Venerdì 16 dicembre 2022 è stata approvata in esame preliminare la riforma del Codice degli Appalti che entrerà quasi sicuramente in vigore dal 1° aprile 2023. In così poco tempo quest’attesissima riforma è riuscita a far parlare tantissimo di sé e non in modo troppo positivo, anzi.
Dall’esultanza del Premier Giorgia Meloni e del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, alle critiche ricevute da moltissimi professionisti ed associazioni, il passo è stato molto breve.
La Procura Nazionale Antimafia e l’ANAC hanno lanciato fin da subito l’allarme poiché, secondo il loro parere, questo taglio alla burocrazia ha come diretta conseguenza un minore vincolo ai subappalti e qualsiasi lavoro sotto i 500 mila euro potrà tranquillamente essere fatto anche da piccole stazioni appaltanti, anche appena nate, che non hanno capacità di garantire acquisti o requisiti tecnici adeguati. È da far presente che l’innalzamento di questa soglia di affidamento dai 150 mila euro precedenti ai 500 mila va a coprire circa l’80% dei cantieri italiani. Un altro grave problema viene riscontrato nel ridotto controllo sui conflitti di interesse che potrebbero portare enormi favoritismi.
Altri punti del nuovo Codice lasciano perplessi come la misura dell’appalto integrato, che permette di attribuire con una singola gara sia il progetto che i lavori.
I sindacati, ed in particolare Fillea Cgil che parla di “Nefandezza”, temono un rischio davvero enorme di infiltrazioni mafiose e di una minore sicurezza per i lavoratori causata proprio dal subappalto a cascata.
Negli ultimi giorni sono stati lanciati diversi appelli che hanno come fine un ripensamento sui contenuti del Codice degli Appalti, un esempio è quello dell’Ordine degli architetti pianificatori paesaggisti e conservatori della provincia di Monza e della Brianza.