Un Rapporto (meta-analisi) scritto da un team internazionale di 61 ricercatori, coordinati dall’Università di Utrecht, che hanno attinto ad oltre 3.000 studi scientifici, e che costituisce la prima valutazione completa dell’impatto politico degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG), evidenzia come sia stato finora prevalentemente “discorsivo”, non si sia tradotto in un processo trasformativo e sia stato utilizzato da alcuni governi per legittimare le proprie precedenti politiche.
La sostenibilità non è mai stata in cima all’Agenda internazionale e anche i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) dell’Agenda ONU al 2030, dopo quasi 7 anni dall’adozione, hanno avuto un impatto limitato.
È la conclusione del libro in uscita in questi giorni “The Political Impact of the Sustainable Development Goals”, disponibile anche come open access su Cambridge Core, scritto da un team internazionale di 61 ricercatori, coordinati dall’Università di Utrecht, che hanno attinto ad oltre 3.000 studi scientifici e che costituisce la prima valutazione completa dell’impatto politico degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG), adottati dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2015.
Lo Studio (una meta-analisi), “ è una valutazione critica del cambiamento politico necessario per realizzare gli SDG delle Nazioni Unite – come scrive nella presentazione Johan Rockström, Direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research (PIK), noto per aver elaborato la teoria degli “spazi operativi sicuri” (Planetary Boundaries), superati i quali si sistema Pianeta entra in una zona di incertezza e di pericolo – Consiglio vivamente a tutti coloro che hanno gli incarichi politici di leggere questo libro. Sono già trascorsi due anni del Decennio decisivo per il futuro dell’umanità sulla Terra. Raggiungere la zona di atterraggio sicura e giusta definita dagli SDG richiede pensiero e azione trasformativi. Anche in politica“.
Il volume esce nell’anno di celebrazione dei 50 anni dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano del 1972, la prima conferenza a inserire l’ambiente nell’agenda internazionale e che ha portato all’istituzione del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP). Stockholm+50 si è posta l’obiettivo di sollecitare i Paesi a mobilitarsi per un futuro sostenibile, anche realizzando gli SDG entro il 2030.
“Ma se gli obiettivi hanno un impatto limitato e stanno viceversa contribuendo a mantenere lo status quo distruttivo – ha affermato Franck Biermann, Professore di Governance di Sostenibilità Globale presso il Copernicus Institute of Sustainable Development dell’Università di Utrecht, che ha coordinato lo studio e ne è il principale autore – allora è il momento di cambiare radicalmente il nostro modo di agire”,
Il Rapporto è stato anticipato e sintetizzato dallo stesso Biermann e da altri colleghi nell’articolo “Scientific evidence on the political impact of the Sustainable Development Goals”, pubblicato su Nature Sustainability.
Ne emerge che, sebbene gli obiettivi siano in grado di cambiare il modo con cui i governi e gli altri organismi comprendono e comunicano sulla sostenibilità, ci sono poche prove che ad 8 anni dal termine previsto per il loro conseguimento, gli SDG stiano contribuendo a ridurre le disuguaglianze, ad agire per contrastare l’emergenza climatica o per una migliore protezione della biodiversità e della natura.
“Non vediamo prove evidenti di una riallocazione di fondi per lo sviluppo sostenibile, di una nuova o più decisa legislazione a favore degli SDG o che le politiche stiano diventando più rigorose – ha sottolineato Biermann – Molti cambiamenti erano già stati avviati ben prima dell’entrata in vigore dell’Agenda 2030”.
Prima dell’adozione degli SDG, le Nazioni Unite avevano messo in atto la più ampia consultazione della propria storia per valutare quel che avrebbero dovuto includere. Gli SDG coprono infatti un’ampia gamma di questioni sociali e ambientali, tra cui la fine di tutte le forme di povertà, la fornitura di energia pulita e a prezzi accessibili per tutti, la lotta ai cambiamenti climatici, il tutto assicurando che “nessuno venga lasciato indietro“. Sebbene non vincolanti, gli Stati membri delle Nazioni Unite dovrebbero utilizzare gli obiettivi per inquadrare le loro agende e politiche fino al 2030.
“Ciò ha significato che gli obiettivi sono stati ampiamente accettati dai più diversi gruppi – ha aggiunto Biermann – Agenzie governative, città, multinazionali, piccole imprese, ONG e università di tutto il mondo utilizzano gli obiettivi per inquadrare i loro sforzi di sostenibilità. Allora cosa c’è che non va?”
Più dettagliatamente la valutazione dell’impatto degli SDG dal loro lancio si è incentrata attorno alle 5 dimensioni dell’Agenda 2030: l’impatto politico degli SDG sulla governance globale; l’impatto sui sistemi politici nazionali; l’integrazione e la coerenza delle istituzioni e delle politiche; l’inclusività della governance (su piano locale e globale); la protezione dell’integrità ecologica.
Impatto sulla governance globale
L’impatto politico degli SDG sulla governance globale, secondo i ricercatori, è stato essenzialmente “discorsivo”, senza tradursi in azioni concrete.
Mentre i princìpi di governance che sono alla base degli SDG, come l’universalità, la coerenza, l’integrazione e il “non lasciare indietro nessuno“, sono state enunciate diffusamente nei discorsi delle istituzioni multilaterali, le effettive riforme attuate da queste organizzazioni dal 2015 sono state modeste e senza prove evidenti che gli SDG abbiano avuto un impatto trasformativo sui mandati, sulle pratiche o sull’allocazione delle risorse di organizzazioni e istituzioni internazionali all’interno del sistema delle Nazioni Unite, evidenziando una discrepanza tra le aspirazioni formali delle Nazioni Unite di promuovere gli SDG come linee guida centrali nella governance globale e il loro limitato impatto trasformativo.
Impatto sulle politiche nazionali
Molti paesi hanno iniziato a integrare gli SDG nei loro sistemi amministrativi e alcuni governi hanno designato organismi o formato nuove unità per l’attuazione degli obiettivi. Tuttavia, le prestazioni dei governi nazionali variano e la maggior parte dei paesi è in ritardo nell’attuazione degli SDG. Il cambiamento istituzionale osservabile spesso si limita a replicare priorità, traiettorie e programmi di governo esistenti e i governi tendono ad attuare selettivamente quegli SDG che supportano le politiche a cui hanno già dato priorità.
Sono risultati scarsi i riscontri che i governi abbiano sostanzialmente riassegnato i fondi per implementare gli SDG, sia per l’attuazione nazionale che per la cooperazione internazionale.
Gli SDG non sembrano aver modificato in alcun modo i bilanci pubblici e i meccanismi di allocazione finanziaria, ad eccezione di alcuni contesti di governance locale. Alcune prove suggeriscono che le autorità subnazionali, in particolare le città, sono spesso più pioniere e progressiste dei loro governi centrali nella creazione di coalizioni per l’attuazione degli SDG. In diversi sistemi politici nazionali, gli attori della società civile hanno iniziato a ritenere i policy maker responsabili dei loro impegni per realizzare la visione di non lasciare indietro nessuno.
Si è manifestato anche maggiore interesse e partecipazione da parte degli attori aziendali, comprese banche e investitori, che si impegnano sempre più e investono in pratiche di sostenibilità, promuovendo la finanza verde, facilitando progetti infrastrutturali sostenibili su larga scala o espandendo i loro portafogli per includere prestiti ambientali e sociali. Tuttavia, i ricercatori hanno rilevato in alcuni studi che gli SDG potrebbero anche essere utilizzati per camuffare il business as usual (SDG washing).
Nel complesso, sembrano mancare cambiamenti fondamentali nelle strutture di incentivazione per orientare i finanziamenti pubblici e privati verso percorsi più sostenibili.
Integrazione e coerenza delle istituzioni e delle politiche
L’Agenda 2030 e gli SDG dovrebbero fornire una guida e risolvere i conflitti normativi, la frammentazione istituzionale e la complessità delle politiche, ma la ricerca condotta ha evidenziato che le sinergie e i compromessi si manifestano in modo diverso tra i sistemi politici e i livelli di governo. I casi studio analizzati su Bangladesh, Belgio, Colombia, Germania, India, Paesi Bassi, Sri Lanka e Piccoli Stati Insulari in via di Sviluppo (SIDS) indicano che i governi non riescono ancora a rafforzare la coerenza delle politiche per attuare gli SDG, nonostante si siano manifestati in alcuni Paesi presi in esame anche progressi (modesti). Laddove ci sono prove dell’integrazione degli SDG nelle strategie nazionali e nei piani d’azione, ciò non ha portato comunque a politiche e programmi intersettoriali nuovi o adeguati che siano coerenti tra loro. Mancano soprattutto valutazioni comparative più ampie degli impatti delle interconnessioni SDG sulla politica nazionale.
Inclusività della governance
L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e gli SDG hanno lo scopo di affrontare le disuguaglianze all’interno e tra i paesi e garantire che nessuno rimanga indietro. Tuttavia, gli studi analizzati indicano che sussiste una discrepanza tra retorica e azione. All’interno dei paesi, l’impatto politico degli SDG nella riduzione delle disuguaglianze varia considerevolmente e sembra essere determinato soprattutto dalla politica interna. La letteratura indica che gli SDG non hanno stimolato nuove forme di governo normativo o istituzionale che promuovano l’inclusività. Gli SDG sono stati utilizzati, se non del tutto, come quadro normativo internazionale globale per legittimare le politiche e le istituzioni nazionali esistenti. A livello globale non ci sono prove che l’adozione degli SDG abbia migliorato la posizione dei paesi più vulnerabili del mondo nella governance e nell’economia globale. Non emergono, inoltre, elementi che indichino che gli SDG abbiano orientato le strutture di governance globale verso una maggiore inclusività, specialmente per quanto riguarda i paesi meno sviluppati, Gli studi dubitano che gli SDG saranno in grado di trasformare i quadri giuridici verso una maggiore partecipazione politica di questi paesi alla governance globale. Inoltre, la continua mancanza di rispetto delle norme di vecchia data che cercano di sostenere i paesi meno sviluppati, come gli impegni speciali sugli aiuti del Nord globale, indica ulteriormente il limitato effetto guida degli SDG sulla capacità dei paesi più poveri di partecipare pienamente al processo e trarre vantaggio dall’economia globale.
Integrità ecologica a livello globale
Sebbene gli SDG sembrino aver influenzato le discussioni internazionali sull’emergenza climatica e sulla perdita della biodiversità, i ricercatori sottolineano come in realtà ci siano scarse prove che qualsiasi cambiamento normativo e istituzionale in questa direzione si sia materializzato per effetto degli SDG.
Molti studi concordano sul fatto che gli SDG mancano di ambizione e coerenza per promuovere una spinta trasformativa e mirata verso l’integrità ecologica su scala planetaria. Vi sono indicazioni che questa mancanza di ambizione e coerenza derivi in parte dalla progettazione neoliberista degli SDG che privilegia la crescita economica a discapito dell’integrità ecologica del pianeta. Di conseguenza, sia i Paesi del Sud del mondo che quelli del Nord danno in gran parte la priorità più agli SDG socioeconomici rispetto a quelli orientati all’ambiente, in linea con le loro politiche di sviluppo nazionali di lunga data.
Fonte: regionieambiente