Piano Nazionale di Gestione dei Rifiuti: occasione per un’accelerazione virtuosa o l’ennesimo errore tecnocratico?

La nota congiunta di Legambiente, Greenpeace, WWF, Zero Waste Italy, Kyoto Club

In merito alla recente adozione del Dlgs 116, recepimento della nuova Direttiva Quadro (Direttiva 2018/851) e della nuova Direttiva Imballaggi (Direttiva 2018/852) incluse nel Pacchetto UE sulla Economia Circolare, alla cui “visione” ambiziosa le strategie nazionali dovranno  da ora in poi essere allineate, le Associazioni sottoscritte tengono a precisare modi e condizioni per la applicazione di alcune previsioni fondamentali

Ci riferiamo, in particolare, alla previsione di un “Programma  Nazionale per la Gestione dei Rifiuti” (PNGR di seguito), strumento non previsto obbligatoriamente dalla Direttiva, ed inserito invece nel Decreto di recepimento.

La lettura dell’articolo 28 della Direttiva, al cui dettaglio rimandiamo, recita infatti:

1.      Gli Stati membri provvedono affinché le rispettive autorità competenti predispongano, (…) uno o più piani di gestione dei rifiuti. Tali piani coprono, singolarmente o in combinazione tra loro, l’intero territorio geografico dello Stato membro interessato.

La fattispecie prevista dalla Direttiva è quella dei “Piani di settore”, sinora delegati alle Regioni, strumento attraverso il quale le Regioni hanno sinora governato e programmato le attività, individuando gli scenari e, nella loro generalità, assicurando l’evoluzione del sistema verso le attuali situazioni; situazioni che   descrivono una Italia che da Paese arretrato, ha scalato le classifiche europee e mondiali, diventando uno dei Paesi con prestazioni più avanzate in termini di raccolta differenziata, riciclo, e minimizzazione del RUR.

Tutto questo ci racconta una prima verità, da cui non si può prescindere nel valutare il ruolo del redigendo “Programma Nazionale”: molte Regioni, ed i territori che le stesse rappresentano, hanno consentito, nella media, di perseguire scenari ambiziosi, smentendo a più riprese lo scetticismo di molti operatori di settore, superando continuamente la narrazione di un Paese arretrato  e non in grado di raccogliere le sfide della agenda sulla Economia Circolare[1].

Insomma, qualcosa di profondamente diverso dalle letture che vediamo spesso generate, con una percezione sciatta e riduttiva, da parte diversi operatori: letture tutte finalizzate alla definizione delle “necessità impiantistiche” in particolare per la gestione del RUR  (e con tutti gli errori metodologici e concettuali che avremo modo di specificare più oltre)

In realtà, la lettura di dettaglio dello stesso articolo 28 della Direttiva Quadro, dà ulteriori indicazioni, che non possono essere trascurate: l’articolo descrive infatti, nei suoi diversi commi ed alinea, Piani che devono essere costituiti da una elaborazione armonica in merito a misure di prevenzione e riduzione, raccolta, ed impiantistica. C’è anche l’elemento della impiantistica, ma non è l’unico – né, sottolineiamo con forza, il principale, tanto meno in uno scenario dettato dalla agenda sulla “economia circolare”, in cui il “software di sistema” (nuovi modelli di attività, riprogettazione dei materiali, organizzazione dei circuiti) è più importante del cosiddetto ”hardware” (sistema impiantistico, ed in particolare quello per trattamento e smaltimento del RUR)

Questo dà la cifra dei “Piani” come individuati dalla Direttiva Quadro: strumenti articolati, il contenitore in cui i territori definiscono gli orizzonti delle loro azioni ed ambizioni, in un quadro coerente di azioni virtuose su

·       Riduzione

·       Raccolta differenziata

·       Riciclo e compostaggio

·       Pretrattamento del RUR

·       Smaltimento

Il PNGR può dunque essere occasione per ridefinire strategie nazionali, individuando le necessarie azioni di riduzione e minimizzazione del RUR, e le misure organizzative ed economiche in merito, ben prima ed al di là della definizione delle capacità impiantistiche, ed in particolare per la gestione del RUR. Il PNGR, in altri termini, non va usato per assumere decisioni monocratiche in sede centrale, senza confronto con i territori, e con le Regioni che li rappresentano in sede politico-istituzionale e che possono assumere (come spesso sta avvenendo!) obiettivi più ambiziosi di quelli minimi definiti nelle Direttive, perseguendoli nella operatività locale e nella definizione degli strumenti di supporto.

Un approccio del PNGR tutto impostato sulla definizione delle capacità (e delle tipologie!) impiantistiche, in particolare per il RUR, non farebbe che riproporre lo schema logico dello Sblocca Italia: il livello centrale decide per il tipo di tecnologie e le relative capacità, alle Regioni rimane solo la localizzazione. Uno schema già abbondantemente sconfessato dalla sostanziale sterilità delle misure a suo tempo ivi previste; nonché – ed in modo eloquente! –  dalle sentenze della Corte Europea di Giustizia e del TAR del Lazio.

Tale approccio è stato cassato in ambito legale per un elemento fondamentale: la mancanza della VAS; elemento critico che avevamo messo in risalto (al pari di molte Regioni) sin dall’inizio. E’ appena il caso di rilevare che l’assenza della VAS ha evitato quella analisi delle alternative, che avrebbe sconfessato di fatto l’approccio distorto adottato dall’allora Ministro pro-tempore, ossia pretrattamento = incenerimento.

In effetti, come segnalammo subito (assieme a diverse Regioni), lo Sblocca Italia, che dichiarava di volere superare le criticità determinate dalla incompleta applicazione della direttiva discariche, faceva un salto logico del tutto irragionevole, trasformando l’obbligo di pretrattamento, definito dalla Direttiva stessa e che ha innescato le procedure di infrazione contro l’Italia (una su tutte, il caso Malagrotta), in obbligo di incenerimento. Invece, la Direttiva 99/31 sulle discariche  prevede una varietà di possibili approcci al pretrattamento; approcci ognuno dotato dai suoi pro, dai suoi contro, e dalle relative condizioni di adozione – proprio quello che una VAS dovrebbe esaminare in modo completo ed equilibrato, cercando, in particolare, la coerenza con gli obiettivi ambiziosi dettati dalla agenda UE, e quelli ancora più ambiziosi che molti territori hanno dichiarato e stanno dimostrando di volere perseguire.

In particolare, riteniamo fondamentale sottolineare un approccio riduttivo che vediamo usare con insistente frequenza, e che include diversi errori metodologici e concettuali: diffidiamo, una volta per tutte, dall’usare la formula, inopinatamente proposta[2] e purtroppo ripetuta più volte senza i necessari approfondimenti e riflessioni in merito, per il calcolo della “necessità di incenerimento”: la formula  “100-65-10[3]”, fallace per diversi motivi, che rendono irricevibile, ed ai limiti del ridicolo, il ragionamento ogni volta che viene riproposto:

–          Anzitutto, perché è appena il caso di sottolineare che il 65% di riciclo netto è l’obiettivo minimo, non massimo, previsto dalle Direttive UE; e fino al 2035 c’è abbondanza di tempo per perseguire scenari più ambiziosi (peraltro, già conseguiti in territori, anche estesi) in confronto con i percorsi virtuosi che le Regioni e le altre Amministrazioni Locali possono/vogliono definire

–          Ma soprattutto, ed ancora una volta, va ribadito che l’incenerimento non è l’unica opzione di trattamento del RUR; né, in riferimento alle finalità di quel calcolo, l’unica opzione che consenta di ridurne l’avvio a discarica[4]!

Insomma, l’approccio metodologico a tale calcolo è profondamente riduttivo e distorto, e non reggerebbe alla prova dei fatti, su cui siamo pronti a sfidare, con evidenze, informazioni, e capacità di visione, chiunque se ne faccia latore, a livello istituzionale o di portatori di interesse.  

Ma vale la pena di rammentare, a chi cerca di sfruttare l’occasione del PNGR per ravvivare una agenda dell’incenerimento, che questa dovrebbe invece ormai volgere allo spegnimento progressivo, come hanno già dichiarato molti dei Paesi Nordici spesso citati da chi in modo pasticciato e confuso parla di coerenza tra incenerimento e scenari avanzati di recupero materia (e riduzione dei rifiuti!)

Basta appena citare (ma ulteriori evidenze e dettagli saranno disponibili per chi riterrà di approfondire):

–          Le indicazioni venute da Tema Nord (rete dei Ministeri dell’Ambiente dei Paesi Scandinavi) sulla necessità di definire piani di decommissioning, allo scopo di superare le contraddizioni con gli scenari incrementali del recupero materia previsti dal Pacchetto Economia Circolare[5]

–          Il recente annuncio del governo danese  relativo alla definizione di un piano di spegnimento di alcuni degli inceneritori esistenti[6], dal momento che la “Carbon intensity” della produzione energetica da incenerimento è ormai marcatamente superiore (causa la presenza di materiali fossili nel rifiuto residuo, come plastica e tessili artificiali) a quella della produzione energetica generale, e nel contesto di una agenda sulla decarbonizzazione, l’incenerimento è diventato un “outlayer”, qualcosa che sta fuori dal percorso previsto. Il problema è stato sollevato recentemente anche in Scozia[7].

–          La Comunicazione della EC del Gennaio 2017[8] sul “ruolo del waste-to-energy nella economia circolare” richiama ampiamente tutti i temi elencati, includendo nel suo complesso un appello a disinvestire dall’incenerimento, massimamente nei Paesi dove la capacità di incenerimento è già presente e sviluppata (ed è il caso dell’Italia). Coerentemente, le ultime disposizioni adottate in merito alla “Taxonomy” europea della finanza sostenibile, alla politica di finanziamento della BEI, ai meccanismi di erogazione delle sovvenzioni per l’energia rinnovabile, sono tutte intese ad escludere meccanismi di finanziamento all’incenerimento

Infine, ci corre l’obbligo di sottolineare un concetto, su cui la confusa riproposizione della formula “100-65-10” pare essere cieca: in discarica, mandiamo tonnellate, non percentuali; dunque, chi vuole davvero minimizzare il ricorso alla discarica, deve evitare di legare il territorio a capacità di incenerimento che, ingessando il sistema, impediscono di lavorare sulla minimizzazione del RUR, ossia (appunto) quei tonnellaggi a cui le percentuali si applicano. I territori che più di tutti sono riusciti a minimizzare i contributi specifici alla discarica (i kg/ab di RUR, che poi diventano le tonnellate smaltite) sono, guarda caso, quelli liberi dall’ingessamento causato dalla presenza di inceneritori che necessitano di tonnellaggi onde garantire il recupero degli investimenti[9].

Ormai lo scenario operativo abbonda di evidenze di questo tipo, in Italia ed a livello UE: e chi si occupa di programmazione non può più permettersi di ignorarle. 


[1] Al contempo, questa realtà descrive un Paese in grado di perseguire obiettivi sempre più ambiziosi, e deve agire da stimolo per quei territori e Regioni – non solo al Sud! – che ancor attestano una marcata arretratezza rispetto alla media nazionale ed agli obiettivi di legge. La presenza, anche nel contesto centro-meridionale, di Regioni con livelli avanzatissimi di raccolta differenziata e riciclo (es. Sardegna), ma anche  di vaste aree o singoli distretti nelle Regioni più arretrate, dimostra la percorribilità di scenari avanzati, non lascia scuse e deve stimolare una veloce evoluzione della situazione media regionale a qualunque latitudine

[2] Cfr. ad esempio: https://24plus.ilsole24ore.com/art/industria-riciclo-senza-impianti-22-milioni-tonnellate-rifiuti-ADnY5Bx e https://cesisp.unimib.it/wp-content/uploads/sites/42/2020/09/cesisp-instant-paper-circular-capacity-waste-08-2020.pdf. I contributi ivi citati o sviluppati, sembrano proprio volere dettare al Ministero una agenda distorta, basata sull’erroneo calcolo 100-65-10, per la redazione del PNGR, impostando in particolare su tale approccio un calcolo della “necessità di capacità aggiuntiva di incenerimento”. Calcolo fallace per quanto qui mostrato.

[3] La formula, nelle intenzioni di chi in modo pigro la propone, assume il conseguimento del 65% di riciclo netto (ossia, già sottraendo gli scarti dei processi di riciclo e compostaggio) come previsto dalla Direttiva-Quadro, e il 10% di “landfill cap” come previsto dalla nuova Direttiva Discariche, derivando – impropriamente, per quanto evidenziato in questo documento – la necessità di un 25% di incenerimento

[4] In merito, si può consultare ad esempio il documento “Building a Brige Strategy for Residual Waste” di Zero Waste Europe, peraltro redatto prendendo spunto da esempi presenti anche e soprattutto nel contesto nazionale: https://zerowasteeurope.eu/2020/06/building-a-bridge-strategy-for-residual-waste/

[5] https://www.compostnetwork.info/wordpress/wp-content/uploads/EUNOMIA-study-on-Nordic-Nations.pdf

[6] https://stateofgreen.com/en/partners/state-of-green/news/new-political-agreement-to-ensure-a-green-danish-waste-sector-by-2030/, l’articolo rimarca anche che la Danimarca, come da noi sempre segnalato, ha il poco commendevole primato di produzione pro-capite di RU in Europa, ben più di Paesi a vocazione turistica!

[7] https://www.zerowastescotland.org.uk/sites/default/files/ZWS%20%282020%29%20CC%20impacts%20of%20incineration%20SUMMARY%20REPORT%20FINAL.pdf. Vale la pena di sottolineare che “Zero Waste Scotland” è una organizzazione dello Scottish Executive, il Governo scozzese, delegata alla implementazione della Circular Economy.

[8] https://ec.europa.eu/environment/waste/waste-to-energy.pdf

[9] Cfr. Il documento https://zerowasteeurope.eu/wp-content/uploads/2020/03/zero_waste_europe_policybriefing_10landfill_en.pdf che include una analisi approfondita del tema, con relativi casi di studio. 

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