L’obbligo di raccogliere separatamente i rifiuti tessili, in Italia, scatterà a partire dal 1 gennaio 2022, come previsto dal decreto legislativo n.116/2020, mentre a livello europeo, la raccolta differenziata di questa tipologia di rifiuto diventerà obbligatoria entro il 2025. L’obiettivo è quello di diminuire l’impatto ambientale del tessile ed incentivare il riutilizzo e il riciclo. Secondo le stime di Ispra il 5,7% dei rifiuti indifferenziati è composto da rifiuti tessili, si tratta di circa 663mila tonnellate/anno destinate a smaltimento in discarica o nell’ inceneritore e che potrebbero essere, in grande parte, riutilizzate o riciclate.
Sempre secondo Ispra, la media nazionale pro capite di raccolta di rifiuti tessili è di 2,6 chili per abitante; al nord si raggiunge la quota di 2,88, al centro di 2,95 kg, quantità che si abbassa a due chilogrammi al sud. Veneto, Emilia-Romagna, Toscana e Marche hanno già superato la soglia dei 3 chilogrammi per abitante, mentre Valle d’Aosta e Basilicata sono vicine alla soglia dei 4 Kg, quota superata dal virtuoso Trentino Alto-Adige. Al contrario, Umbria e Sicilia raccolgono in modo differenziato meno di 1 Kg di tessile per abitante.
Al momento la raccolta differenziata del tessile è strutturata solo parzialmente sul territorio nazionale e colmare, in breve tempo, le differenze tra regioni non sarà facile. Con l’obbligatorietà, i Comuni e i gestori, che non hanno ancora attivato questo servizio di raccolta, dovranno realizzarlo quanto prima e regolamentarlo al meglio, comprendendo sia gli indumenti che altri materiali tessili, come ad esempio la tappezzeria, le lenzuola, gli asciugamani ed altri prodotti tessili che, per lo più, si trovano nelle nostre abitazioni.
Questo comporterà un aumento della presenza di frazioni non facilmente valorizzabili, con un possibile aumento dei costi di cernita e smaltimento che preoccupa non poco gli operatori del settore. In sostanza, con l’introduzione dell’obbligo di raccolta differenziata del tessile, si teme l’immissione sul mercato di maggiori quantitativi di rifiuti tessili che possono determinare degli squilibri sullo stesso ed un contestuale abbassamento della qualità degli stessi.
Qualcuno ha già invocato una proroga, quantomeno parziale, dell’ obbligo, prevedendo una limitazione, nella fase iniziale, ai soli abiti usati, in attesa che l’Europa definisca la propria strategia sull’economia circolare nel tessile.
La strategia europea prevede, tra le sue principali novità, l’introduzione dell’estensione della responsabilità del produttore (Epr) nel comparto industriale tessile-moda, visto come uno dei migliori strumenti per raggiungere gli obiettivi previsti a livello comunitario per rendere concreto il principio del “chi inquina paga”.
Qualcuno ha già ammonito di fare attenzione che i costi non ricadano due volte sui cittadini: prima come consumatori poi in veste di “inquinatori”, chiamati a pagare una tassa sullo smaltimento dei rifiuti prodotti. In più bisognerà scongiurare anche il possibile pericolo che qualche produttore possa approfittarne, facendo propria la somma pagata dal consumatore per lo smaltimento senza garantirne uno realmente rispettoso della normativa e dell’ambiente. L’esempio da seguire per fortuna esiste, basterà rifarsi alle esperienze già operative da anni nel settore degli imballaggi.
A questi problemi si aggiungono quelli relativi agli impianti di riciclaggio, infatti, da più parti si sottolinea la mancanza di una vera rete infrastrutturale di impianti in grado di recuperare materia dagli scarti tessili, nonostante questo “business” rappresenti un caposaldo dell’economia circolare, come più volte sottolineato anche dalla Fondazione Ellen MacArthur.
Secondo il rapporto Global fashion agenda, “Scaling circularity”, investire nelle tecnologie per il riciclo del tessile garantirebbe di gestire l’80% dei materiali tessili, pre e post consumo, ed il 75% di quanto riciclato rimarrebbe nel sistema tessile mentre un 5% interesserebbe altri settori industriali.
Per riconvertire il sistema e avviare una vera economia circolare nel tessile-moda sono necessari ingenti investimenti. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza stanzia 150 milioni di euro per la costituzione di ‘textile hubs’ innovativi, a cui si aggiunge una parte del miliardo e mezzo destinato alle amministrazioni pubbliche per il miglioramento dei sistemi di raccolta differenziata e riciclo.
A cura dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana – Arpat
Fonte: GreenReport