La plastica sostenibile esiste? Se per sostenibile non si intende a impatto zero – perché nessuna produzione umana lo è – allora sì, ed è la plastica interamente riciclata. È quanto sembra emergere dall’ultima proposta Ue in merito alla tassonomia verde, come riportano da Euractiv citando un documento ancora riservato.
Più nel dettaglio, i prodotti in plastica per essere definiti sostenibili devono dunque essere “interamente prodotti dal riciclo meccanico dei rifiuti di plastica”. Oppure, ed ecco l’ultima discussione in corso sul tema in Ue, “da processi di riciclo chimico, se vengono rispettati gli standard minimi di emissione”.
Ma in che cosa consiste questo “nuovo” processo? In sostanza una modifica della struttura chimica stessa di un rifiuto in plastica, convertendola in molecole più piccole (monomeri) utilizzabili per produrre nuovi materiali vergini. Un processo complementare a quello meccanico finora diffuso, che apre possibilità inedite per frazioni ad oggi difficili da riciclare come la plastica mista o plasmix, che incide per quasi la metà della raccolta differenziata della plastica. Ma ancora tutto da esplorare.
Che il riciclo chimico sia effettivamente sostenibile non è ancora certo e sono, infatti, attesi nuovi standard Ue che rientreranno nell’ambito della tassonomia finanziaria sostenibile, ovvero nel nuovo sistema di classificazione per le attività economiche sostenibili che determina gli investimenti che contribuiscono in modo sostanziale alla sostenibilità ambientale.
In questo scenario, sulla plastica riciclata chimicamente l’europarlamentare dei Verdi Jutta Paulus, è favorevole, ma sostiene che “sarebbe utile avere una differenziazione nella tassonomia, dicendo prima di ridurre, poi di riutilizzare, quindi riciclare meccanicamente e infine chimicamente la plastica”. In buona sostanza il procedimento chimico non dovrebbe interrompere la spinta verso le altre buone pratiche.
Ribadito che al momento la certezza di essere “plastica sostenibile” passa attraverso il riciclo meccanico, “l’obiettivo dei produttori di plastica – si legge su Euractiv – è di ottenere la classificazione di ‘investimento sostenibile’, per poter ricevere investimenti privati e lavorare alla realizzazione della prossima generazione di prodotti plastici, derivati da rifiuti recuperati e processi di riciclaggio chimico”.
Ma quali standard debbono rispettare le plastiche da riciclaggio chimico? “Per essere considerate ‘sostenibili’, devono essere responsabili in tutto il loro ciclo di vita di emissioni di gas serra inferiori a quelle prodotte a partire da materie prime fossili”. Questo è ciò che riporta la bozza. Ci sono però delle perplessità.
È chiaro che la possibilità di considerare plastica riciclata sostenibile anche quella da processo chimico aiuterebbe non poco a raggiungere gli obiettivi del 50% di riciclo degli imballaggi in plastica entro il 2025 e del 55% entro il 2030. Obiettivi ad oggi lontani, con una situazione che si è aggravata a causa dell’emergenza Covid-19. Inoltre, come ricordano anche da Euractiv “il prezzo del petrolio è sceso a causa della pandemia, rendono i materiali vergini a base di combustibili fossili più appetibili rispetto alle plastiche riciclate. A questo contribuiscono anche motivi di salute e sicurezza, in particolare per gli imballaggi a uso alimentare”. E come sappiamo, in un mare di petrolio a basso prezzo la più costosa plastica riciclata sta affogando.
Per questo è il momento di sostenerla. Come le rinnovabili sono cresciute nel tempo potendosi avvalere di incentivi dedicati, lo stesso – e da tempo – è necessario fare per la materia rinnovabile attraverso misure economiche ad hoc: magari – parliamo dell’Italia – accogliendo la proposta della filiera della plastica nostrana di un credito di imposta per favorire dall’acquisito dei materiali riciclati. Oppure abbassando l’Iva per i prodotti riciclati. E contemporaneamente riuscire ad aumentare gli acquisti verdi delle amministrazioni pubbliche come previsto – ma sempre disatteso – dal Gpp
Fonte: Green Report