L’articolo si pone l’obiettivo di fornire un insieme di indicazioni operative per una migliore comprensione delle novità legislative introdotte dal D.Lgs 116/2020 e, in conseguenza, per una corretta gestione delle problematiche legate alla produzione e alla gestione dei rifiuti nel settore delle costruzioni e delle demolizioni sia nel luogo di produzione, sia negli impianti in cui questi vengono trasformati in nuovi prodotti.
Una loro gestione conforme costituisce infatti elemento chiave per consentire il rispetto della gerarchia comunitaria in tema di rifiuti, garantendo la riduzione della produzione dei rifiuti e, al tempo stesso, l’ottimizzazione del recupero di materiali.
Come sfondo all’analisi delle norme dettate dal D.Lgs 166/2020 verranno esaminati due recenti interventi di ordine interpretativo, il primo operato dal Ministero dell’Ambiente, il secondo dall’Agenzia delle entrate.
Aspetti definitori. La riforma introdotta dal d.lgs. 116/2020
Con l’entrata in vigore, sabato 26 settembre 2020, del decreto legislativo 116/2020 si è prodotta una svolta rilevante nel nostro paese sui temi dell’economia circolare e della gestione dei rifiuti. Il nuovo decreto modifica sensibilmente la parte quarta del Codice ambientale (il decreto legislativo n. 152/2006) e rappresenta una vera e propria rivoluzione per il settore della gestione dei rifiuti che diventano ora una risorsa da valorizzare mediante il coinvolgimento della responsabilità finanziaria del produttore del bene per la ripresa dei rifiuti originati dal consumo di quel bene.
Numerose, e tutte significative, le novità anche sul tema dei rifiuti da costruzione e demolizione. All’art. 183 del d.lgs. 152/2006, viene espressamente introdotta la definizione di “rifiuti da costruzione e demolizione” che, ovviamente, sono definiti come “i rifiuti prodotti dalle attività di costruzione e demolizione” (lett. b-quater).
Lo stesso articolo chiarisce che i rifiuti urbani non includono i rifiuti da costruzione e demolizione (lett. b-sexies). Infatti, il rinnovato articolo 184 del Codice dell’ambiente (comma 3, lett. b), fermo restando il concetto di sottoprodotto (art. 184-bis), colloca i rifiuti prodotti dalle attività di costruzione e demolizione, nonché i rifiuti che derivano dalle attività di scavo, tra i rifiuti speciali.
L’art. 185-bis, comma 1, lett. c), specifica che, in tema di raggruppamento dei rifiuti ai fini del trasporto degli stessi in un impianto di recupero o smaltimento, per i rifiuti da costruzione e demolizione, il deposito preliminare alla raccolta può essere effettuato presso le aree di pertinenza dei punti di vendita dei relativi prodotti.
Al nuovo articolo 198-bis viene introdotto il programma nazionale per la gestione dei rifiuti, che, tra gli altri, deve contenere il piano di gestione delle macerie e dei materiali derivanti dal crollo e dalla demolizione di edifici ed infrastrutture a seguito di un evento sismico.
Le modifiche apportate all’art. 205 del D.Lgs. 152/2006 (“misure per incrementare la raccolta differenziata”), promuovono, previa consultazione con le associazioni di categoria, la demolizione selettiva, onde consentire la rimozione e il trattamento sicuro delle sostanze pericolose e facilitare così il riutilizzo e il riciclaggio di alta qualità, di quanto residua dalle attività di costruzione e demolizione tramite la rimozione selettiva dei materiali, nonché garantire l’istituzione di sistemi di selezione dei rifiuti da costruzione e demolizione almeno per legno, frazioni minerali (cemento, mattoni, piastrelle e ceramica, pietre), metalli, vetro, plastica e gesso.
Nuova definizione ad essere introdotta è quella di “riempimento”, che consiste in qualsiasi operazione di recupero in cui rifiuti non pericolosi idonei ai sensi della normativa UNI sono utilizzati a fini di ripristino in aree escavate o per scopi ingegneristici nei rimodellamenti morfologici. Inoltre, i rifiuti usati per il riempimento devono sostituire i materiali che non sono rifiuti, essere idonei ai fini già menzionati ed essere limitati alla quantità strettamente necessaria a perseguire tali fini (art. 183, comma 1, lett. u-bis).
L’operazione di riempimento viene chiamata in causa a proposito di specifiche questioni. Ad esempio, nella nuova versione dell’art. 181 (“Preparazione per il riutilizzo, riciclaggio e recupero dei rifiuti”), al comma 4, lett. b), si specifica che le autorità competenti dovranno adottare le misure necessarie affinché, entro il 2020, la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio e altri tipi di recupero di materiale, incluse operazioni di riempimento che utilizzano i rifiuti in sostituzione di altri materiali, di rifiuti da costruzione e demolizione non pericolosi, escluso il materiale allo stato naturale definito alla voce 17 05 04 dell’elenco dei rifiuti, sia aumentata almeno al 70 per cento in termini di peso.
Infine, il riempimento rientra nel recupero di materia ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. t).
La classificazione dei rifiuti da costruzione e demolizione. Il caso dei rifiuti prodotti dalle utenze domestiche
Il decreto legislativo del 3 settembre 2020, n. 116, nel definire il rifiuto urbano, ha di fatto trasposto nell’ordinamento giuridico nazionale quanto indicato all’articolo 1 della medesima direttiva con la finalità di “rafforzare gli obiettivi della direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio relativi alla preparazione per il riutilizzo e al riciclaggio dei rifiuti, affinché riflettano più incisivamente l’ambizione dell’Unione di passare ad un’economia circolare”, precisando che la suddetta definizione è introdotta “al fine di definire l’ambito di applicazione degli obiettivi di preparazione per il riutilizzo e riciclaggio nonché le relative norme di calcolo”.
Tale nuova definizione deve essere pertanto applicata nell’ottica generale di raggiungimento degli obiettivi imposti dalla direttiva e non con il fine di stravolgere una gestione dei rifiuti già strutturata ed efficace, tanto da non voler incidere con la ripartizione delle competenze tra pubblico e privato nell’ambito della gestione medesima.
In particolare, per quanto concerne la definizione riportata all’articolo 183 comma 1, lettera b-sexies) “I rifiuti urbani non includono i rifiuti della produzione, dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca, delle fosse settiche, delle reti fognarie e degli impianti di trattamento delle acque reflue, ivi compresi i fanghi di depurazione, i veicoli fuori uso o i rifiuti da costruzione e demolizione;” si specifica, che tali rifiuti si riferiscono ad attività economiche finalizzate alla produzione di beni e servizi, quindi ad attività di impresa.
Il considerando di cui al punto 11 della direttiva esplicita che “Sebbene la definizione di «rifiuti da costruzione e demolizione» si riferisca ai rifiuti risultanti da attività di costruzione e demolizione in senso generale, essa comprende anche i rifiuti derivanti da attività secondarie di costruzione e demolizione fai da te effettuate nell’ambito del nucleo familiare. I rifiuti da costruzione e demolizione dovrebbero essere intesi come corrispondenti ai tipi di rifiuti di cui al capitolo 17 dell’elenco di rifiuti stabilito dalla decisione 2014/955/UE nella versione in vigore il 4 luglio 2018.”. In tal modo, il legislatore europeo, pur identificando detti rifiuti prodotti da utenze domestiche nell’apposito capitolo 17, per un più coerente avvio alle operazioni di preparazione per il riutilizzo, ne ammette la gestione nell’ambito del servizio pubblico, se prodotto nell’ambito del nucleo familiare.
Nel contesto della tematica dei rifiuti da costruzione e demolizione – ed in relazione agli aspetti della loro classificazione – assume rilievo particolare una nota di indirizzo interpretativo diffusa dal Ministero dell’Ambiente il 2 febbraio 2021 con riferimento specifico ai rifiuti prodotti da utenza domestiche.
Chiarisce infatti la nota che i rifiuti prodotti in ambito domestico e, in piccole quantità, nelle attività “fai da te”, possono essere gestiti alla stregua dei rifiuti urbani ai sensi dell’articolo 184, comma 1, del d.lgs. 152/2006, e, pertanto, potranno continuare ad essere conferiti presso i centri di raccolta comunali, in continuità con le disposizioni del Decreto Ministeriale 8 aprile 2008 e s.m.i, recante “Disciplina dei centri di raccolta dei rifiuti urbani raccolti in modo differenziato”.
Resta ferma la disciplina dei rifiuti speciali prodotti da attività di impresa di costruzione e demolizione nei casi di intervento in ambito domestico di imprese artigianali, iscritte nella categoria 2-bis dell’Albo Gestori Ambientali (produttori iniziali di rifiuti non pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti, nonché i produttori iniziali di rifiuti pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti pericolosi in quantità non eccedenti trenta chilogrammi o trenta litri al giorno di cui all’articolo 212, comma 8, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152).
Riguardo le quantità da conferire al servizio pubblico, si richiama il regime semplificato per il trasporto di piccoli quantitativi di rifiuti derivanti da attività di manutenzione, consentendo in alternativa al formulario di trasporto, di utilizzare un documento di trasporto (DDT) che contenga tutte le informazioni necessarie alla tracciabilità del materiale, in caso di controllo nella fase di trasporto, di cui all’articolo 193 comma 7 del decreto legislativo 152/2006 come risultante dalle modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 116/2020.
La nota del Ministero, di cui si sono riportati gran parte dei contenuti, è certamente molto precisa nelle premesse e nella parte in cui espressamente chiarisce che i cittadini che producono rifiuti inerti derivanti dal “fai da te”, ancorché appartenenti alla famiglia dei codici Cer “17” possono continuare a conferire ai Centri di Raccolta Comunali, approvati ai sensi del D.M. 8 aprile 2008).
A tal riguardo deve essere precisato che il predetto decreto, per rifiuti contrassegnati con codici Cer 17 01 07 e 17 09 04, prevedeva e prevede ancora, che tali rifiuti debbano essere conferiti direttamente dal conduttore della civile abitazione a seguito di piccoli interventi di rimozione. Sembra chiaro, pertanto, che le imprese che svolgono lavori edili presso le abitazioni private non avrebbero mai potuto conferire i suddetti rifiuti presso i centri di raccolta Comunali né prima né oggi.
Anche il Ministero, del resto, precisa che rimangono comunque speciali i rifiuti prodotti dalle imprese artigiane, anche nei casi di intervento in ambito domestico, e che pertanto le stesse imprese devono essere iscritte all’Albo Gestori Ambientali nella categoria 2-bis per il loro trasporto.
Quello che rimane poco chiaro è l’ultimo capoverso della nota, in cui per i conferimenti al servizio pubblico si richiama il regime semplificato per il trasporto di piccoli quantitativi di rifiuti derivanti da attività di manutenzione, consentendo, in alternativa al formulario di identificazione (FIR), l’utilizzo di un documento di trasporto (DDT).
Il punto è, allora, capire cosa intende il Ministero dell’Ambiente quando fa riferimento al conferimento al “servizio pubblico”. Ci parrebbe di capire che il riferimento sia il conferimento al Centro di raccolta anche se tale soluzione, come sopra accennato, non sarebbe giuridicamente possibile in quanto, a norma del D.M. 8 aprile 2008, solo il conduttore della civile abitazione vi può portare i rifiuti inerti da lui prodotti.
Per quanto riguarda invece i conferimenti di rifiuti da parte di enti o imprese presso un qualunque altro impianto di recupero o smaltimento, ciò dovrebbe essere consentito solo con formulario di trasporto (FIR).
Alla luce di quanto sopra esposto ci parrebbe di poter concludere che la notazione conclusiva del Ministero dell’Ambiente debba essere interpretata nel senso che i rifiuti prodotti dalle imprese artigiane presso le civili abitazioni rimangono classificati come rifiuti speciali e, in caso di piccoli quantitativi derivanti, appunto, da manutenzioni edili (tali da non giustificare l’allestimento di un deposito presso l’unità dove si è svolto il lavoro), si applica quanto disposto all’art 193, comma 19, del D.Lgs 152/06. In sostanza tali rifiuti “speciali” si considerano prodotti presso l’unità locale o il domicilio o la sede dell’impresa ed il trasporto dal luogo di effettiva produzione alla sede può avvenire con un documento di trasporto (DDT).
Profili fiscali. Il caso della cessione di materia prima seconda derivante dal recupero di rifiuti da costruzione e demolizione
Un aspetto di particolare interesse connesso con le tematiche in argomento riguarda il caso della cessione di materia prima seconda (MPS) derivante dal recupero di rifiuti da costruzione e demolizione e la possibilità che tale cessione possa scontare, ai fini Iva, l’applicazione dell’inversione contabile (“reverse charge”).
La questione è stata posta all’attenzione dell’Agenzia delle Entrate da una società che intendeva usare MPS da recupero di rifiuti da costruzione e demolizione per il riempimento del vuoto di una cava nell’ambito di un piano di recupero della stessa.
Secondo quanto dichiarato dall’istante, la materia prima seconda ex DM 5 febbraio 1998 è un materiale realizzato recuperando rifiuti derivanti dalla demolizione e dalla manutenzione, anche parziale, di opere edili e infrastrutturali.
Per l’Agenzia delle Entrate il materiale in discussione sembra invece rientrare tra i rifiuti ceramici inerti (punto 7, allegato 1 del DM 5 febbraio 1998, in particolare 7.1 e 7.3) che, se sottoposti al processo di recupero, diventano MPS idonee ad essere impiegate per gli scopi decritti nell’allegato C della circolare del Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio n. 5205 del 2005 (tra cui il riempimento cava).
Il processo di recupero consiste sostanzialmente nella “messa in riserva” di rifiuti inerti, intendendosi per “messa in riserva” una tipologia di stoccaggio.
A conclusione della sua istruttoria, l’Agenzia delle Entrate (Cfr. risposta ad interpello 8 febbraio 2021, n. 86) ha chiarito che la cessione di materia prima seconda (MPS) derivante dal recupero di rifiuti da costruzione e demolizione per il riempimento di una cava ai fini Iva sconta l’applicazione dell’inversione contabile (“reverse charge”).
A motivazione di tali conclusioni l’Agenzia delle Entrate dà evidenza, in via preliminare, di quanto contenuto nell’articolo 184-ter del Codice dell’ambiente, rubricato “Cessazione della qualifica di rifiuto” (c.d. End of Waste) ai sensi del quale “Un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni:
- a) la sostanza o l’oggetto sono destinati a essere utilizzati per scopi specifici;
- b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;
- c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;
- d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana”.
Pertanto, prosegue l’Agenzia, una volta concluso il processo di recupero, che comprende anche attività minimali quali il controllo e la pulizia, il rifiuto cessa di essere tale per diventare prodotto o merce. A seguito dell’introduzione della nozione di End of Waste è stato abrogato l’articolo 181-bis del D.Lgs 152/06 che, nel disciplinare le MPS, specificava le condizioni al ricorrere della quali tali materie non erano più considerate rifiuti. Queste condizioni sono in parte riprodotte nel citato articolo 184-ter.
Si tratta, ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, di condizioni generali che necessitano di essere declinate caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto, attraverso uno o più decreti del ministro dell’ambiente.
Nelle more di detti decreti, continuano ad applicarsi le disposizioni previgenti, tra cui il decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998, che per la tipologia dei rifiuti non pericolosi disciplina le attività, i procedimenti e i metodi di recupero che consentono di ottenere prodotti, materie prime o di materie prime secondarie.
Ai fini dell’IVA, l’articolo 74, settimo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (in seguito “articolo 74”) dispone che le cessioni dei beni indicati nei commi settimo e ottavo, (rottami, cascami e avanzi di metalli ferrosi, vetri, gomma, plastica ecc.) sono soggette al regime dell’inversione contabile (c.d. reverse charge).
Il cedente quindi emette fattura senza addebitare l’IVA in quanto quest’ultima è a carico del cessionario, che dovrà integrare la fattura ricevuta con la relativa imposta.
L’Agenzia delle Entrate ha quindi concluso che le MPS oggetto della fattispecie possono essere considerate ai soli fini fiscali al pari dei rottami, la cui cessione sarà fatturata in “reverse charge” ex articolo 74, comma 7 del DPR 633/1972, con applicazione dell’aliquota Iva del 22%.
Per il servizio di stesura e compattazione delle MPS effettuato dalla società istante, l’Agenzia ha ritenuto invece non applicabile il sistema dell’inversione contabile.
Il recupero dei rifiuti da costruzione e demolizione. La prassi di riferimento UNI/PdR/75:2020
Pubblicata dall’UNI il 3 febbraio 2020, la prassi di riferimento definisce una metodologia operativa per la decostruzione selettiva che favorisca il recupero (riciclo e riuso) dei rifiuti prodotti in un’attività di cantiere.
La progettazione dell’intervento di decostruzione consiste in prima analisi nella identificazione delle modalità di smantellamento e di separazione dei materiali che andranno a costituire un database quale elenco organico dei materiali, in termini qualitativi e quantitativi, includendo anche le schede di sicurezza dei prodotti e dei materiali utilizzati, che saranno oggetto di riuso, riciclo o smaltimento.
Viene specificato nella prassi che l’attività di separazione del rifiuto può avvenire, tutta o in parte, in cantiere e/o fuori cantiere.
L’individuazione dei trasportatori e gli impianti di riciclo di riferimento – le risorse logistiche – devono essere individuate, secondo i principi di specializzazione e prossimità, con l’ottica di minimizzazione dei costi ambientali ed economici, minimizzando i costi di trasporto e di conferimento agli impianti di lavorazione e massimizzando il tasso di recupero dei rifiuti.
La progettazione determina e individua le qualità e le quantità di rifiuto oggetto di riuso, riciclo, altre forme di recupero o smaltimento attraverso una documentazione strutturata per la verifica della trasparenza delle attività, al fine di supportare un controllo ex-post da parte di tutti gli stakeholder, a livello comunale, regionale e nazionale.
La descrizione del processo prende in considerazione sia gli edifici esistenti da ristrutturare o da demolire (costruito), sia quelli di nuova realizzazione (nuova costruzione): per i primi la prassi prevede la compilazione del database dei materiali utilizzati, mentre per i secondi si prevede l’utilizzo del database dei materiali in fase di indagine destinabili al riuso e al riciclo.
La prassi in esame, di cui si consiglia attenta lettura, mira, in buona sostanza, a favorire ed incentivare la ricostruzione, il rinnovo e, se del caso, la ridestinazione dei prodotti e ad adottare misure intese a promuovere la demolizione selettiva onde consentire la rimozione e il trattamento sicuro delle sostanze pericolose e facilitare, al tempo stesso, il riutilizzo e il riciclaggio di alta qualità tramite la rimozione selettiva dei materiali.
La prassi mira inoltre a garantire l’istituzione di sistemi di cernita dei rifiuti da costruzione e demolizione almeno per legno, frazioni minerali (cemento, mattoni, piastrelle e ceramica, pietre), metalli, vetro, plastica e gesso.