La Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati (commissione Ecomafie) ha condotto negli ultimi mesi una lunga serie di audizioni – di cui abbiamo dato ampiamente conto su queste pagine – per capire come l’emergenza Covid-19 abbia impattato sulla gestione dei rifiuti in Italia, che ha portato a una corposa relazione sottoposta ieri all’esame del Senato.
Dalla relazione emerge come il sistema-Paese, nel suo complesso, abbia tenuto: i servizi essenziali di igiene urbana hanno continuato ad essere svolti dalle aziende di settore, e anche l’incremento nella produzione di rifiuti a carattere sanitario, di mascherine e guanti – sono per questi ultimi due dispositivi di protezione individuale si stimano 300mila tonnellate in più a fine anno – ha potuto trovare seppur con fatica collocazione. Anche perché nel mentre la produzione di rifiuti, causa lockdown e crisi economica, è data in calo: dopo anni di crescita la produzione dei rifiuti urbani alla fine del 2020 potrebbe ammontare a circa 28,7 milioni di tonnellate, dato confrontabile con quello rilevato nel 2000. E un calo si attende anche per i rifiuti speciali.
Eppure, la dotazione impiantistica nazionale per la gestione rifiuti si è mostrata ancora una volta tremendamente fragile: la dipendenza dall’export e la disomogenea presenza di impianti sul territorio nazionale sono fattori cronici che la crisi ha portato (di nuovo) a galla.
«L’emergenza nella sua fase più acuta – conferma in Aula il relatore della commissione Ecomafie, Massimo Vittorio Berutti – ha comportato una diminuzione della produzione dei rifiuti in generale, una diminuzione che però non ha alleggerito i deficit strutturali del sistema impiantistico nazionale che, anzi, hanno visto acuirsi gli effetti della carenza di possibili destinazioni per specifiche tipologie di rifiuti attualmente non gestite sul territorio nazionale per l’assenza di una specifica dotazione impiantistica».
Una posizione messa in evidenza nelle scorse settimane anche dalla Direzione investigativa antimafia (Dia): lo smaltimento dei rifiuti «soffre di una cronica carenza di strutture moderne per il trattamento, situazione che potrebbe favorire logiche clientelari e corruttive da parte di sodalizi criminali».
Eppure, nonostante gli allarmi lanciati all’unanimità dalle aziende di settore riunite in Utilitalia e Assoambiente, a cui si aggiungono quelle di enti scientifici terzi come l’Ispra per cui «vi sono regioni in cui il quadro impiantistico è molto carente o del tutto inadeguato», il problema non è ancora stato colto né a livello nazionale né sui territori, dove senza una bussola nel mentre dilagano le sindromi Nimby e Nimto.
Ci prova adesso il Senato, che nella risoluzione approvata impegna il Governo «ad affrontare le criticità di segmenti del sistema impiantistico nazionale per il trattamento dei rifiuti e di chiusura del ciclo dei rifiuti in relazione alle specificità dell’emergenza e del futuro atteso, e la necessità di costruzione di una filiera economica del trattamento di materia».
Difficile che un simile atto, da solo, possa ambire a cambiare una tendenza ormai decennale all’ignavia. Sono però in fase di recepimento le direttive Ue che compongono l’ultimo pacchetto normativo sull’economia circolare, prevedendo la redazione di un Programma nazionale per la gestione dei rifiuti che sappia individuare e indicare come colmare le lacune impiantistiche nel nostro Paese.
Fonte: GreenReport