Nel corso degli ultimi dieci anni, nonostante la più acuta crisi economica dal dopoguerra, la produzioni di rifiuti in Italia è cresciuta del 6% passando da 155 a 164 milioni di tonnellate prodotte all’anno. Ma se la prospettiva di un “azzeramento” dei rifiuti perde ogni consistenza alla luce dei dati raccolti nel rapporto L’Italia del riciclo 2019 – realizzato da Fise Unicircular insieme alla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, e presentato oggi a Roma –, il documento mostra anche qual è la strada da seguire: quella del recupero. Nell’ultimo decennio l’avvio a riciclo è infatti cresciuto 7 volte più velocemente della produzione di rifiuti (+42%), passando da 76 a 108 milioni di tonnellate l’anno.
In particolare, i tassi di riciclo delle singole filiere dei rifiuti d’imballaggio hanno raggiunto livelli di avanguardia: carta (81% e terzo posto in Europa), vetro (76% e terzo posto), plastica (45% e terzo posto), legno (63%, secondo posto), alluminio (80%), acciaio (79%). In diversi casi hanno già superato gli obiettivi europei previsti per il 2025 (talvolta pure quelli per il 2030), e sensibili progressi si registrano anche sul fronte dell’organico: la raccolta di questa frazione è passata da 3,3 milioni di tonnellate nel 2008 a oltre 6,6 nel 2017 – una crescita del 100% – e ora per raggiungere gli obiettivi europei sarà necessario strutturare il settore sull’intero territorio nazionale garantendo lo sviluppo di un’adeguata rete impiantistica.
Fermarsi a questi numeri fornirebbe però solo una visione parziale dell’economia circolare nazionale: nel 2018 è vero che l’80,6% dei rifiuti di imballaggio è stato avviato a recupero, ma questi rifiuti (13,2 milioni le tonnellate immesse al consumo lo stesso anno) rappresentano solo una piccola percentuale delle 164 milioni di tonnellate sopracitate. E lo stesso vale per l’organico.
È adottando un approccio più ampio che è possibile far emergere le criticità che rimangono da affrontare. Innanzitutto «occorre abituarsi a considerare – si legge nel report – non solo il tasso di riciclo di un certo prodotto che diventa rifiuto, ma anche del contributo dei materiali riciclati alla domanda complessiva di materiali», ovvero il tasso di circolarità: da questo punto di vista l’Ue (dati 2016) è ferma all’11,7% appena, e l’Italia non fa molto meglio con il 17,1%, in quinta posizione in Europa. Un dato tra l’altro in peggioramento: dato che «nel periodo 2010-2016 il tasso di utilizzo circolare di materia è cresciuto per la Francia dal 17,5% al 19,5% e per il Regno Unito dal 14,6% al 17,2%, mentre in Italia è diminuito da 18,5 nel 2014 al 17,1% nel 2016, occorre tener presente un trend di circolarità che potrebbe mostrare delle difficoltà. Poiché – documenta il rapporto – negli stessi anni i tassi di riciclo dei rifiuti sono, come si è visto, aumentati, la riduzione del tasso di circolarità si spiega col fatto che materie prime provenienti dal riciclo hanno sostituito, in parte non corrispondente e inferiore alle quantità riciclate, materie prime vergini impiegate nella realizzazione dei prodotti».
Occorre poi sgombrare il campo d’osservazione da un altro falso mito, ovvero che avviando i rifiuti a riciclo questi poi magicamente spariscano, perché non è così. Quello del riciclo è a tutti gli effetti un processo industriale, vincolato come tutti gli altri al secondo principio della termodinamica, al termine del quale si hanno dunque un nuovo prodotto (le materie prime seconde, pronte a rientrare sul mercato) ma anche altri scarti, che occorre saper gestire.
La resa media delle attività di riciclo – calcolabile come rapporto tra la quantità di materiali secondari in output e quella di rifiuti in input – oggi si attesta al 67%, come informa il rapporto. «Il valore di resa più alto supera il 90% e riguarda la carta: questo vuol dire che mediamente a livello nazionale, sottoponendo a operazioni di recupero 100 kg di rifiuti (tipici e, in quota parte, misti), si ottengono circa 92 kg di materiali secondari classificabili come “carta”. Per vetro, plastica e legno la resa media si aggira tra il 75% e l’80%, per la gomma raggiunge quasi il 65% mentre il valore minimo si registra per l’organico che sfiora il 30%, conseguentemente alle peculiarità chimico-fisiche della matrice».
Se l’Italia crede nello sviluppo dell’economia circolare deve dunque dimostrarlo concretamente non solo avviando a riciclo un sempre maggior numero di rifiuti, ma garantendo alle materie prime seconde lo spazio di mercato che meritano e al contempo prendendo in carico la gestione dei crescenti scarti provenienti dal riciclo oltre a quelli legati alle frazioni non riciclabili. Il contrario di quanto sta succedendo finora, come dimostrano tutti gli ultimi studi condotti in materia (si veda ad esempio qui, qui, qui e qui), che testimoniano una forte carenza di impianti in grado di gestire in sicurezza i rifiuti che produciamo.
«Il nuovo pacchetto di direttive europee per i rifiuti e l’economia circolare contiene ambiziosi target di riciclo – commenta Andrea Fluttero, presidente di Fise Unicircular – Perché si raggiungano va affrontato il tema dell’eco-progettazione, deve essere certa la cessazione della qualifica di rifiuto dopo adeguato trattamento (End of Waste), va assicurato maggiore sbocco ai materiali recuperati attraverso un ‘pacchetto di misure’ finalizzate a promuovere lo sviluppo dei mercati del riutilizzo e dei prodotti realizzati con materiali riciclati: maggiori costi per lo smaltimento in discarica dei rifiuti indifferenziati (salvaguardando la possibilità di smaltire gli scarti delle attività di riciclo), estensione dell’uso di materiali riciclati negli appalti pubblici, agevolazioni fiscali per l’uso di materiali e prodotti riciclati, sostegno alla ricerca e all’innovazione tecnologica per il riciclo, eliminazione graduale delle sovvenzioni in contrasto con la gerarchia dei rifiuti».
Fonte: Greenreport