A cura di Rossanno Ercolini, Presidente Zero Waste Italy e Attilio Tornavacca, Dg ESPER Società Benefit
In Spagna con la “Plastic Tax” l’economia cresce mentre in Italia, che la rinvia, gli impianti di riciclaggio chiudono ed ai comuni non viene più garantito il ritiro della plastica da rd.
In Italia, la “Plastic tax” è diventata un simbolo di quella ambiguità politica che ci perseguita da anni – un po’ come un fantasma che si aggira nei corridoi del potere. Ogni volta che viene annunciata, sembra promettere una svolta ecologica, ma poi sparisce nel nulla, lasciando il Paese in un limbo di inattività.
E nel frattempo, la filiera del riciclo? Si sta afflosciando come un palloncino bucato, schiacciata da un mercato che favorisce la plastica vergine, prodotta dai combustibili fossili e spesso importata da paesi con costi energetici più bassi. È un’anomalia italiana, un paradosso che ci vede primeggiare in Europa per consumo di plastica vergine (+0,3% nel 2024), incredibilmente conveniente e poco tassata.
Non è un caso, ma il frutto di scelte politiche che hanno rimandato l’introduzione della “Plastic tax”, mantenendo il contributo ambientale Conai al livello più basso del continente, come dimostrato da uno studio del Wupperthal Institut pubblicato dal Conai. La Direttiva 851/2018, che mirava ad evitare distorsioni del mercato europeo imponendo anche all’Italia l’obbligo di rimborsare ai Comuni almeno l’80% dei costi della raccolta differenziata degli imballaggi in plastica (contro l’attuale 20%, come rilevato dall’Antitrust), non è stata ancora rispettata. Ora l’Italia è infatti sottoposta a procedura di infrazione per la mancata attuazione della direttiva.
Questo squilibrio di mercato non colpisce solo l’ambiente ma ricade sulle tasse della collettività. Ogni anno, l’Italia versa circa 880 milioni di euro di sovrattassa europea per non aver raggiunto gli obiettivi di riciclo. Una cifra enorme, che non viene pagata da chi immette plastica vergine sul mercato, ma solo dai cittadini italiani. In altri Paesi, la sovrattassa viene applicata ai produttori secondo il principio “chi inquina paga”. Da noi, invece, il costo viene ribaltato sulle spalle della gente comune, anche su chi evita gli imballaggi usa e getta.
Guardando oltre confine, la distanza con altri Stati europei è evidente. Prendiamo la Spagna – un Paese in crescita che ha scelto un approccio opposto. Con la Ley 7/2022 ha introdotto una Plastic tax di 0,45 €/kg sulla plastica non riciclata negli imballaggi monouso, dal 1° gennaio 2023. Questo ha reso la plastica riciclata più competitiva, orientando il mercato verso soluzioni sostenibili. Inoltre, la Spagna introdurrà entro il 2025 il deposito cauzionale per i contenitori monouso, un obbligo già presente in 19 paesi europei (con la Polonia entrata nel 2025).
In Italia, invece, l’assenza di misure simili sta aggravando la crisi degli impianti di riciclo. Molte aziende sono costrette a fermare o chiudere gli impianti, schiacciate dai costi energetici e da margini sempre più ridotti, mentre la plastica vergine domina il mercato perché più economica e priva dei costi ambientali reali. Il riciclato? Penalizzato, più costoso e non valorizzato. Una Plastic tax nazionale riequilibrerebbe la situazione, incentivando l’uso di materiale riciclato e recuperando parte della sovrattassa oggi pagata dall’Italia.
Applicare la Plastic tax significherebbe orientare finalmente il mercato in linea con gli obiettivi ambientali, permettendo al riciclato di recuperare margini e alleggerendo i cittadini dalla pressione fiscale. È un approccio già realtà altrove, che sostiene concretamente la filiera del riciclo.
Eppure, l’Italia continua a procrastinare l’entrata in vigore della tassa (ora rinviata al 31 dicembre 2026). La situazione è chiara: senza un intervento deciso, il Paese rischia il blocco della raccolta differenziata della plastica, l’aumento degli incendi nei depositi saturi, la perdita di un settore industriale cruciale e il continuare a ribaltare sulla collettività sovratasse europee generate da politiche inefficaci. L’introduzione del deposito cauzionale e della Plastic tax è ormai indispensabile. Servono a responsabilizzare imprese e consumatori ed a far emergere il vero costo della plastica vergine, riconoscendo il valore reale del riciclo. Rimandarla ancora significa proteggere un modello insostenibile, che quasi tutti gli altri Paesi europei hanno già superato con scelte più lungimiranti.