Emergenza rifiuti: un rischio reale per tutta l’Italia. A lanciare l’allarme il Conai, il Consorzio Nazionale Imballaggi che si occupa del ritiro dei materiali della raccolta differenziata. Il Conai paventa il «rischio che si possa arrivare a una sospensione del ritiro dei rifiuti urbani».
Insomma, l’emergenza sanitaria e il conseguente rallentamento di alcune attività industriali, il blocco totale di molte altre, stanno inceppando la filiera della raccolta differenziata. Ciò determina la saturazione degli stoccaggi sia di impianti di riciclo (al collasso una trentina di piattaforme di separazione delle plastiche) sia dei termovalorizzatori (60 in Italia, concentrati per lo più al Nord). La situazione, a quanto sembra, è più fragile al Sud, poiché quest’area del Paese è dotata di un minor numero di impianti.
Il Conai ha chiesto un immediato confronto sul tema con Governo e Regioni e lo ha fatto con una lettera inviata nei giorni scorsi al presidente del Consiglio dei ministri, al capo della Protezione Civile, ai ministri dell’Ambiente, dello Sviluppo Economico, dell’Economia e delle Finanze e al presidente dell’Anci. «La compromissione delle attività presidiate da Conai può mettere a repentaglio la raccolta differenziata con conseguenze gravissime sull’intero sistema di gestione dei rifiuti urbani, già congestionato – afferma il presidente Giorgio Quagliuolo– stiamo galoppando verso una grave emergenza che questa volta interessa l’intero territorio nazionale».
Ieri il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha chiarito: «Siamo in prima linea anche per affrontare i problemi che il Covid19 sta determinando nel campo dei rifiuti, anche in riferimento a quelli ospedalieri. Abbiamo prodotto una serie di indicazioni, considerando le linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità. Le Agenzie regionali hanno approvato all’unanimità le linee tecniche redatte».
Ma cosa ostacola il processo di raccolta differenziata e riciclo? Per la plastica, le maggiori criticità si registrano nella gestione degli scarti non riciclabili, ossia il plasmix. Dall’inizio dell’emergenza Covid-19, infatti, si sta azzerando la possibilità di utilizzo finale del plasmix (60%) nei cementifici, che lo usano come collante, a causa della chiusura di questi ultimi. Quanto alla plastica riciclata – pari al 45,5% del materiale immesso al consumo nazionale – viene di solito esportata, con quote significative. Ma tali esportazioni sono sospese. Poi c’è la plastica che viene riciclata dall’industria italiana, in prima fila quella del giocattolo e dell’arredo urbano, ma queste aziende oggi sono chiuse perché non considerate strategiche.
I rifiuti di imballaggi in acciaio, vengono di solito raccolti in piattaforme (rottamài) e riciclati nelle acciaierie: ne sono chiuse – dice il Conai – quattro su cinque. Lavora solo una acciaieria in Sicilia che riesce così a garantire uno sbocco per il materiale che arriva da Puglia, Calabria e Sicilia stessa. Il punto critico per l’acciaio sono i rottamài, ultimo passaggio prima dell’acciaieria: questi non hanno autonomia e presto dovranno interrompere i ritiri. Processo inceppato anche per gli imballaggi in alluminio: delle 3 fonderie di cui si avvale Cial (il consorzio aderente a Conai per l’alluminio), una è chiusa. Un’altra, quella di Bergamo, lavora a ritmo ridotto.
Le cartiere hanno problemi di tipo logistico, in particolare nella fascia adriatica, per la mancanza dei ritornisti, trasportatori senza carico al ritorno che quindi non sono disponibili o lo sono a costi elevati. Per quanto riguarda il legno, «tutti i pannellifici hanno chiuso», segnala il Conai – in pochi giorni anche le piattaforme del legno si satureranno. Solo per il vetro non ci sono problemi: le vetrerie lavorano e richiedono molto materiale.
Alle difficoltà registrate nelle aziende che ritirano e riutilizzano il materiale recuperato, poi, si aggiungono quelle di carattere sanitario per chi lavora negli impianti di gestione dei rifiuti, il cui impegno è essenziale alla collettività.
Il Conai propone interventi immediati. «Almeno quattro modifiche alle norme in vigore – elenca Quagliuolo –. Innanzitutto aumentare la capacità annua e istantanea di stoccaggio di tutti gli impianti già autorizzati alle operazioni di gestione dei rifiuti, fino a raddoppiarla. Inoltre, aumentare anche la capacità termica consentita dalla legge di tutti i termocombustori esistenti, fino a saturazione. Semplificare in terzo luogo le procedure burocratiche necessarie per l’accesso alle discariche. E infine autorizzare spazi e capacità aggiuntive per il trattamento e lo smaltimento delle frazioni non riciclabili, che in questa fase non trovano sbocco nella termovalorizzazione». Provvedimenti che sono stati adottati in passato in precedenti fasi emergenziali.
È bene ricordare che in Italia il sistema di recupero e riciclo degli imballaggi ha raggiunto livelli da primato: se l’Europa chiede infatti che venga riciclato il 65% degli imballaggi entro il 2025, l’Italia ha già raggiunto nel 2019 il 71,2%, una quota superiore a 9 milioni e mezzo di tonnellate. La difficile gestione del sistema in tempi di epidemia si complica ulteriormente in seguito all’aumento degli imballaggi prodotti e utilizzati. Si calcola che nell’ultimo mese la domanda di imballaggi sia cresciuta più del 30% nel Paese, in seguito evidentemente al forte incremento dei consumi alimentari.
Fonte: il Sole 24 Ore