Comuni, caos Tari sulla riforma rifiuti

La nota del ministero delle Transizione Ecologica del 12 marzo 2021, intervenuta per chiarire alcune problematiche anche connesse all’applicazione della Tari derivanti dalle disposizioni di riforma dei rifiuti contenute nel Dlgs 116/2020, ha in verità creato ulteriori incertezze.

L’applicabilità dell’esclusione della quota variabile nella Tari
In primo luogo, la nota, emanata in condivisione con gli uffici del ministero dell’Economia e delle finanze, ha confermato come non sia perfettamente adeguata la collocazione all’interno dell’articolo 238 del Dlgs 152/2006 della disposizione che prevede l’esclusione dalla corresponsione della quota del prelievo rapportata alla quantità di rifiuti prodotti in favore delle utenze non domestiche che scelgono di servirsi di un soggetto privato per l’avvio al recupero dei rifiuti urbani prodotti. Ciò in quanto la disposizione citata è riferita alla Tia2, la tariffa integrata ambientale, abrogata sin dal 2012 (per la verità dal 2013, ai sensi dell’articolo 5, comma 4-bis, del Dl 102/2013). E ha annunciato sul punto un necessario intervento di coordinamento normativo. Tuttavia ciò non impedisce, a detta del ministero, che la citata disposizione operi anche con riferimento alla Tari e alla tariffa, in quanto si tratta di una normativa di adeguamento alle direttive unionali, che deve operare a prescindere dalle incoerenze normative interne.

Coordinamento delle agevolazioni Tari
La medesima nota affronta poi la questione del coordinamento tra la norma dell’articolo 238, comma 10 e quella dell’articolo 1, comma 649, della legge 147/2013, la quale prevede il riconoscimento di un abbattimento della quota variabile della Tari in favore delle utenze non domestiche che avviano in modo autonomo al riciclo i propri rifiuti assimilati. Il ministero non ha chiarito in realtà del tutto la portata delle due disposizioni, limitandosi ad affermare che, nell’operazione di coordinamento tra le due norme, quella del comma 649 opera con riferimento ai rifiuti urbani, e non più a quelli assimilati in quanto tipologia non più esistente, e che l’abbattimento della quota variabile va riconosciuta in proporzione ai rifiuti urbani recuperati e non solo a quelli riciclati (rammentando che il riciclo e un “di cui” del recupero). Non si comprende però se le due disposizioni agevolative operino separatamente, con presupposti diversi, oppure se siano da ricondurre entrambe nell’ambito del comma 649. Sul punto appare più coerente con l’impianto normativo la risposta che il dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia ha fornito in occasione dell’evento «Telefisco 2021». In particolare era stato evidenziato che le due norme hanno un diverso ambito applicativo, pur riguardando entrambe solo la quota variabile del prelievo, e che richiedono un’apposita regolamentazione comunale ciascuna con le proprie specificità. Quindi, se l’utenza decide di uscire del tutto dal servizio pubblico, per almeno 5 anni, avviando i propri rifiuti urbani al recupero, beneficerà dell’eliminazione dell’intera quota variabile. Al contrario, se l’utenza rimane all’interno del servizio pubblico, può comunque destinare al riciclo singole frazioni di rifiuto direttamente o tramite soggetti autorizzati (come peraltro consente l’articolo 198, comma 2-bis, del Dlgs 152/2006), beneficiando dell’abbattimento proporzionale della quota variabile del prelievo.

La comunicazione di uscita dal servizio pubblico
Il ministero ha affrontato poi la questione della comunicazione della scelta di servirsi del gestore pubblico o di soggetti privati per l’avvio al recupero dei rifiuti urbani prodotti, che le utenze non domestiche sono tenute a presentare, a mente dell’articolo 30, comma 5, del Dl 41/2021, entro il 31 maggio di ogni anno. Va premesso che la norma appena citata non disciplina la decorrenza dell’opzione di scelta, facendo ritenere che la stessa operi dal momento della sua presentazione. Il ministero sul punto sembrerebbe operare una distinzione. Per il 2021, poiché il termine per approvare le tariffe della Tari e della tariffa corrispettiva è stato differito al 30 giugno 2021, vale a dire dopo la scadenza del 31 maggio, i Comuni potrebbero tenere conto degli effetti delle scelte operate dalle utenze in sede di determinazione delle tariffe. Per gli anni successivi, poiché il 31 maggio cade dopo la scadenza per approvare le tariffe (31 dicembre dell’anno precedente), i Comuni non potrebbero valutare gli effetti delle predette scelte sulla tari. Quindi per il ministero, seppure con formula dubitativa, la comunicazione dovrebbe essere presentata l’anno precedente a quello di decorrenza. Dubbio che il ministero sembra invece non aver avuto più avanti nel testo della nota, allorquando afferma perentoriamente che la comunicazione ha valenza dall’anno successivo. Soluzione di assoluto buon senso, anche se non esattamente riscontabile nella norma di legge. È altresì del tutto evidente che la decorrenza immediata della scelta nel 31 maggio avviene comunque con una tempistica non del tutto compatibile con il tempo occorrente per la corretta definizione delle tariffe Tari, da effettuarsi entro giugno.
Il ministero ha sciolto invece il dubbio ingenerato dalla formulazione del comma 10 dell’articolo 238 del Dlgs 152/2006 circa la validità del vincolo almeno quinquennale sia nel caso di scelta per il servizio pubblico o sia nell’opzione per quello privato, propendendo per la soluzione positiva. Fermo restando che il vincolo quinquennale nel caso di uscita dal servizio pubblico può essere derogato, con un rientro anticipato, qualora il gestore lo consenta. La nota non chiarisce però a questo punto quali sono gli effetti della mancata scelta degli utenti non domestici entro il prossimo 31 maggio. Si può considerare il silenzio come un’opzione tacita per il servizio pubblico con vincolo quinquennale, ovvero quest’ultimo vale solo nel caso di scelta esplicita? Nella prima ipotesi si depotenzierebbe, negli anni successivi al 2021, la problematica dell’impatto della scelta degli operatori sulla determinazione delle tariffe della tari, poiché il termine del 31 maggio riguarderebbero di fatto solo le nuove utenze (ovvero, per almeno 5 anni, il rientro del pubblico). Ma il problema resterebbe nel 2021, specie a fronte di un massiccio numero di uscite.

Il trattamento delle utenze industriali, artigianali e agricole
L’analisi condotta dal ministero sul trattamento delle utenze industriali, artigianali e agricole non è invece del tutto condivisibile.
Il ministero ha ritenuto che, stante l’esclusione delle attività industriali dall’elenco di cui all’allegato L-quinquies, contenente le attività che possono produrre rifiuti urbani, le superfici dove avviene la lavorazione industriale sono escluse dalla Tari, così come i magazzini di materie prime, merci e prodotti finiti, sia per la quota fissa che per quella variabile. Tuttavia, la previsione dell’articolo 184, comma 3, letera c), del Dlgs 152/2006, il quale ha definito speciali i rifiuti delle lavorazioni industriali se diversi dai rifiuti urbani, fa si che per le medesime utenze restino tassabili i locali quali uffici, mense, locali connessi, in cui si producono rifiuti urbani.
Nella nota è stato dimenticato, a parere di chi scrive, che l’esclusione dei locali di lavorazione industriale dalla Tari nasce anche dall’articolo 183, comma 1, lettera b-sexies), del Dlgs 152/2006, che espressamente ha eliminato dai rifiuti urbani quelli della produzione. Inoltre, appare eccessiva e non corrispondente alla norma l’esclusione dalla Tari anche di tutti i magazzini. Va infatti rammentato che il comma 649 dell’articolo 1 della legge 147/2013 ha stabilito che solo i rifiuti dei magazzini di materie prime e merci funzionalmente ed esclusivamente collegati ai reparti produttivi di rifiuti speciali sono anch’essi speciali (locali quindi esclusi dalla Tari) e non quelli di tutti i magazzini in genere. Il ministero ha esteso invece l’esclusione a tutti i magazzini, a prescindere dal collegamento con il reparto produttivo, a differenza di quanto specificato in una risposta del dipartimento delle Finanze in occasione dell’evento «telefisco 2021».
Per le attività artigianali il ministero ha ritenuto di poter estendere alle stesse le considerazioni svolte per i rifiuti delle attività industriali. Tuttavia ciò non appare corretto. In primo luogo, le attività artigianali sono incluse all’interno dell’allegato L-quinques delle attività che possono produrre rifiuti urbani, a differenza delle attività industriali con capannone di produzione che ne sono invece escluse. Volendo quindi evidenziare che i rifiuti delle attività artigianali, se rientranti nei codici di cui all’allegato L-quater, sono comunque urbani, a prescindere dai locali utilizzati dall’impresa artigiana dove gli stessi sono prodotti. Per quest’ultima, quindi, sembra più corretto assoggettare alla Tari tutte le superfici in cui si producono rifiuti simili per natura e composizione a quelli dell’allegato L-quater e non operare esclusioni tuot cour dei locali di lavorazione.
Per le attività agricole, agroindustriali, della pesca e connesse (ai sensi dell’articolo 2135 del codice civile), il ministero ha riconosciuto che i relativi rifiuti devono considerarsi speciali. Ciò in base alle previsione dell’articolo 184, comma 3, lettera a), del Dlgs 152/2006 e della lettera b-sexies) del comma 1 dell’articolo 183 della stessa norma, che ha escluso i rifiuti dell’agricoltura e della pesca da quelli urbani. Inoltre, sia l’allegato L-quater e sia l’allegato L-quinquies hanno precisato che sono esclusi i rifiuti delle attività agricole e connesse.
Tuttavia, dopo aver evidenzianto quanto sopra, che avrebbe comportato conseguentemente l’esclusione dalla Tari di tutti i locali utilizzati e la necessità per l’utenza di provvedere in modo autonomo alla gestione dei rifiuti speciali prodotti, il ministero ha ritenuto che le attività agricole che producono rifiuti simili per natura e tipologia di rifiuti prodotti a quelli delle attività elencate nell’allegato L-quinquies possano concordare a titolo volontario modalità di adesione al servizio pubblico di raccolta per le tipologie di rifiuti rientranti nell’allegato L-quater. Soluzione supportata, a detta del ministero, dalla specifica contenuta nell’allegato L-quinques in base alla quale le attività non elencate, ma a esse simili per loro natura e per tipologia dei rifiuti prodotti, si considerano comprese nel punto a cui sono analoghe. Non appare chiaro se il ministero volesse intendere che l’attività agricola produce comunque rifiuti speciali e che possa in ogni caso accordarsi con il gestore pubblico per conferire i rifiuti prodotti aventi le caratteristiche di quelli urbani, con convenzioni di stampo privatistico (quindi fuori Tari), ovvero se abbia ritenuto che alcuni rifiuti delle attività agricole siano urbani e quindi conferibili al servizio pubblico, con assoggettamento alla Tari. Anche se quest’ultima conclusione non appare in linea con le previsioni di legge che qualificano come speciali i rifiuti agricoli.

Il divieto di assimilazione quantitativa
La nota ha ribadito il divieto per i Comuni di introdurre limiti quantitativi ai rifiuti urbani conferibili, stante l’espressa abrogazione del potere di assimilazione operante dal 1° gennaio 2021. Tuttavia il fa opportunamente osservare che l’ente di governo d’ambito territoriale ottimale o il Comune devono disciplinare, ognuno per le proprie competenze, le modalità organizzative delle operazioni di raccolta, cernita e avvio al trattamento, a cui i produttori devono adeguarsi.
Senz’altro condivisibile invece la precisazione, peraltro già implicita nella legge, relativa all’obbligo per gli utenti non domestici che hanno visto modificarsi gli elementi incidenti sulla determinazione del tributo per effetto delle modifiche introdotte dal Dlgs 116/2020.
A fronte di quanto evidenziato nella nota commentata urge un intervento normativo che faccia definitiva chiarezza sulla portata delle nuove norme del Dlgs 116/2020 sulla Tari.

Fonte: Stefano Baldoni, Vice-presidente Anutel per NT+ Edilizia &Enti Locali

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