In Europa i produttori di sigarette pagano per la raccolta dei mozziconi abbandonati: quando in Italia?

I mozziconi di sigaretta si trovano ormai ovunque, in strada, sui marciapiedi e persino in spiaggia o in mare. Per cercare di contrastare l’inquinamento derivante dalla pratica, purtroppo largamente diffusa, di gettare in terra sigarette “usate” o simili (tabacco riscaldato), molti governi si sono mobilitati cercando in primis di sanzionare questi comportamenti illeciti ed irrispettosi con specifiche multe, successivamente si è passato alla responsabilizzazione delle aziende produttrici di sigarette e dei  rifiuti abbandonati derivanti da tale consumo, con l’approvazione di alcune norme in Paesi come la Spagna e la Francia. Le aziende produttrici di tabacco sono state quindi obbligate a fare una cosa molto simile in entrambi i paesi, contribuire con ingenti somme alla tutela  dell’ambiente da questo rifiuto così insidioso, che impiega normalmente una decina di anni per decomporsi, rilasciando in questo arco di tempo circa 7.000 sostanze chimiche, molte di queste cancerogene per l’uomo.

In questi Paesi si sta anche cercando di disincentivare l’uso del tabacco attraverso campagne volte a sensibilizzare l’utente, pubblicità anti-fumo e, in Spagna, con divieti in tutte le spiagge. A Barcellona è infatti bandito il fumo in tutte le spiagge cittadine.

In Italia la percentuale di fumatori è circa il 25% della popolazione, che consuma in media 12 sigarette al giorno. Secondo stime non ufficiali vengono fumate circa 68 miliardi di sigarette all’anno, non si sa quanti di questi mozziconi prodotti finiscono nell’ambiente ma nel corso dell’indagine “Park Litter 2022” di Legambiente è emerso che il 42,2% dei rifiuti totali abbandonati, raccolti in un campione rappresentato da 56 parchi pubblici di 28 città italiane, è rappresentato proprio da mozziconi.

Negli ultimi giorni ha fatto molto discutere la scelta del Governo di non aumentare le tasse (più specificatamente le accise) sui pacchetti di sigarette già pronti all’uso ma solo sul tabacco trinciato in pacchetti da 30g. Si deve inoltre considerare che la percentuale dell’accise specifica è la più bassa dell’unione europea (si veda https://www.tabaccoendgame.it/news/il-confronto-tra-prezzi-e-tasse-sulle-sigarette-nei-paesi-ue-mostra/) e che la Fondazione Veronesi già nel 2021 ha presentato una petizione al Parlamento per chiedere l’aumento delle accise su sigarette, tabacco sciolto e tabacco riscaldato. ed ha recentemente pubblicato un articolo riguardante l’importanza delle accise su tutti i tipi di prodotto derivante dal tabacco, del quale consigliamo la lettura al seguente link.

Nuove Eco-etichette dal 2023

Dal 1° gennaio 2023 è entrato in vigore l’obbligo di etichettare in maniera ecologica e sostenibile tutti gli imballaggi che verranno commercializzati. Da pochi giorni è infatti vietato l’uso delle “vecchie” etichette su prodotti ancora da immettere nei mercati. Tutti gli imballaggi che erano già presenti in commercio o con già un’etichetta ecologica entro l’inizio dell’anno nuovo, potranno continuare ad essere venduti fino all’esaurimento delle scorte. Dal 2020 una serie di proroghe avevano posposto questa scadenza al 1° gennaio 2023, obbligo che era già previsto nel cosiddetto “Codice Ambientale” all’articolo 219, comma 5, del Dlgs 152/2006. La precedente normativa è stata in seguito completata dal Dm Ambiente 360/2022, volta a chiarire gli obblighi ed evitare le pesanti sanzioni (da 5.000 a 25.000 euro) che potrebbero scaturire dall’inosservanza del Dm.

Le etichette e le loro applicazione sono diverse in base al settore di utilizzo ed i produttori devono indicare e specificare su qualsiasi tipo di imballaggio (primario, secondario o terziario) un codice alfa-numerico previsto dalla decisione 97/129/CE. Oltre al codice è necessario anche facilitare la raccolta, il riutilizzo o il facile riciclo degli imballaggi, anche aiutando i consumatori a capire meglio la destinazione finale. Queste informazioni possono essere comunicate anche attraverso l’uso di QR code, siti web o app e prevedono l’uso di un colore diverso per identificare le varie tipologie di etichette in base al materiale: alcuni esempi sono il marrone per l’organico, il blu per la carta, il giallo per la plastica, etc.

Sull’etichetta si dovranno riportare i materiali utilizzati per l’imballaggio oltre alle marcature specifiche, già previste dall’articolo 182-ter, comma 6, lettera b, Dlgs 152/2006, per gli imballaggi in plastica compostabile o biodegradabile, che se opportunamente etichettati, potranno essere riciclati come rifiuti organici.

Il Ministero ha inoltre chiarito che, fino ad ulteriori nuove specifiche, i precedenti obblighi non si applicano agli imballaggi dei medicinali destinati all’uso umano o veterinario.

Nuovo Codice degli Appalti crea malcontento e dubbi

Venerdì 16 dicembre 2022 è stata approvata in esame preliminare la riforma del Codice degli Appalti che entrerà quasi sicuramente in vigore dal 1° aprile 2023. In così poco tempo quest’attesissima riforma è riuscita a far parlare tantissimo di sé e non in modo troppo positivo, anzi.

Dall’esultanza del Premier Giorgia Meloni e del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, alle critiche ricevute da moltissimi professionisti ed associazioni, il passo è stato molto breve.

La Procura Nazionale Antimafia e l’ANAC hanno lanciato fin da subito l’allarme poiché, secondo il loro parere, questo taglio alla burocrazia ha come diretta conseguenza un minore vincolo ai subappalti e qualsiasi lavoro sotto i 500 mila euro potrà tranquillamente essere fatto anche da piccole stazioni appaltanti, anche appena nate, che non hanno capacità di garantire acquisti o requisiti tecnici adeguati. È da far presente che l’innalzamento di questa soglia di affidamento dai 150 mila euro precedenti ai 500 mila va a coprire circa l’80% dei cantieri italiani. Un altro grave problema viene riscontrato nel ridotto controllo sui conflitti di interesse che potrebbero portare enormi favoritismi.

Altri punti del nuovo Codice lasciano perplessi come la misura dell’appalto integrato, che permette di attribuire con una singola gara sia il progetto che i lavori.

I sindacati, ed in particolare Fillea Cgil che parla di “Nefandezza”, temono un rischio davvero enorme di infiltrazioni mafiose e di una minore sicurezza per i lavoratori causata proprio dal subappalto a cascata.

Negli ultimi giorni sono stati lanciati diversi appelli che hanno come fine un ripensamento sui contenuti del Codice degli Appalti, un esempio è quello dell’Ordine degli architetti pianificatori paesaggisti e conservatori della provincia di Monza e della Brianza.

In difesa del vuoto a rendere

La Coalizione della Campagna A Buon Rendere prende posizione a favore della proposta contenuta nel nuovo regolamento su Imballaggi e rifiuti da imballaggio.

Per rispondere alle critiche sollevate da più parti sulla decisione della Commissione europea di puntare sul riuso piuttosto che potenziare il riciclo di materie plastiche nella proposta di nuovo Regolamento su Imballaggi e rifiuti da imballaggio, la Coalizione della Campagna A Buon Rendere, che promuove l’introduzione in Italia di un sistema di deposito cauzionale, ha diffuso una nota che vuole sfatare miti ritenuti falsi e sottolineare i risultati ottenuti nei paesi dove sono stati già adottati sistemi DRS.

La previsione di un sistema cauzionale è contenuta nell’articolo 44 della proposta di Regolamento (leggi articolo), che ne fissa l’introduzione obbligatoria entro il 2029 per bottiglie in plastica e contenitori in metallo per liquidi alimentari fino a 3 litri, con esclusione di contenitori per latte e derivati, vino ed alcolici. Possono essere esentati dall’obbligo i paesi che dimostrino di poter conseguire il 90% di raccolta per questi contenitori in modo non episodico nei due anni che precedono l’avvio del DRS.

“In nessun altro paese europeo – nota Enzo Favoino – coordinatore scientifico della Campagna A Buon Rendere – si sono avute reazioni così accese, tanto che nella conferenza stampa di presentazione, il vice Presidente della Commissione Europea con delega al Green Deal, Frans Timmermans, ha ritenuto di rivolgersi direttamente all’Italia, e nella nostra lingua, per specificare quanto le critiche sollevate dagli ambienti governativi ed industriali italiani fossero infondate. Ma la più solida smentita delle argomentazioni nazionali viene dalle reazioni ufficiali venute da altri Paesi UE”

La Coalizione pone l’accento sui giudizi positivi all’introduzione di sistemi DRS provenienti da associazioni di settore europee come Unesda (soft drinks), NMWE (acque minerali) e AJIN (succhi di frutta), che hanno espresso invece riserve sui target di riuso; una posizione simile è stata presa anche da IK, Industrievereinigung Kunststoffverpackungen, l’associazione che riunisce i produttori tedeschi di imballaggi in materiale plastico. Altre organizzazioni di settore come FEAD (a cui aderisce Assoambiente) ed EuRic, che rappresenta i riciclatori europei, hanno espresso apprezzamento per l’impostazione complessiva della proposta di Regolamento e per gran parte delle sue previsioni. I difensori del vuoto a rendere citano anche Plastics Europe, quando afferma: “la messa a punto di linee guida per lo sviluppo dell’ecodesign funzionali al riciclo e di una regolamentazione basata sulla scienza, completamente neutrale rispetto ai materiali e alla tecnologia, è il modo migliore per consentire al mercato di creare i nuovi modelli di business richiesti e le tecnologie di riciclo, raccolta e selezione.”

Entrando nello specifico dell’articolo 44, che prevede l’introduzione obbligatoria del DRS entro il 2029 per bottiglie in plastica e contenitori in metallo per liquidi alimentari nei paesi che non hanno ancora istituito tale sistema, la Coalizione non condivide totalmente l’obiezione principale sollevata in ambito nazionale, ossia che il Regolamento sia “incentrato sul solo riuso” e che pertanto venga richiesto al nostro paese di “compiere un salto nel buio nel sostituire dall’oggi al domani un sistema consolidato da 25 anni con un altro sistema che non sappiamo quali benefici apporterà” come dichiarato in varie occasioni da rappresentanti del sistema industriale e dei consorzi.

Pur non condividendo la notazione negativa assegnata al concetto di “riuso” – precisa la Coalizione – che andrebbe inserito e sviluppato gradualmente nelle strategie di circolarità, la maggiore evidenza a smentita di questa obiezione è che la introduzione obbligatoria del DRS (al 2029, quindi tra 6 anni, non “dall’oggi al domani”) è prevista per contenitori in plastica e metalli, materiali con ogni evidenza vocati al riciclo, non al riuso. Questa considerazione, congiuntamente ad altre previsioni strettamente collegate al riciclo, quali la definizione di obiettivi minimi di contenuto di riciclato, e l’obbligo di “design per il riciclo”, dimostrerebbe che il Regolamento è soprattutto una roadmap per consolidare le filiere del riciclo, supportandone l’ulteriore crescita con strumenti operativi e sistemici.

“Il DRS, come dimostra l’evidenza maturata da tutti quei Paesi che avendolo introdotto hanno già conseguito il 90% di raccolta dei contenitori per bevande, è soprattutto un poderoso strumento di consolidamento del riciclo. Consente infatti di massimizzare le intercettazioni di materiali, di migliorarne la qualità, di riservare i volumi di materiali riciclati per le applicazioni più “nobili” (da bottiglia a bottiglia, da lattina a lattina). Presupposti essenziali per garantire la massima circolarità del settore”. si legge nel documento.

Secondo i dati diffusi da Eurostat – afferma la Coalizione – , il tasso di circolarità dei materiali nel 2021 è stato in Italia del 18,4% due punti in meno rispetto al 2020, il che ci ha fatto retrocedere al quarto posto in Europa dopo Paesi Bassi (34%), Belgio (21%) e Francia (20%). “Non considerare l’opzione di un DRS in Italia per testare altre strategie di incremento del riciclo che in altri Paesi non si sono rivelate efficaci sarebbe un errore strategico di grande rilevanza che lascerebbe l’Italia in coda alle classifiche UE per effettivo avvio a riciclo di qualità, costringendo con ogni probabilità a repentini cambi di direzione nel medio termine”.

Con queste argomentazioni, la Coalizione si rivolge al Ministro dell’Ambiente e ad Agenzie quali Ispra e Arera, chiedendo di iniziare “un processo di ascolto di tutti i portatori di interesse e della la società civile; quest’ultima, da un sondaggio effettuato dalla Coalizione, è largamente favorevole alla introduzione di un sistema cauzionale, sostenuta dall’83% degli intervistati in un sondaggio condotto secondo gli standard professionali”. “Anche la GDO nazionale – conclude la nota – che giocherebbe un ruolo importante nella raccolta dei contenitori di bevande ha dimostrato un’apertura verso il DRS con due eminenti insegne come Esselunga e Lidl, che nella recente indagine di Greenpeace, si sono dichiarate favorevoli al sistema“.

Fonte: Polimerica

Cambio di passo necessario sulle plastiche non da imballaggio secondo Eea

Dalla Commissione europea quest’anno si è vista una lotta sempre più mirata verso gli imballaggi in plastica, il che si dimostra un grande passo avanti, è però necessario portare all’attenzione un’altra enorme fetta di plastica della quale non si parla abbastanza, quella non per imballaggi.

È stato da poco messo in risalto dall’Agenzia europea per l’ambiente (Eea) che la maggior parte del consumo di plastica in Europa non dispone di dati e obiettivi politici diretti. Tutto ciò si ripercuote anche sull’uso che facciamo di questa plastica e sugli oggetti di uso comune che la contengono sotto forma di Pvc, Ps, Pp ed altre tipologie. Queste plastiche, dette comunemente “plastiche dure”, sono contenute nei giocattoli, nelle auto, in una moltitudine di prodotti elettronici, nell’edilizia ed in tantissimi altri ambiti.

Secondo le recenti stime dell’Eea, il 40% dei rifiuti di plastica annuali è costituito da plastica non da imballaggio, con un trend in aumento e ricadute molto gravi per l’ambiente.

L’Eea propone, per iniziare almeno a capire quanto sono grandi questi flussi e come poterli controllare, di cominciare a raccogliere il maggior numero possibile di informazioni sui livelli generali del consumo e della produzione di rifiuti in plastica, al momento risultanti non sufficienti. La richiesta è “sviluppare una metodologia più standardizzata per il monitoraggio dei flussi di plastica non da imballaggio nell’Unione europea”, in modo da avere un controllo efficace della quantità totale dei rifiuti di plastica e per poter presentare maggiori informazioni sul piano politico e decisionale.

In Italia è stato sviluppato il Progetto PLASMARE (PLAStiche per nuovi MAteriali mediante un Riciclo Ecosostenibile), grazie alla collaborazione di ESPER Società Benefit Srl con il CNR-ISMN, il CNR-IIA ed il cofinanziamento del Ministero dell’Ambiente. Tale progetto si occupa di dimostrare la fattibilità di una filiera per riciclare le plastiche dure non da imballaggio, sviluppare tecnologie innovative ed ecosostenibili per la separazione delle plastiche dure, incentivare il riutilizzo delle materie prime seconde ottenute in nuovi cicli produttivi, promuovendo l’ecodesign dei prodotti ed applicare le metodologie su scala industriale per un riciclo ottimale del rifiuto e la realizzazione di nuovi prodotti.

Fonte: liberta.it

Plastica, Italia bene a metà. Ora tra bioplastica e riciclo il Paese è a un bivio

Per poco non arriviamo a quota 100. Non stiamo parlando di pensioni, ma di plastica. In Italia nel 2020 ne abbiamo consumati circa novantanove chilogrammi a persona. In totale sono quasi sei milioni di tonnellate, impiegate soprattutto per gli imballaggi (42 per cento del totale) e, con quote inferiori, per edilizia e settore automobilistico. «Il nostro Paese – spiega Giulia Novati del think tank Ecco – è il secondo consumatore a livello europeo». E non è un piazzamento positivo, considerato che questo materiale genera una grande quantità di gas serra, che aggravano la crisi climatica.

Ciò avviene perché, da un lato, le materie prime più usate per ottenere la plastica sono petrolio e gas e, dall’altro, perché per realizzarla viene spesso usata energia da combustibili fossili. «Il processo produttivo, il consumo e il fine vita della plastica contribuiscono al cambiamento climatico, ma anche all’inquinamento di tanti ecosistemi marini e terrestri», aggiunge Novati. Per questo, Ecco ha presentato delle proposte per ridurre i consumi, far crescere l’impiego di bioplastiche e aumentare i tassi di riciclo e riutilizzo. E la buona notizia è che i margini per abbattere le emissioni sono molto ampi, fino a un potenziale meno 98 per cento raggiungibile nel 2050. Per riuscirci, però, le scelte politiche da fare sono diverse.

Il think tank propone il divieto di vendita di frutta e verdura in confezioni di plastica, l’obbligo per le amministrazioni locali di promuovere l’installazione di fonti di acqua potabile negli spazi pubblici, il divieto di utilizzo di stoviglie monouso per il consumo sul posto in bar e ristoranti. E poi chiede l’attuazione di due provvedimenti già approvati. Il primo è la cosiddetta plastic tax, che tassa i prodotti monouso in plastica. Votata nel 2020, non è mai entrata in vigore perché sempre rimandata. Dovrebbe farlo anche il nuovo Governo, stando alle dichiarazioni di alcuni suoi rappresentanti. La logica sarebbe quella di non penalizzare i consumatori finali, ma intanto l’Italia, dal 2021, deve comunque pagare circa 800 milioni di euro l’anno all’Ue per la plastic tax europea.

Il secondo provvedimento importante, secondo Ecco, è l’attuazione del sistema di deposito su cauzione (Deposit return system – Drs) indicato nel decreto Semplificazioni bis del luglio 2021. Nonostante fosse previsto per novembre dello stesso anno, manca ancora il decreto attuativo per creare il nuovo sistema, che riguarda i contenitori per bevande in plastica, vetro e metallo. «Il decreto fa riferimento solo al riutilizzo, ma a nostro avviso il sistema dovrebbe riguardare anche il riciclo», riprende Novati.

Pagare una piccola somma come cauzione a chi riporta i vuoti è una prassi consolidata in molti paesi Ue. E ha diversi benefici. «La plastica non è un solo materiale. Ci sono tantissime tipologie differenti di polimeri», spiega Mario Grosso, docente di Gestione e trattamento dei rifiuti solidi al Politecnico di Milano. «Non è detto che il Drs porti a un minore uso delle plastiche in generale, ma a una minore produzione di plastica vergine da petrolio, quello si». Non solo.

«Aver tenuto le plastiche separate consente un riciclo di maggiore qualità. Una bottiglia, solo per fare un esempio, può essere riciclata in una nuova bottiglia, in un processo definito a ciclo chiuso, che è sempre preferibile», osserva Gaia Brussa, ricercatrice che lavora con Grosso. «Inoltre – aggiunge – la leva economica migliora il tasso di raccolta, che nei Paesi europei con sistemi Drs si attesta sopra l’ottanta per cento». In Italia, secondo Unesda, il tasso di raccolta dei contenitori Pet è del 46 per cento. Secondo diverse organizzazioni, come quelle riunite nella campagna A buon rendere, questo è uno dei dati per cui sarebbe importante implementare il prima possibile il nuovo sistema di deposito. Per altre realtà, invece, sarebbe meglio ragionare su come migliorare il sistema attuale.

Fonte: Corriere della Sera

Nuove candidature per le città “rifiuti zero”: Monaco di Baviera e Barcellona

In questi ultimi giorni è giunta ufficialmente la candidatura di Monaco di Baviera e Barcelona a “Zero Waste Cities”, standard europeo molto rigido che caratterizza quelle realtà che hanno firmato un vero e proprio impegno a diminuire in maniera drastica la produzione di rifiuti. Candidature molto importanti perché servirebbero a dimostrare che anche dei centri enormi, entrambi con circa 1,6 milioni di abitanti, possono diventare dei baluardi di prevenzione, riciclaggio ed anche riuso.

A Monaco di Baviera, terza città più popolosa della Germania, sono state stilate circa 100 misure per prevenire l’uso di nuove risorse e ridurre il quantitativo di rifiuti che, per i rifiuti domestici pro capite all’anno, sarà ridotto del 15% entro il 2035 e per i rifiuti residui la quantità sarà ridotta del 35%. Il sindaco di Monaco ha dichiarato di essere entusiasta del percorso che la sua città sta facendo ormai dal 2019 e che con la firma della candidatura si punta ad avere un ruolo pionieristico in Europa.

Barcellona sta coinvolgendo la comunità locale oltre che molte parti interessate dall’argomento per velocizzare e facilitare la “zero waste strategy”, con l’obiettivo di raggiungere un tasso di raccolta differenziata almeno del 67% entro il 2027 ed un massimo di rifiuti pro capite prodotti pari a 427 kg. Barcellona lavora ormai da anni sul tema della prevenzione dei rifiuti grazie alla guida dell’organizzazione Rezero e con una serie manovre quali lo Zero Waste Plan 2021-2027, il Zero Plastic Commitment e il Carbon Calculator. La sindaca inoltre ha dichiarato che le grandi città dovrebbero sentirsi in debito con il territorio del quale fanno parte per l’eccessiva produzione di rifiuti e Barcellona punta a diventare una città neutrale, più responsabile ed anche ispiratrice.

Riguardo a quest’ultima candidatura il direttore esecutivo di Zero Waste Europe, Joan Marc Simon, si è dimostrato molto orgoglioso della sua città natale per l’impegno preso verso la certificazione zero waste e ricorda di quando, nel 2010, il concetto di rifiuti zero a Barcellona non si pensava realizzabile.

Nuovo codice degli appalti in arrivo

Proprio in questi ultimi giorni è scaduto il termine per l’invio di contributi relativi alla consultazione indetta dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti con associazioni e ordini di settore, oltre a vari esperti, riguardo al nuovo codice dei contratti pubblici e, secondo quanto dichiarato dal Ministro e Vicepremier Matteo Salvini, sarà una manovra volta a rendere questi ultimi il più veloci, semplici e snelli possibili.

Alcune novità che si possono già riscontrare nella bozza in pdf scaricabile dal sito del ministero o disponibile per il download alla fine dell’articolo, sono l’innalzamento della soglia per gli affidamenti diretti dei lavori a 150 mila euro, da 150 mila euro al milione si dovrà procedere ad una negoziazione con 5 operatori economici, da un milione a soglie comunitarie la negoziazione sarà tra 10 operatori economici ed infine, sopra le soglie comunitarie, ci saranno i bandi aperti. La struttura è simile per gli affidamenti dei servizi e delle forniture, con affidamento diretto fino a 140 mila euro, negoziazione con 5 operatori economici per gli importi superiori ai 140 mila euro ma comunque sotto a determinate soglie comunitarie, sopra alle soglie i bandi dovranno essere aperti. I criteri di aggiudicazione rimangono gli stessi, con il criterio dell’offerta più vantaggiosa o il criterio del prezzo più basso.

Nei 230 articoli contenuti in 5 libri si legge anche del cambio di nome del RUP da “Responsabile Unico del Procedimento” a “Responsabile Unico del Progetto” e della previsione di solo 2 livelli di progettazione: progetto di fattibilità tecnica ed economica e progetto esecutivo, manca quindi il progetto definitivo.

Secondo la visione del ministro tutto ciò servirà a combattere il malaffare nei vari settori e a rendere più partecipi i vari sindacati, associazioni etc. Al momento sono giunte circa una trentina di significative proposte relative alla suddetta consultazione del MIT e nei prossimi giorni sarà suo incarico portare all’approvazione il nuovo codice degli appalti al Consiglio dei ministri. L’augurio è quello di vedere anche in Italia una burocrazia veloce e di facile comprensione per professionisti ed imprese ma, che al contempo, possa garantire l’assenza di conflitti di interesse ed il massimo contrasto alla corruzione ed al malaffare.

È possibile effettuare il download della bozza del nuovo codice degli appalti in pdf cliccando qui.

Studio inglese solleva dubbi sulla plastica biodegradabile

L’University College di Londra ha recentemente pubblicato uno studio nel quale i cittadini britannici hanno avuto un ruolo chiave. Da questa ricerca sarebbero emerse una serie di falle nel sistema che dovrebbe permettere alle persone di poter fare il compost in casa utilizzando anche la plastica certificata come compostabile. Secondo lo studio il 60% di questi materiali finirebbe per non decomporsi e inquinerebbe persin di più la terra nella quale viene utilizzato. Si deve però specificare che lo studio è stato fatto solo sul compost domestico e non su quello industriale ed inoltre, sono stati inclusi anche materiali non conformi alla certificazione EN13432 ma generalmente “biodegradabili”.

Lo studio evidenzia inoltre che molte delle etichette che vengono usate su queste plastiche biodegradabili e compostabili potrebbero confondere gli acquirenti di questi prodotti, inducendoli all’errore nel conferimento di questi rifiuti e creando una sorta di greenwashing, con finalità di ottenere maggiori acquisti da parte delle persone più sensibili ai temi ambientali.

Negli ultimi anni è cresciuto moltissimo l’impiego di prodotti in plastiche compostabili, quali sacchetti, imballaggi e stoviglie monouso. L’incompatibilità, con alcuni processi di riciclo, di alcune tipologie di plastiche biodegradabili rimane però un problema enorme che spesso lo porta a finire il proprio ciclo di vita nel rifiuto indifferenziato e a interrompere il riciclo che con altri tipi di plastiche invece avverrebbe.

Con l’ultima affermazione non vogliamo sostenere l’uso della plastica ma invitare al pensiero critico sugli oggetti monouso che, a fronte di un singolo utilizzo, finiscono per essere subito gettati.

L’uso del deposito cauzionale potrebbe essere un’ottima alternativa per alcune destinazioni d’uso ma ne parleremo prossimamente.

“Blocco della raccolta differenziata della carta scongiurato grazie all’export di macero”

Unirima, che raccoglie le imprese del macero, sottolinea le difficoltà del settore della raccolta e riciclo, frutto della crisi del gas che ha messo in difficoltà le cartiere. In primis, il crollo del prezzo della materia prima seconda.

“In questa situazione di grande difficoltà, siamo riusciti ad adattarci e grazie alle esportazioni siamo riusciti a risolvere quello che poteva diventare un problema per tutto il Paese, cioè il blocco delle raccolte differenziate della carta”. Ieri mattina a Palazzo Rospigliosi, nel centro di Roma, durante l’evento di presentazione del Rapporto Unirima 2022, Giuliano Tarallo, presidente dell’Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri, ha evocato quello che avrebbe potuto essere – ma il rischio non è scongiurato – uno degli effetti più vistosi, per noi che viviamo lontano dal fronte, della guerra in Ucraina e della conseguente crisi del gas.

L’allarme della filiera della carta
L’allarme, a dire la verità, era arrivato qualche settimana fa anche dalle imprese cartarie: energivore per definizione, sono state tra le prime vittime di questa crisi. Il 17 ottobre Assocarta e Assografici – in rappresentanza della filiera carta, stampa e trasformazione – insieme a SLC-CGIL, FISTeL-CISL e UGL Chimici hanno inviato una lettera congiunta agli allora ministri Cingolani, Giorgetti e Orlando: “Sono diverse le aziende cartiere che stanno già utilizzando la cassa integrazione per l’aumento eccezionale dei costi energetici, con il concreto rischio di arrivare a chiusure di siti produttivi, con il coinvolgimento a catena anche dell’intera filiera della successiva stampa e trasformazione”. Le associazioni lamentavano non solo danni economici, ma anche ambientali: “Da un lato l’arrivo sul mercato italiano di prodotti cartari da Paese extra-UE dove l’energia a basso prezzo si combina con normative ambientali non allineate ai mercati UE. Dall’altro rallentare o interrompere l’attività produttiva vuol dire bloccare l’economia circolare ovvero l’attività di recupero e riciclo sul territorio che dovrà gestire lo stoccaggio della carta da riciclare”. Secondo Lorenzo Poli, Presidente di Assocarta, “sono necessarie misure a livello europeo per ridurre i costi energetici ed evitare che un singolo Paese, come ad esempio la Germania, adotti interventi a livello nazionale o introduca un cap a livello di singolo Stato, che modificano la competitività in Europa e minano la stessa Europa sotto il profilo economico e politico”.

Crolla il prezzo del macero
“Il primo impatto sul settore – racconta a EconomiaCircolare.com Francesco Sicilia, direttore generale di Unirima – è stato, ad agosto, il collo dei prezzi delle quotazioni della carta da macero”. Leggiamo nel report che tra ottobre 2020 e aprile 2021 le quotazioni per il macero “sia della qualità 1.02.00 che quelle 1.04.02 (due tipologie di macero, n.d.r.) hanno subito un forte aumento. A partire da aprile 2021, i prezzi medi si sono poi stabilizzati intorno ad un valore medio di 108 €/ton per la qualità 1.02.00 e di 118,5 €/ton per la 1.04.02, scendendo raramente al di sotto dei 100 €/ton. Ad agosto 2022 si è avuto un brusco cambiamento di tendenza con le quotazioni che sono crollate toccando a settembre 40 €/ton per entrambe le qualità, con una riduzione del 69% rispetto al prezzo medio di luglio”.

Tra i fattori alla base di questo risultato “il fermo o forte rallentamento delle attività delle cartiere, connesso all’incremento dei prezzi dell’energia, che ha creato un contraccolpo sul nostro settore”, ricorda Sicilia. A parità di offerta, infatti, se la domanda si riduce il prezzo scende. Questo forte calo, prosegue il direttore generale di Unirima, “fortunatamente è stato in parte bilanciato dall’export: Nell’ultimo mese abbiamo incrementato le esportazioni proprio per far fronte a questo rallentamento a valle. Ed evitare contraccolpi sulla raccolta differenziata dei Comuni e delle attività economiche”. Nonostante il balzo dell’export, negli impianti c’è stato una sorta di effetto imbuto, coi piazzali zeppi di macero cui trovare una destinazione: “Per questo, ad inizio settembre abbiamo scritto alle Regioni, gli organi competenti in termini di autorizzazioni ambientali, chiedendo di aumentare gli stoccaggi a disposizione degli impianti. Non abbiamo ricevuto risposte. Ma, almeno finora, l’aumento dell’export e la nostra capacità impiantistica (600 impianti) che è ben superiore alla raccolta differenziata ed è molto diffusa e capillare, hanno permesso di reggere il colpo”.

Il crollo del prezzo del macero, aggiunge Sicilia, ha conseguenze anche sui prodotti finali: “Quando crolla prezzo carta da macero non è un vantaggio per l’economia”. Quando si abbassa il prezzo del macero, infatti, si riduce la remuneratività della materia prima seconda venduta per compensare i costi della raccolta, e quindi “ci potrebbe essere un aumento del contributo ambientale (CAC). Quando il prezzo del macero è basso, sale il CAC pagato dalle imprese che producono imballaggi. Un costo che ovviamente viene riversato a valle, sul consumatore”.

I numeri della filiera
“Il settore della carta da macero italiano è storicamente un punto di eccellenza dell’economia circolare”, si legge nel report Unirima. La produzione italiana della carta da macero è salita da 6,81 milioni del 2020 a poco meno di 7 milioni di tonnellate (6,998 milioni, per l’esattezza) del 2021(+3%). A fronte di una produzione di nuova carta pari a circa 9,62 milioni di tonnellate, il tasso di riciclo complessivo (non solo imballaggi) nel 2021 è pertanto pari al 72,8%. Quanto agli imballaggi, “l’obiettivo comunitario di riciclo al 2025 (75%) è già stato pienamente raggiunto nel 2009 e, a partire dal 2020, è stato superato anche il target al 2030 (85%). Il 2021 ha consolidato il trend, con un tasso di riciclo che si è attestato sull’85,08% e anche per il 2022 si stima il consolidamento del superamento dell’obiettivo dell’85% di riciclo degli imballaggi cellulosici”.

Il valore medio delle esportazioni dal 2007 al 2021 è pari a circa il 27% del totale della produzione di carta da macero. “L’Italia è da quasi vent’anni esportatrice netta di maceri, con un valore che è stato di 1,28 milioni di tonnellate nel 2021, a fronte di importazioni per 0,33 milioni di tonnellate”. Con il graduale sviluppo delle raccolte differenziate di carta e cartone, leggiamo ancora nel report “la capacità degli operatori del riciclo e del commercio ha garantito con le esportazioni uno sbocco al surplus di carta da macero rispetto al fabbisogno del Paese e, al contempo, di superare con largo anticipo gli obiettivi europei”.

Fonte: EconomiaCircolare.com