette e cotton fioc, che contribuivano al 5,7% dei rifiuti marini.

In particolare, i bastoncini di cotone risultavano tra i dieci prodotti maggiormente presenti tra i rifiuti delle spiagge britanniche.

Le posate di plastica, invece, si collocavano tra i 15 articoli più sporchi, secondo stime del 2020.

Dal 1° aprile 2022, invece, è in vigore la Plastic Packaging Tax (PPT), un’imposizione di 200 sterline per ogni tonnellata metrica di imballaggi in plastica, fabbricati o importati nel Regno Unito, qualora questi non contengano almeno il 30% di plastica riciclata.

La PPT colpisce circa 20mila imprese britanniche e, secondo le stime, nel primo biennio di imposizione dovrebbe far aumentare, di circa 40 punti, l’utilizzo di plastica riciclata rispetto ai livelli iniziali del 2022, con un risparmio di CO2 di quasi 200mila tonnellate, grazie a un minor uso di plastica vergine.

Un’altra restrizione è stata applicata alle buste monouso, con una tariffa che inizialmente era di 5 pence, salita a 10 nel maggio del 2021.

Questa scelta, con un addebito che evidentemente è pesato alle famiglie, seppur apparentemente irrisorio, ha tagliato le vendite di buste di circa 97 punti, nei principali supermercati.

La plastica, nello scenario futuro del Regno Unito

Il divieto delle plastiche monouso, da ottobre 2023, dovrebbe quindi avere un impatto significativo sulla riduzione dei rifiuti di plastica britannici.

La restrizione, tuttavia, non colpirà il packaging utilizzato per i prodotti alimentari (piatti, vassoi, ciotole) venduti nei supermercati e in ambiti similari.

In questo caso, infatti, la tutela ecologica trasla su un piano diverso, con la scelta di un regime che preveda la responsabilità estesa del produttore. A questi verrà richiesto di utilizzare imballaggi facilmente riciclabili, per raggiungere gli obiettivi ambientali.

Alcune importanti catene, quali Co-opFood MD e WRAP, infatti, si stanno già allineando, utilizzando ad esempio forchette in legno per il cibo da asporto, e imballaggi per alimenti e bevande riciclabili al 100%, come il soft plastic packaging.

Il Regno Unito, però, non sembra intenzionato a fermarsi. Uno dei prossimi impegni in programma riguarda l’etichettatura obbligatoria sugli imballaggi, utile strumento per i consumatori nello smaltimento dei rifiuti.

Si tratta di un procedimento importante, ai fini ambientali, come dimostrato anche in ambito europeo.

Ricordiamo, infatti, che l’UE ha emanato la Direttiva 2018/851, recepita in Italia con il Decreto Legislativo 116/2020, in vigore nel Bel Paese dal 1° gennaio 2023, dopo un iter burrascoso: secondo le disposizioni dell’atto normativo, i produttori non potranno più immettere sul mercato imballaggi privi di etichetta, mentre quelli “vecchi” potranno essere commercializzati fino a esaurimento delle scorte.

Nel fascicolo n. 2 – marzo 2023 della rivista Plastix è presente un approfondimento sull’obbligo di etichettatura ambientale per gli imballaggi, in Italia.

Fonte: Plastix

Aumentano gli articoli di greenwashing a favore dell’immagine della plastica monouso: semplici coincidenze oppure una strategia orchestrata da parte della lobby dei produttori?

Negli ultimi anni sono cresciute a dismisura le iniziative di greenwashing e le campagne volte dimostrare che i consumatori non debbono preoccuparsi di cambiare abitudini di consumo. È veramente così o sono le inchieste sulle conseguenze indotte dall’eccessivo consumo e scarso tasso di riciclo delle plastiche monouso ad essere troppo allarmistiche ?

Quale è il target e/o lo scopo di questi articoli, presentati in modo da far credere che siano basati su fonti autorevoli? Semplice, in primis servono a far sentire meno in colpa tutta quella parte (sempre più crescente) di persone che cominciano ad interessarsi all’ambiente e non comprare più prodotti che reputano eccessivamente inquinanti. Inoltre tali articoli servono a far pensare che grazie al progresso tecnologico la nostra società sia ormai in grado di porre rimedio agli enormi problemi legati alla sovra produzione di plastica monouso di cui sta aumentando il consumo. Anche probabilmente grazie a tale iniziative di disinformazione le potentissime lobby della plastica monouso e degli imballaggi plastici che è finora riuscita, ad esempio, a posticipare l’entrata in vigore della “plastic tax”.

Questa scorrettissima tecnica di marketing è conosciuta come “greenwashing”, che letteralmente si traduce con “lavare di verde” e cerca di sviare l’attenzione dell’utente finale da un reale problema proiettando la sua attenzione verso iniziative che ripuliscono, almeno in parte, l’immagine di un determinato settore.

Un bellissimo esempio, realizzato in chiave ironica, è stato riportato sul sito di GreenMe. A seguito della notizia riguardante la dichiarazione da parte dell’Italia di avviare a riciclo il 72% dei rifiuti prodotti, ma di utilizzare solo il 21,6% di materiali riciclati rispetto a quelli consumati, la community digitale di vignette umoristiche, Legolize, ha postato una serie di immagini realizzate con personaggi di LEGO, nelle quali emerge come il precedente problema possa essere risolto “facendo un post su LinkedIN in cui si dice che la propria azienda ha piantato 100 mila alberi in Brasile“, facendoci ragionare su come si usino temi di interesse comune, come la deforestazione ed il piantare nuovi alberi, per togliere l’attenzione da ciò che non viene fatto davvero per l’ambiente.

Alcune iniziative, seppur lodevoli, fanno pensare di combattere un problema e di “vincere” contro la plastica, quando in realtà non siamo neanche vicini a fermare il problema. Nell’articolo riguardante la non profit olandese Ocean Cleanup del Corriere della Sera, si scrive di ottimi risultati raggiunti nel processo di pulizia e smantellamento dell’isola di plastica galleggiante che si trova nell’Oceano Pacifico, addirittura si parla di più di 200 tonnellate di rifiuti recuperati in mare dalla creazione dell’organizzazione, numeri impressionanti e che hanno richiesto un sicuro impegno, ma che non sono nulla paragonati alle 150 milioni di tonnellate di plastica già presenti negli oceani ed alle circa 10 milioni di tonnellate che vengono riversate ogni anno nei mari e si vanno ad aggiungere al precedente valore.

Sempre nello stesso articolo si parla anche dei danni che provocano la plastica e le particelle che vengono degradate dai raggi ultravioletti del sole, creando così la nanoplastica. Questo processo fa degradare ogni anno circa il 2% della plastica che galleggia disperdendola ovunque e sopratutto nello stomaco dei pesci che mangiamo e che contribuiscono ad immettere plastica nel nostro organismo.

Alcuni articoli, come quello de Il Mattino, sembrano addirittura volerci convincere di come questo insieme di plastica, definito “Plastisfera”, rappresenti una nuova opportunità di far riprodurre e colonizzare gli oceani alle specie costiere, come cozze, anemoni di mare e ostriche.

Altri articoli come quello dal titolo “Come riciclare plastica mista con un processo di upcycling” presentano come un processo innovativo una tecnica già in uso da vari decenni (aggiungendo il 5-10% di poliolefine alle plastiche miste triturate) con cui però sono stati finora prodotti materiali che hanno trovato come pressoché unico sbocco commerciale la produzione di autobloccanti o similari di difficile commercializzazione.

Il problema di fondo resta però sempre uno, è inutile ripulire gli oceani e cercare sempre nuovi modi di riciclare la plastica se non si inizia a produrne di meno già in partenza, magari rivoluzionando il modo di concepire i prodotti monouso o gli imballaggi plastici. Secondo i risultati monitorati ed analizzati dall’Unione Europea la soluzione più efficace per aumentare il riciclo, diminuire la produzione e la domanda di imballaggi, è il sistema di deposito cauzionale, anche denominato DRS (acronimo di Deposit Return System), metodo che permette, a fronte di una cauzione che si paga in più su un prodotto, di poter riportare i contenitori, come bottiglie e flaconi, in appositi sistemi di selezione che restituiscono la quota pagata in precedenza.

Ma si dovrebbe operare molto di più per diminuire il consumo e la produzione di plastica monouso, poiché solo in questo modo si può veramente diminuire l’inquinamento che deriva dal suo uso intensivo e sregolato. Chi cerca di convincerci che quanto non è stato fatto in passato (finora nel mondo vengono prodotti materiali plastici con il solo 2% di contenuto riciclato come denunciato in questo articolo del National Geographic che ci ricorda anche che “Riciclabile non significa riciclato”) sarà miracolosamente fatto a breve e quindi non ci dobbiamo preoccupare troppo del futuro delle prossime generazioni è, nelle migliore delle ipotesi, solo un ingenuo poco informato.


A cura di Andrea Tornavacca, ESPER

Imballaggi in plastica: un incubo per l’industria del riciclo

L’enorme varietà e abbondanza degli imballaggi in plastica — comprese le scatole blister, particolarmente difficili da aprire — sono un bel grattacapo per l’industria del riciclo.

Qualche tempo fa, le forbici venivano confezionate tra due spessi strati di plastica resistente. Sembravano imprigionate per sempre. Servivano una certa ingegnosità e un certo sforzo, per liberare l’articolo in offerta dalla sua prigione trasparente. Ma c’era anche il rischio di farsi male. Migliaia di persone si feriscono ogni anno procurandosi tagli e lesioni tentando di aprire confezioni di plastica e altri imballaggi simili.

Le scatole blister non solo sono state decretate l’imballaggio dal design peggiore di sempre, ma hanno anche dato origine all’espressione “furia da disimballaggio”, ben rappresentata dal comico Larry David nel tentativo di aprirne una. Ciononostante, i prodotti così confezionati riempiono gli scaffali di negozi e supermercati.

Gli imballaggi dei prodotti generano più rifiuti di plastica di qualsiasi altra industria. In Europa rappresentano il 59% di tutti i rifiuti di plastica, in termini di peso. Negli Stati Uniti tale quota probabilmente è più vicina al 65%, secondo gli esperti. Il mercato globale degli imballaggi è un’industria da 640 miliardi all’anno, e sta crescendo del 5,6% annuo. La plastica ne rappresenta un terzo, rendendo così il packaging il più grande settore di mercato per la plastica negli USA.

Le scatole blister, come la maggior parte delle confezioni, sono in plastica monouso e, anche se tecnicamente riciclabili, in realtà solo minime quantità vengono riconvertite negli USA. Questa tendenza dovrà cambiare rapidamente, se i produttori e l’industria della plastica vogliono tener fede agli impegni presi per il riciclaggio e il riutilizzo della plastica, e aumentare sostanzialmente il loro uso di plastica riciclata nel packaging.

L’evoluzione delle scatole blister

L’invenzione delle scatole blister, o bivalve, è attribuita a Thomas Jake Lunsford, anche se lui le chiamò “Sistema di packaging ed esposizione separabile” quando ne registrò il brevetto il 15 settembre 1976. Le scatole “bivalve”, come il loro nome suggerisce, sono formate da due “gusci” di plastica identici che racchiudono il prodotto uniti in un unico punto che funge da “cardine”. Quando le due parti vengono premute l’una contro l’altra, lo scatto dell’incastro forma la chiusura, che può essere più o meno difficile da aprire.

Lunsford non aveva previsto l’uso della sigillatura a caldo sui bordi per rendere le scatole blister impossibili da aprire senza l’uso di attrezzi. Le forbici, anche quelle non intrappolate negli imballaggi, non funzionano bene su queste plastiche “scivolose”. Inoltre, così come i taglierini, comportano un certo rischio di ferirsi le mani. Le cesoie funzionano meglio, ma c’è uno strumento ideato appositamente per aprire questo tipo di confezioni.

Per aiutare la madre di 90 anni ad aprire gli imballaggi in plastica, tanti anni fa il dentista in pensione Steve Fisher inventò lo Zip-it Opener, un “apriscatole” a batteria per confezioni in plastica. È uno strumento molto popolare tra gli anziani, le persone affette da artrite o comunque con ridotta forza nelle mani, disse Fisher in un’intervista.

Le scatole blister rimangono una tipologia di packaging molto usata nella vendita al dettaglio perché il prodotto è visibile dai due lati, può essere appeso o semplicemente appoggiato sugli scaffali, ed è difficile da taccheggiare perché la confezione è più grande del prodotto al suo interno. È molto più leggera del cartone e di qualsiasi altro materiale alternativo quindi consente di risparmiare energia nel trasporto, è più economica da produrre e più durevole. Nell’industria alimentare viene utilizzato oltre il 60% di tutto il packaging prodotto sotto forma di scatole blister.

“La varietà di tipologie di scatole bivalve e blister è enorme”, afferma Sara Greasley, che ha un noto blog sul packaging e lavora nel settore. Le confezioni in blister generalmente sono formate da un involucro di plastica montato su un supporto in cartone. Le pile ad esempio, vengono ancora vendute così. Ma i due termini — scatole bivalve e confezioni blister — spesso vengono usati in modo intercambiabile, e questo può creare confusione, afferma Greasley.

Il tipo di packaging usato è spesso determinato dai rivenditori, soprattutto dalle grandi catene che hanno specifici requisiti per il confezionamento delle merci, afferma. Il packaging deve superare specifici test di resistenza, ad esempio allo scuotimento, alla rottura e alla caduta, che garantiscono che il prodotto non venga danneggiato. 

Riciclabile non significa riciclato

L’enorme varietà e abbondanza degli imballaggi in plastica si rivela essere un bel grattacapo per l’industria del riciclo. “È una grande sfida” riconosce Steve Alexander, Presidente dell’Association of Plastic Recyclers. “Le scatole blister normalmente sono fatte di PET, quindi sono altamente riciclabili”, afferma Alexander.

C’è una forte domanda di PET (polietilene tereftalato) riciclato, contenuto nelle scatole blister nuove, in particolare in quelle usate nell’industria alimentare. Tuttavia, questi imballaggi non vengono riciclati perché non vengono raccolti, e se vengono raccolti la maggior parte degli impianti di recupero dei materiali non sono in grado di separarli dagli altri materiali. E quando questo è possibile, le etichette o i residui di cibo possono essere problematici da rimuovere, così come il supporto in cartone delle confezioni blister, afferma.

I consumatori stanno scegliendo sempre di più i prodotti sostenibili — con relativo packaging — che si vendono al doppio della velocità rispetto agli altri prodotti, come ha mostrato uno studio di Nielsen del 2018.

Nell’ultimo decennio le iniziative per un packaging sostenibile di Amazon hanno ridotto i rifiuti prodotti dal packaging di Amazon del 16%; l’obiettivo è arrivare a una riduzione complessiva del 25%, afferma. A questo scopo l’azienda ha sviluppato una busta di carta imbottita interamente riciclabile per sostituire le onnipresenti buste gialle imbottite con plastica pluriball.

Ridurre e riutilizzare su larga scala

Giganti multinazionali come PepsiCoCoca Cola e Walmart, e altri 400 marchi, hanno fissato ambiziosi propositi di riciclaggio in base al New Plastics Economy Global Commitment, avviato nel 2018 dalla Ellen MacArthur Foundation. L’obiettivo è un’economia circolare per la plastica che prevede che la stessa non diventi mai un rifiuto, e il packaging è il primo target.

A questo fine anche le aziende hanno accettato di aumentare la quantità di plastica riciclata usata nel packaging di un 25% di media entro il 2025, rispetto all’attuale media globale del solo 2%. Anche questa è una grande sfida, ha detto Alexander. “Per raggiungere questi obiettivi abbiamo bisogno di una quantità di PET 3,5 volte superiore a quella che viene attualmente raccolta e differenziata”, continua.

Anche le bottiglie di plastica sono in PET e sono la fonte principale per le aziende di riciclo. Nei prossimi dieci anni sarà necessario un investimento di oltre 2 miliardi di € solo in impianti di trasformazione, per raggiungere gli obiettivi delle aziende, secondo un report del gruppo di ricerca e analisi Wood Mackenzie. E questo non include gli ulteriori investimenti per le strutture di raccolta e di recupero dei materiali.

Quindi ora le navi cariche di rifiuti di plastica americani vengono spedite in paesi come Thailandia, India e Indonesia, dove la maggior parte dei rifiuti viene gestita in modo inappropriato. E nel 2018 la plastica bruciata negli USA è stata sei volte di più di quella riciclata. Bruciando, la plastica produce CO2 e può rilasciare tossine. Solo il 50% delle famiglie negli USA ha la raccolta porta a porta, quindi come fanno le aziende di riciclaggio ad avere accesso al materiale? – chiede Alexander. 

Meno del cinque per cento della plastica viene riciclato, negli USA. Il resto va in discarica, viene bruciato o esportato. Nel 2017, 907 tonnellate di rifiuti di plastica sono state mandate in Cina e ad Hong Kong, e lo stesso anno la Cina disse che non ne avrebbe accettati altri. “È necessario affrontare un dibattito serio in questo Paese sulla soluzione di questo problema”, afferma Alexander.

A parte il riciclaggio, il riutilizzo delle scatole blister è la caratteristica che Lunsford, il loro inventore, affermava fosse il vantaggio rispetto al packaging plastico esistente. Ma lì nel negozio, avevo una scatola blister termosigillata di plastica spessa in mano, con un paio di forbici blindate lì dentro. Erano forbici forti, in grado di aprire qualsiasi tipo di confezione. Ma, come Larry David, avrei dovuto distruggere l’imballaggio per tirarle fuori, rendendo la scatola in plastica non più riutilizzabile. Quelle forbici valevano lo sforzo e il rischio necessari per liberarle dalla loro prigione di plastica? Le ho rimesse sullo scaffale.

Fonte: National Geographic Italia

115 milioni dal MASE a 75 progetti per riciclare la plastica

Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica finanzierà 75 nuovi progetti per la creazione di impianti di riciclo dei rifiuti plastici, compresi quelli recuperati nelle acque italiane, con finanziamenti per 115 milioni di euro.

Il dipartimento di sviluppo sostenibile del Ministero ha approvato il decreto di concessione dei contributi a progetti ritenuti particolarmente meritevoli nell’ambito dell’Economia Circolare per il riciclo della plastica, linea di intervento specifica prevista dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. I soggetti beneficiari del finanziamento, contenuti nella lista pubblicata sul sito del Ministero, potranno così realizzare nuovi impianti di riciclo e plastic hubs, che permetteranno anche il recupero dei rifiuti marini, presenti ormai in gran parte delle acque italiane e non solo.

Il Ministro Gilberto Pichetto ha sottolineato che l’investimento del PNRR offre la possibilità di far crescere nel Paese una filiera dell’innovazione per la gestione dei rifiuti plastici. Il Ministro ha ricordato che anche durante il G7 in Giappone ci si è assunti un chiaro impegno per fermare i nuovi rifiuti plastici entro il 2040 e che l’Italia vuole essere un riferimento virtuoso per l’affermazione dell’economia circolare anche su livello internazionale.

Il provvedimento, già trasmesso alla Corte dei Conti per essere registrato, permetterà anche di individuare nuovi beneficiari dei fondi che non si sono riusciti ad inserire nel decreto precedente.


A cura di Andrea Tornavacca, ESPER

Nuova bozza End of Waste sui rifiuti da costruzione e demolizione

A seguito dei numerosissimi appelli degli operatori nel settore edile, il Ministero dell’Ambiente ha pubblicato una nuova bozza riguardante il decreto end of waste su rifiuti da costruzione e demolizione.

Al suo interno sono presenti molte novità tra cui dei nuovi valori per la tabella dei limiti di concentrazione, meno restrittiva di quella presentata nel vecchio decreto che, secondo il parere degli operatori, avrebbe potuto creare un blocco delle lavorazioni nell’intero settore. Al posto di un singolo valore limite, ora ogni parametro ne comporta due che sono da considerare in base alla destinazione d’uso dell’aggregato recuperato. Oltre a questa prima tabella, è presente anche un’insieme di parametri e limiti destinato alla sola produzione di cemento e clinker.

È stata aggiunta anche l’UNI EN 13108 tra le norme tecniche di riferimento per la certificazione CE, che riguarda i rifiuti da costruzione e demolizione abbandonati, ammessi d’ora in poi per la produzione di aggregati recuperati.

Trascorsi 10 giorni dalla pubblicazione, necessari per la consultazione, verrà attivata la procedura di notifica all’UE, a cui seguiranno 90 giorni di stand still. Il Ministero dell’Ambiente punta a poter pubblicare il nuovo decreto in Gazzetta Ufficiale entro il 4 novembre 2023, dopo la quale partiranno i 180 giorni per permettere agli operatori del riciclo di ottenere ed adeguare le certificazioni necessarie.


A cura di Andrea Tornavacca, ESPER

Tavola rotonda a Cagliari riguardo al docufilm “Oltre i luoghi Comuni”

Il 29 marzo 2023, presso la Sala MEM del Comune di Cagliari, ha avuto luogo una tavola rotonda a seguito della presentazione di “Oltre i luoghi Comuni”, il docufilm del regista Alessandro Scillitani realizzato da Greenaccord Onlus e da un’idea del Direttore generale di ESPER, Attilio Tornavacca.

Il Sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu, ha dichiarato la sua soddisfazione per i progressi che Cagliari ha compiuto nella raccolta differenziata e nella valorizzazione dell’ambiente, passando da essere uno dei comuni con i dati peggiori ad uno dei migliori, insieme alla Città Metropolitana.

L’inviato della RAI ha poi chiesto cosa caratterizzi i cittadini delle realtà più virtuose “Si rileva spesso un sentimento di orgoglio, c’è un senso di appartenenza riacquistato, perché – ha chiarito il Dott. Tornavaccaci si sente parte di una comunità che sta facendo del suo meglio per difendere le generazioni future.

Nel docufilm vengono infatti smentite una serie di errate convinzioni che a volte scoraggiano e rendono meno lungimiranti, sul tema dei rifiuti, sia le amministrazioni che i cittadini. Si è cercato di mostrare un’Italia ricca di eccellenze che sono poco conosciute ma che potrebbero trainare tante altre realtà verso percorsi più virtuosi, come quello dell’economia circolare, della tariffazione puntuale e della tutela ambientale.

Sono infatti molte le testimonianze da Nord a Sud che promuovono i traguardi raggiunti e le buone pratiche, permettendo così di stimolare non solo altre amministrazioni ma anche i cittadini, senza i quali non sarebbe stato possibile puntare o addirittura superare il traguardo dell’80% della raccolta differenziata nei Comuni mostrati nel docufilm.

Dopo la proiezione si è aperto un dibattito moderato dal Direttore di “Italia Libera”, Igor Staglianò, al quale hanno preso parte anche la Presidente Regionale di Legambiente, Annalisa Columbu, il Segretario generale della CGIL Sardegna, Fausto Durante, il vice Sindaco Metropolitano con delega all’ambiente, Roberto Mura e l’Assessore all’Innovazione tecnologica, Ambiente e Politiche del Mare, Alessandro Guarracino.

Si riporta di seguito il link al servizio del TG Regione di Rai3: Cagliari tra i comuni più virtuosi per la gestione dei rifiuti

ed il link al docufilm: Oltre i luoghi Comuni


A cura di Andrea Tornavacca, ESPER

Denuncia social per contrastare illeciti ambientali?

La denuncia social consiste nell’utilizzo dei social media e delle piattaforme online per denunciare pubblicamente comportamenti illegali o non etici. Questa pratica è diventata sempre più comune negli ultimi anni, in quanto i social media hanno reso più facile per le persone diffondere informazioni e mettere in luce le questioni sociali.

Proprio pochi giorni fa, a Cassino(FR), un evento simile ha portato alla sanzione di un operaio edile a seguito di una denuncia social riguardante lo smaltimento illegale dei rifiuti. La denuncia è stata fatta attraverso un video pubblicato su Facebook, che mostrava un uomo mentre gettava illegalmente i rifiuti in un terreno privato. Grazie a questo video, la polizia locale ha potuto identificare l’uomo e procedere contro di lui.

In generale, la denuncia social può essere un’arma molto potente contro i reati ambientali. Ad esempio, i social media possono essere utilizzati per sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi ambientali e per mobilitare le persone a procedere con azioni concrete per prevenirli. Inoltre, la diffusione di video o immagini che documentano reati ambientali può fornire prove importanti per le autorità competenti e consentire loro di procedere contro i responsabili.

Tuttavia, è importante notare che la denuncia social non dovrebbe sostituire il ruolo delle autorità competenti nell’indagare sui reati ambientali e nell’assumere le opportune misure legali. Invece, la denuncia social dovrebbe essere utilizzata come un mezzo complementare per raccogliere informazioni e sensibilizzare l’opinione pubblica, in modo da aumentare la pressione sulla società e sulle autorità competenti per agire contro i reati ambientali.


A cura di Andrea Tornavacca, ESPER

Problematiche relative al rispetto delle regole di conferimento nei grandi condomini

Soprattutto nei condomìni in cui non vengono utilizzati contenitori diversi per ogni singolo proprietario di immobile ma vengono utilizzati contenitori condominiali di uso comune per le varie frazioni di rifiuto, ogni condomino deve rispettare le regole per la raccolta differenziata stabilite dall’amministrazione comunale con appositi regolamenti di igiene urbana al fine di favorire il corretto trattamento dei rifiuti. Tuttavia, se uno o più condomini non rispettano le modalità prestabilite oppure gli orari e giornate di conferimento, ciò può causare problematiche di decoro ed igiene delle parti comuni del palazzo. Inoltre, il codice dell’ambiente impone il divieto assoluto di abbandonare i rifiuti, con conseguenti sanzioni per chi trasgredisce tale divieto.

Per quanto riguarda l’eventuale errato conferimento di rifiuti della raccolta differenziata in condominio in una recente ordinanza della Corte di Cassazione (la n. 4561 del 14 febbraio 2023) è stato stabilito che in tale circostanza non ne risponde l’Amministratore, neppure in via solidale anche se sentenze precedenti avevano assunto orientamenti diversi.

La suddetta sentenza riguarda il ricorso dall’Amministratore e dal Condominio interessato avverso alcune determinazioni dirigenziali del Comune di Roma ingiuntive per la violazione del regolamento comunale sul conferimento dei rifiuti urbani. Era stato accertato, infatti, l’irregolare conferimento di rifiuti nei contenitori messi a disposizione del condominio. Il Giudice di Pace ed il Tribunale avevano respinto le tesi difensive del Condominio. La questione è giunta fino in Cassazione che, ribaltando le precedenti sentenze, ha affermato l’inesistenza di una responsabilità, anche solidale, in capo all’Amministratore.

Il caso in commento, del tutto peculiare, riguarda le ipotesi in cui, a fronte di una condotta illecita, la sanzione venga irrogata non ai diretti responsabili dell’illecito amministrativo, bensì all’Amministratore del Condominio. La Corte di Cassazione, in particolare, esclude che vi sia in capo all’Amministratore una responsabilità di tipo oggettivo che esuli dalle condotte, anche omissive, dello stesso.

In particolare, l’ordinanza si sofferma sull’irrilevanza del fatto che i cassonetti per il conferimento dei rifiuti erano collocati in aree di pertinenza condominiali ai fini dell’imputazione di responsabilità solidale in capo al Condominio ed all’Amministratore. In questi casi, infatti, trattandosi di illeciti amministrativi, l’unico responsabile è l’autore della violazione delle norme secondo la Cassazione. Le ulteriori ipotesi di responsabilità devono dipendere da un fatto proprio (anche a carattere omissivo) riferibile all’Amministratore. In sintesi, il condominio, per il tramite dell’amministratore del condominio, è responsabile giuridicamente dell’omesso o errato conferimento dei rifiuti all’esterno del condominio, ma non è un soggetto giuridico a cui sia imputabile la responsabilità da illecito amministrativo per l’errato o omesso comportamento dovuto dal singolo condomino. L’amministratore di condominio ha la capacità di disciplinare l’uso delle cose comuni e la fruizione di servizi da erogare nell’interesse comune, incluso il controllo del rispetto delle norme sulla raccolta differenziata. A tal fine, può far apporre avvisi in bacheca o installare telecamere per controllare la zona interessata dal rilascio dei rifiuti da parte dei singoli condomini.

Tuttavia, l’installazione di telecamere richiede l’autorizzazione di spesa assunta a maggioranza dei condomini in assemblea. Inoltre, i trasgressori della raccolta differenziata possono essere sanzionati solo previa individuazione del responsabile e l’inserimento di una clausola nel regolamento contrattuale che preveda la possibilità di irrogare sanzioni. In tal caso, il responsabile dovrà sostenere tutte le spese per il ripristino ed ogni altro danno causato dalla raccolta indifferenziata irregolare ed incontrollata.


A cura di Andrea Tornavacca, ESPER

Spagna, dal 2023 stop alla vendita di frutta e verdura in imballaggi usa e getta di plastica

Lo prevede una bozza di decreto diffusa dal ministero per la transizione ecologica di Madrid. Al vaglio anche un sistema di deposito su cauzione e restituzione degli imballaggi per bevande per migliorarne il riciclaggio.

Stop al monouso e istituzione di un sistema di deposito su cauzione finalizzato al riciclaggio. Sono questi i due obiettivi principali del decreto spagnolo su imballaggi e rifiuti, reso noto dal Ministero per la transizione ecologica di Madrid.

Secondo quanto emerge, la vendita di frutta e verdura in imballaggi di plastica sarà vietata nei supermercati e nei negozi di alimentari spagnoli a partire dal 2023. Il divieto si applicherà ai prodotti di peso inferiore a 1,5 chilogrammi, seguendo il modello francese, dove una misura simile è stata approvata recentemente ed entrerà in vigore già il prossimo anno.

Verrà, inoltre, istituito un sistema di deposito su cauzione che prevede il pagamento anticipato di almeno 10 centesimi di euro per ogni bottiglia di plastica o lattina, che sarà restituito al consumatore solo al momento della riconsegna dell’imballaggio, avviato poi al successivo riciclaggio.

La proposta aggiorna in maniera significativa la normativa vigente in Spagna, in vigore da 20 anni, con importanti passi in avanti verso un’economia circolare, incorporando obiettivi e misure specifici per confezionamento, distribuzione, consumatori e amministrazioni.

Deposito su cauzione obbligatorio in caso di mancato raggiungimento dei target di riciclo

Una delle misure cardine contenute nella bozza è l’implementazione di un sistema di deposito cauzionale e restituzione degli imballaggi, come già realizzato in altri Paesi europei. Il modello prevede che i consumatori lascino in deposito alcuni centesimi per ogni bottiglia di plastica o lattina, che potranno recuperare solo alla restituzione. Questo meccanismo diventerà “obbligatorio” per le bottiglie di plastica monouso e le lattine per bevande, nel caso in cui non vengano raggiunti gli obiettivi intermedi per la raccolta differenziata delle bottiglie di plastica monouso, per le bevande sotto i 3 litri: 70% nel 2023 e 85% nel 2027.

Inoltre, per i contenitori saranno approvati nuovi obblighi di etichettatura circa il loro materiale, la riciclabilità, la percentuale di materiale riciclato e il contenitore in cui devono essere depositati dopo l’utilizzo.

Stop al monouso 

Il decreto prevede, inoltre, l’obbligo per le autorità ad ogni livello governativo di “incoraggiare l’installazione di fontanelle negli spazi pubblici” e “introdurre alternative alla vendita di bevande in bottiglia”, nonché di revocare “la distribuzione di bicchieri monouso” in occasione di eventi pubblici, a partire dal 2023.

I punti vendita dovranno offrire un “numero minimo” di referenze di bevande in contenitori riutilizzabili, entro un periodo compreso tra i 12 ei 18 mesi dall’approvazione del regio decreto, a seconda delle dimensioni del negozio.

Alberghi, ristoranti e caffetterie dovrebbero utilizzare bottiglie riutilizzabili a un tasso del 50% entro il 2025. Nel caso della birra, gli obiettivi sono l’80% al 2025 e il 90% al 2030. Per le bevande analcoliche gli obiettivi sono, invece, il 70% e l’80%.

“Una pandemia: beviamo, mangiamo e respiriamo plastica”

Erano anni che i gruppi ambientalisti spagnoli si battevano per eliminare, o almeno ridurre il più possibile, la plastica dagli scaffali di supermercati e negozi alimentari.

Julio Barea di Greenpeace, ha espresso il parere favorevole dell’associazione sull’adozione delle nuove misure, ma ha anche aggiunto che sarà importante aspettare e vedere “come verranno applicate”. Beviamo plastica, mangiamo plastica e respiriamo plastica”, ha dichiarato, denunciando il pericolo di quella che ha definito, senza mezzi termini, una vera e propria “pandemia”.

Da Barea non sono poi mancate le critiche al Governo, guidato dal Partito Socialista (PSOE) e Unidas Podemos, accusato di non muoversi abbastanza in fretta “per porre fine radicalmente al flusso di inquinamento da plastica”.

Fonte: EconomiaCircolare

Nuove Eco-etichette dal 2023

Dal 1° gennaio 2023 è entrato in vigore l’obbligo di etichettare in maniera ecologica e sostenibile tutti gli imballaggi che verranno commercializzati. Da pochi giorni è infatti vietato l’uso delle “vecchie” etichette su prodotti ancora da immettere nei mercati. Tutti gli imballaggi che erano già presenti in commercio o con già un’etichetta ecologica entro l’inizio dell’anno nuovo, potranno continuare ad essere venduti fino all’esaurimento delle scorte. Dal 2020 una serie di proroghe avevano posposto questa scadenza al 1° gennaio 2023, obbligo che era già previsto nel cosiddetto “Codice Ambientale” all’articolo 219, comma 5, del Dlgs 152/2006. La precedente normativa è stata in seguito completata dal Dm Ambiente 360/2022, volta a chiarire gli obblighi ed evitare le pesanti sanzioni (da 5.000 a 25.000 euro) che potrebbero scaturire dall’inosservanza del Dm.

Le etichette e le loro applicazione sono diverse in base al settore di utilizzo ed i produttori devono indicare e specificare su qualsiasi tipo di imballaggio (primario, secondario o terziario) un codice alfa-numerico previsto dalla decisione 97/129/CE. Oltre al codice è necessario anche facilitare la raccolta, il riutilizzo o il facile riciclo degli imballaggi, anche aiutando i consumatori a capire meglio la destinazione finale. Queste informazioni possono essere comunicate anche attraverso l’uso di QR code, siti web o app e prevedono l’uso di un colore diverso per identificare le varie tipologie di etichette in base al materiale: alcuni esempi sono il marrone per l’organico, il blu per la carta, il giallo per la plastica, etc.

Sull’etichetta si dovranno riportare i materiali utilizzati per l’imballaggio oltre alle marcature specifiche, già previste dall’articolo 182-ter, comma 6, lettera b, Dlgs 152/2006, per gli imballaggi in plastica compostabile o biodegradabile, che se opportunamente etichettati, potranno essere riciclati come rifiuti organici.

Il Ministero ha inoltre chiarito che, fino ad ulteriori nuove specifiche, i precedenti obblighi non si applicano agli imballaggi dei medicinali destinati all’uso umano o veterinario.