Raccolta dell’organico obbligatoria. Ecco cosa cambia per i Comuni

Dal primo gennaio 2022 è scattato l’obbligo della raccolta differenziata dell’organico per tutti i Comuni d’Italia. Ma a che punto siamo sul territorio nazionale? Tra l’aumento di prodotti compostabili, uno sguardo a norme e buone pratiche che potrebbero fare la differenza

In Italia la raccolta differenziata dell’organico è a buon punto. L’organico rappresenta il 43% del quantitativo di rifiuti urbani avviato a riciclo nel 2020, e contribuisce notevolmente al raggiungimento del 65 per cento del totale di raccolta differenziata nel nostro Paese.

Tuttavia, in alcuni Comuni italiani non vi era ancora la possibilità per i cittadini di gettare in maniera differenziata resti di cibo e tutto ciò è compostabile, con un conseguente peggioramento della qualità dell’indifferenziato in cui viene conferito così il materiale organico putrescibile: avere invece un indifferenziato “libero” dall’organico permette ai Comuni di ridurne la frequenza di raccolta, con una riduzione dei costi complessivi. Senza contare il materiale e l’energia ricavati dal trattamento di rifiuti organici, rispettivamente compost e biometano, che possono assolvere a diverse funzioni.

Finalmente, lo scorso primo gennaio la raccolta differenziata dell’organico è diventata obbligatoria in tutti i comuni d’Italia. Lo prevede l’articolo 182 ter del decreto legislativo 152/2006 che recepisce in Italia la direttiva europea 851/2018 in materia di rifiuti. L’entrata in vigore dell’obbligo anticipa di due anni un analogo impegno che sarà introdotto nel resto della Unione Europea solo a inizio 2024.

A più di un mese dall’introduzione dell’obbligo, ci siamo chiesti se ci stiamo muovendo nella giusta direzione e quale potrebbero essere le difficoltà legate all’estensione della raccolta.

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Una raccolta virtuosa

La raccolta differenziata dell’organico, che in Italia nel 2020 è arrivata ad interessare oltre il 90% della popolazione, ha visto un progressivo miglioramento negli ultimi anni.

Secondo i dati dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) sui rifiuti urbani, nel 2016 erano 6.516.938 le tonnellate della frazione organica, comprese le quote avviate a compostaggio domestico. Nel 2020, anno di inizio della pandemia, si è arrivati invece a 7.174.948 tonnellate, registrando però un leggero calo rispetto alle 7.300.000 tonnellate del 2019.

“Diminuzione che – fanno sapere dall’ufficio tecnico del Consorzio Italiano dei Compostatori (CIC) – è stata molto minore di quanto atteso, e che comunque non ha fatto recedere i comuni già attivi nella raccolta differenziata”.

Resta un divario tra Nord, Centro e Sud, che auspichiamo le nuove norme aiuteranno a colmare. Sempre secondo gli ultimi dati dell’Ispra, nel corso del 2020, a Nord erano 130 i chili della frazione organica prodotti per abitante (rappresentato da umido e scarti da manutenzione del verde, escluso il compostaggio domestico), al Centro 112 kg, mentre al Sud 111 chilogrammi.

Con l’introduzione dell’obbligo qualcosa sta cambiando, anche se, come prevedibile, non in maniera così netta.

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Cosa è cambiato dal primo gennaio?

“Non ci aspettavamo cambiamenti repentini : – spiegano dall’ufficio tecnico del CIC – l’attivazione della raccolta differenziata in un comune è un processo che richiede una pianificazione preventiva, con tempistiche programmate di implementazione; a cascata, le aziende deputate al riciclo dei rifiuti organici mediante compostaggio o con sistemi integrati con la digestione anaerobica adeguano la propria capacità di trattamento, o pianificano la costruzione di nuovi impianti. Anche a livello impiantistico ci aspettiamo quindi effetti più graduali e dilazionati nel tempo”.

È lecito chiedersi però a quali difficoltà vadano incontro quei Comuni che avviano per la prima volta una raccolta dell’umido. Su questo i tecnici del CIC non ha dubbi.

“In Italia – affermano – abbiamo un tale know-how sulla raccolta differenziata dei rifiuti organici, e in particolare della frazione umida (di cui siamo esportatori di conoscenza in tutta Europa, e non solo) che i Comuni ancora non attivi non dovrebbero avere nulla da temere sul piano organizzativo. Naturalmente, la filiera dei rifiuti organici può dirsi completa solo se alla raccolta fa seguito un’adeguata ed efficiente capacità di riciclo, ma oggi abbiamo ormai pressoché raggiunto tale capacità a livello nazionale”.

“Quello che ancora manca – sottolineano – è il potenziamento dell’impiantistica in alcune regioni del Centro-Sud; alcune, come la Sicilia, stanno per fortuna dando concreti e positivi segnali in questa direzione”.

In effetti, secondo i dati Ispra177 impianti di compostaggio dei 293 operativi a livello nazionale, 30 dei 43 di trattamento integrato e 20 dei 23 di digestione anaerobica sono localizzati al Nord. La scarsità di impianti rilevata in alcune aree del Centro-Sud del Paese comporta la movimentazione di rilevanti quantità di rifiuti da queste aree verso gli impianti del Nord. Dunque, il pro capite nazionale di trattamento biologico dei rifiuti organici provenienti dalla raccolta differenziata nel 2020 varia molto in base all’area geografica -162 chili per abitante al Nord, 66 al Centro e 68 al Sud – e non è confrontabile con la quantità di raccolta, non corrispondendo necessariamente all’area di riferimento.

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La busta giusta

Per tutti quei cittadini che dovranno approcciarsi per la prima volta alla raccolta differenziata dell’organico, è importante tenere bene a mente che i rifiuti devono essere conferiti obbligatoriamente in buste compostabili, ma il rischio di fare confusione permane e una delle problematiche spesso riscontrate presso gli impianti di riciclo riguarda proprio la presenza di scarti costituiti da materiali plastici.

Non è raro imbattersi ancora in sacchetti non a norma, in particolare presso gli esercizi commerciali, al dettaglio e ambulanti: nel 2019 rappresentavano circa il 30% del totale dell’immesso al consumo. Ma secondo il rapporto L’Italia del Riciclo 2021 della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, ci sarebbe ormai la quasi totale scomparsa dagli impianti di compostaggio dei sacchetti orto-frutta in plastica convenzionale sostituiti, dopo l’introduzione nel 2018 dell’obbligo normativo, da borse in plastica biodegradabile e compostabile.

In questo, la crescita della raccolta differenziata della frazione umida rappresenta un ulteriore stimolo all’utilizzo di borse compostabili, idonee per l’appunto anche al riciclo dei rifiuti organici. D’altra parte, l’eliminazione degli imballaggi in plastica non compostabili contribuirà al miglioramento della conduzione dei processi biologici e ad arginare il rischio che venga intaccata la qualità del compost. Ma perché è importante che la busta sia compostabile?

“Se il sacchetto è realizzato in materiale certificato compostabile ai sensi della norma UNI EN 13432, come impone la legge, – prosegue l’ufficio tencnico del CIC – negli impianti di compostaggio subisce la stessa sorte dei rifiuti organici, venendo interamente degradato nel corso del processo. Laddove, in presenza di particolari tipi di tecnologie adottate, il sacchetto compostabile fosse scartato prima dell’inizio del processo biologico di produzione del compost (è il caso ad esempio di molti impianti che precedono il compostaggio con una fase di digestione anaerobica), si può comunque approfittare del fatto che il sacchetto è compostabile per rimuoverlo biologicamente attraverso un processo (chiamato biostabilizzazione o bioessiccazione), diminuendo il quantitativo di scarti che alla fine viene mandato a smaltimento”.

Data la variabilità delle tipologie di biopolimeri, per i cittadini sarà bene affidarsi dunque ad una corretta etichettatura che certifichi la busta sia a norma.

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Compostabile e biodegradabile

Come è noto, insieme ai residui di cibo sono raccolti nell’organico anche gli imballaggi in plastica compostabile: oltre ai sacchetti in bioplastica, anche gli imballaggi di frutta e verdura, piatti, bicchieri e stoviglie monouso.

Nell’indagine effettuata dal CIC tra il 2019 e il 2020 gli impianti di trattamento della frazione organica hanno gestito circa 83.000 tonnellate all’anno di bioplastiche, imballaggi e non, rispetto alle circa 27.000 tonnellate all’anno dell’indagine del 2016 e 2017. Si trattava quasi esclusivamente di sacchi per raccolta organico e per oltre il 70% da shopper e buste orto-frutta, e in quantità minore di imballaggi rigidi per cibo e capsule di caffè.

“Secondo la normativa nazionale sui rifiuti – ricordano ancora dal CIC – un manufatto compostabile per poter essere aggregato alla raccolta dei rifiuti organici, oltre che essere certificato secondo lo standard EN 14432, deve avere anche ‘analoghe proprietà di biodegradabilità e compostabilità rispetto ai rifiuti organici’ e solo in presenza di questi requisiti l’impianto di compostaggio è nelle condizioni di trattarlo”.

“È però un dato di fatto – precisano – che le tecnologie presenti oggi negli impianti di compostaggio sono molteplici e diverse fra loro, per cui gli impianti potrebbero avere diverse performance nei confronti di singole tipologie di manufatti compostabili e non si può escludere che alcuni di essi, qualora la loro presenza dovesse aumentare considerevolmente rispetto ai valori attuali, dovranno prevedere alcuni aggiustamenti dei percorsi di recupero oggi in essere”.

L’evoluzione del mercato dei prodotti monouso biodegradabili e compostabili potrebbe, inoltre, confondere i cittadini, ma l’unica soluzione sembra essere una periodica formazione ed informazione.

“Al momento – conclude l’ufficio tecnico del CIC – i quantitativi di manufatti compostabili diversi dai sacchetti, a cui i cittadini sono ormai abituati, è piuttosto esiguo. Va da sé, e ne abbiamo già prefigurato i rischi, che una crescita indiscriminata e confusa di manufatti biodegradabili e compostabili a fianco dei loro omologhi realizzati in plastica convenzionale accresce in modo rilevante i rischi di confusione, e quindi di contaminazione reciproca tra le filiere dell’organico e della plastica”.

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Cosa ne facciamo del compost?

Il compost, più correttamente definito ammendante compostato, è un prodotto che contribuisce ad accrescere la fertilità dei suoli, grazie all’elevata concentrazione di sostanza organica che lo caratterizza. In base alla tipologia di ammendante, viene destinato a diversi usi.

Se, ad esempio, deriva da soli scarti vegetali il compost viene prevalentemente venduto ad aziende che confezionano terricci per florovivaismo a livello hobbystico o professionale. Invece, l’ammendante derivato per esempio dagli scarti alimentari, cioè l’umido, viene in gran parte impiegato direttamente in agricoltura di pieno campo e in orticoltura.

Oggi in Italia si producono circa 2,2 milioni di tonnellate all’anno di compost, il cui sbocco principale, circa l’80%, è l’agricoltura di pieno campo; il restante 20% viene commercializzato per utilizzi nei settori del giardinaggio e del florovivaismo.

Fonte: Economia Circolare.com

Covid, dopo due anni continua il paradossale tabù sui rifiuti

Continua la brutta pagina, tutta e solo italiana, che vede una indicazione ufficiale di NON fare la raccolta differenziata nelle case dei positivi al Covid, mandando a incenerimento tutto quanto. Cautelativamente ipotizziamo che circa 300 mila tonnellate di rifiuti avrebbero potuto essere differenziate e sono finite invece negli inceneritori. A parte le valutazioni ambientali, in termini economici significa un maggiore costo e minore introito di circa 75 milioni l’anno

C’è persino chi dice che è il momento buono per prendersi il Covid e immunizzarsi, in ogni caso si sta uscendo dalla emergenza ma per i rifiuti non sta cambiando nulla. Continua la brutta pagina, tutta e solo italiana, che vede una indicazione ufficiale di NON fare la raccolta differenziata nelle case dei positivi al Covid, mandando a incenerimento tutto quanto, umido carta plastica vetro, non solo le mascherine. Se fate una ricerca in rete sul tema rifiuti e Covid, in particolare la raccolta differenziata, troverete soltanto le indicazioni a NON farla o viceversa gli articoli di Eco dalle Città (o da noi ispirati) che contestano questo irrazionale spreco e passo indietro. In mezzo il silenzio. (Rotto soltanto da una interrogazione parlamentare di Rossella Muroni, che non è stata ripresa da altri organi di informazione).

E’ una brutta pagina per la storia gloriosa della raccolta differenziata e del riciclo, che vede/vedrebbe l’Italia all’avanguardia in Europa. Dal punto di vista della vita reale del ciclo dei rifiuti, la battuta d’arresto non è evidente. C’è stato ovviamente nel 2020 un calo della produzione totale dei rifiuti, ma non si vede un calo percentuale della raccolta differenziata. Il che significa che la disposizione proveniente dall’Istituto Superiore di Sanità, di non fare la raccolta differenziata, è stata largamente disattesa. E infatti è poco conosciuta e mai è stata tematizzata e dibattuta a livello mediatico.

Già questo è un aspetto brutto della pagina. Il mondo della raccolta differenziata e del riciclo si è accontentato di andare avanti per forza d’inerzia. Una ipocrisia generale. Si è messa la regola (ammesso che sia una regola) quasi in silenzio, chi ci credeva non si è occupato di farla rispettare, chi non ci credeva non ha avuto il coraggio di contestarla. A perderci (o viceversa a guadagnarci) sono stati i casi in cui si è dato incarico a ditte specializzate di raccogliere come rifiuti ospedalieri i rifiuti domestici dalle case dei contagiati.

In realtà si potrebbe dimostrare che la disposizione ha comunque danneggiato la raccolta differenziata perché nel 2019, come nell’anno precedente, era cresciuta a balzi del 3 per cento, mentre la crescita nel 2020 si è limitata all’ 1,7-1,8%. Cautelativamente ipotizziamo che circa 300 mila tonnellate di rifiuti avrebbero potuto essere differenziate e sono finite invece negli inceneritori. A parte le valutazioni sui costi ambientali, e le emissioni o i fumi, in termini economici significa un maggiore costo e minore introito di circa 75 milioni l’anno. Ignorati da tutti. Dopo settimane che cerchiamo con le nostre deboli forze di sollevare il problema, arriva la decisione coraggiosa o semplicemente saggia presa a Mantova: si riprende la raccolta differenziata, chiedendo solo agli utenti di usare ove necessario il doppio sacco.  La decisione di Mantova, dovuta anche alla lungimiranza di Lorenzo Bagnacani di MantovaAmbiente, è stata condivisa dalle Asl. Nessuno ha fatto obiezioni. Segno che si potrebbe fare così ovunque se solo si volesse.

Fonte: Paolo Hutter per Eco dalle Città

Anci-CONAI, aumentati i corrispettivi per la raccolta

La decisione del comitato di verifica congiunto dice che il coefficiente di revisione dei corrispettivi è il 2,27%

Il Comitato di Verifica ANCI-CONAI ha formalizzato la revisione annuale dei corrispettivi riconosciuti per la raccolta e il conferimento ai Consorzi di filiera dei rifiuti di imballaggio. In particolare, i corrispettivi hanno avuto un incremento che tiene conto dell’indice NIC 2020/2019, che è risultato pari all’1,9%, oltre che degli indici NIC dei due anni precedenti, non applicati in quanto inferiori all’1%. Il coefficiente di revisione dei corrispettivi è quindi risultato essere del 2,27%.
I nuovi corrispettivi ANCI-CONAI 2022 sono scaricabili al seguente link https://www.conai.org/wp-content/upl…

Scarti e rifiuti tessili, con il nuovo anno obbligatoria in tutta Italia la raccolta differenziata

L’obbligo di raccogliere separatamente i rifiuti tessili, in Italia, scatterà a partire dal 1 gennaio 2022, come previsto dal decreto legislativo n.116/2020, mentre a livello europeo, la raccolta differenziata di questa tipologia di rifiuto diventerà obbligatoria entro il 2025. L’obiettivo è quello di diminuire l’impatto ambientale del tessile ed incentivare il riutilizzo e il riciclo. Secondo le stime di Ispra il 5,7% dei rifiuti indifferenziati è composto da rifiuti tessili, si tratta di circa 663mila tonnellate/anno destinate a smaltimento in discarica o nell’ inceneritore e che potrebbero essere, in grande parte, riutilizzate o riciclate.

Sempre secondo Ispra, la media nazionale pro capite di raccolta di rifiuti tessili è di 2,6 chili per abitante; al nord si raggiunge la quota di 2,88, al centro di 2,95 kg, quantità che si abbassa a due chilogrammi al sud. Veneto, Emilia-Romagna, Toscana e Marche hanno già superato la soglia dei 3 chilogrammi per abitante, mentre Valle d’Aosta e Basilicata sono vicine alla soglia dei 4 Kg, quota superata dal virtuoso Trentino Alto-Adige. Al contrario, Umbria e Sicilia raccolgono in modo differenziato meno di 1 Kg di tessile per abitante.

Al momento la raccolta differenziata del tessile è strutturata solo parzialmente sul territorio nazionale e colmare, in breve tempo, le differenze tra regioni non sarà facile. Con l’obbligatorietà, i Comuni e i gestori, che non hanno ancora attivato questo servizio di raccolta, dovranno realizzarlo quanto prima e regolamentarlo al meglio, comprendendo sia gli indumenti che altri materiali tessili, come ad esempio la tappezzeria, le lenzuola, gli asciugamani ed altri prodotti tessili che, per lo più, si trovano nelle nostre abitazioni.

Questo comporterà un aumento della presenza di frazioni non facilmente valorizzabili, con un possibile aumento dei costi di cernita e smaltimento che preoccupa non poco gli operatori del settore. In sostanza, con l’introduzione dell’obbligo di raccolta differenziata del tessile, si teme l’immissione sul mercato di maggiori quantitativi di rifiuti tessili che possono determinare degli squilibri sullo stesso ed un contestuale abbassamento della qualità degli stessi.

Qualcuno ha già invocato una proroga, quantomeno parziale, dell’ obbligo, prevedendo una limitazione, nella fase iniziale, ai soli abiti usati, in attesa che l’Europa definisca la propria strategia sull’economia circolare nel tessile.

La strategia europea prevede, tra le sue principali novità, l’introduzione dell’estensione della responsabilità del produttore (Epr) nel comparto industriale tessile-moda, visto come uno dei migliori strumenti per raggiungere gli obiettivi previsti a livello comunitario per rendere concreto il principio del “chi inquina paga”.

Qualcuno ha già ammonito di fare attenzione che i costi non ricadano due volte sui cittadini: prima come consumatori poi in veste di “inquinatori”, chiamati a pagare una tassa sullo smaltimento dei rifiuti prodotti. In più bisognerà scongiurare anche il possibile pericolo che qualche produttore possa approfittarne, facendo propria la somma pagata dal consumatore per lo smaltimento senza garantirne uno realmente rispettoso della normativa e dell’ambiente. L’esempio da seguire per fortuna esiste, basterà rifarsi alle esperienze già operative da anni nel settore degli imballaggi.

A questi problemi si aggiungono quelli relativi agli impianti di riciclaggio, infatti, da più parti si sottolinea la mancanza di una vera rete infrastrutturale di impianti in grado di recuperare materia dagli scarti tessili, nonostante questo “business” rappresenti un caposaldo dell’economia circolare, come più volte sottolineato anche dalla Fondazione Ellen MacArthur.

Secondo il rapporto Global fashion agenda, “Scaling circularity”, investire nelle tecnologie per il riciclo del tessile garantirebbe di gestire l’80% dei materiali tessili, pre e post consumo, ed il 75% di quanto riciclato rimarrebbe nel sistema tessile mentre un 5% interesserebbe altri settori industriali.

Per riconvertire il sistema e avviare una vera economia circolare nel tessile-moda sono necessari ingenti investimenti. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza stanzia 150 milioni di euro per la costituzione di ‘textile hubs’ innovativi, a cui si aggiunge una parte del miliardo e mezzo destinato alle amministrazioni pubbliche per il miglioramento dei sistemi di raccolta differenziata e riciclo.

A cura dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana – Arpat
Fonte: GreenReport

Dal 1 gennaio, diventa obbligatoria la raccolta dell’umido in tutti i Comuni italiani

partire dal 1° gennaio 2022 in tutti i Comuni italiani diventa obbligatoria la raccolta differenziata dell’umido: gli scarti organici dovranno essere separati dagli altri rifiuti. Lo prevede l’articolo 182 ter del decreto legislativo 152/2006 che recepisce in Italia la direttiva europea 2018/851 in materia di rifiuti. L’entrata in vigore di questo obbligo anticipa di due anni un analogo impegno che sarà introdotto nel resto della Ue solo a inizio 2024.

L’entrata in vigore del provvedimento anticipa di due anni l’impegno degli altri Paesi europei

Ma non si parla solo degli scarti di cibo: nell’umido andranno conferiti anche gli imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile certificati EN 13432. In questo modo, i sacchetti in bioplastica e gli imballaggi di frutta e verdura, le stoviglie , le posate e i bicchieri monouso compostabili potranno essere trasformati in compost. La disposizione impone ai Comuni italiani di attivare un servizio di raccolta differenziata dell’umido attraverso cestini riutilizzabili o sacchetti compostabili certificati a norma UNI EN 13432-2002.

Perchè la raccolta dell’organico è così importante?

Da un lato, aiuta la raccolta differenziata separando più rifiuti, dall’altro permette di buttare con meno frequenza l’indifferenziato, dal momento che la componente umida è quella che fa fermentare più velocemente i rifiuti nel cestino di casa. «La raccolta dell’organico è fondamentale perché offre un contributo essenziale alla massimizzazione dei tassi di raccolta differenziata. Senza l’organico non saremmo potuti arrivare al 65 per cento circa di raccolta differenziata raggiunto dall’Italia – spiega Enzo Favoino, ricercatore presso la Scuola Agraria del Parco di Monza e Coordinatore del Comitato Scientifico di Zero Waste Europe – Inoltre, separando bene l’organico, riduciamo la fermentescibilità dei rifiuti residui indifferenziati non riciclabili. Ciò permette ai Comuni di ridurne la frequenza di raccolta il che, oltre a ridurre i costi complessivi di raccolta, spinge i cittadini a separare meglio anche le altre frazioni riciclabili»

La classifica dei compost

Attualmente l’Italia è in cima alla classifica europea per la produzione di compost: la capacità del nostro sistema di compostaggio supera i 7 milioni di tonnellate, seconda solo alla Germania. Ad oggi, l’80% della popolazione è collegato con la raccolta dello scarto organico. Il nuovo obbligo renderà possibile estenderlo al 100%. «Dal punto di vista agronomico – prosegue Favoino – separare l’organico dal resto dei rifiuti è importante per restituire al terreno materia viva e fertile. La fertilità dei suoli dipende essenzialmente dalla presenza di sostanza organica. Non a caso, gli scienziati del suolo parlano di ‘stato di pre-desertificazione’ quando i terreni si impoveriscono eccessivamente di sostanza organica. Restituendo quest’ultima ai suoli, ne esaltiamo la fertilità sotto tutti i punti di vista: dalla capacità di ritenzione idrica, alle attività dei microorganismi del suolo, alla disponibilità degli elementi nutritivi».PUBBLICITÀ

Il compost fa bene all’ambiente

Ma a beneficiarne non è solo la produttività agricola: il compost gioca un ruolo anche nella lotta al cambiamento climatico. La sostanza organica, infatti, è fatta essenzialmente di carbonio, che se rilasciato nel suolo porta fertilità,quando viene rilasciato in atmosfera assume la forma di CO2, uno dei principali fattori che determinano l’effetto serra. «Maggiore sarà la quantità di compost prodotto e distribuito nei terreni, più efficace sarà la nostra lotta ai cambiamenti climatici», aggiunge Favoino.

Non dimentichiamo i sacchetti in bioplastica compostabile

Ma è importante ricordarsi di raccogliere l’umido sempre all’interno di sacchetti in bioplastica compostabile, o gli sforzi saranno inutili. Per supportare la raccolta differenziata e raggiungere gli obiettivi di riciclo organico, nel 2020 è stato costituito Biorepack, il consorzio di filiera del sistema Conai dedicato agli imballaggi in bioplastica compostabile, primo nel panorama europeo. «Biorepack deve fare in modo che gli imballaggi compostabili vengano raccolti assieme alla frazione umida e questo contribuisca al miglioramento qualitativo della raccolta – spiega Marco Versari, presidente di Biorepack – Biorepck ha recentemente firmato un accordo con ANCI che riconosce ai Comuni italiani, a fronte dell’organizzazione della raccolta differenziata, del trasporto e del trattamento dei rifiuti di imballaggi in bioplastica compostabile, determinati corrispettivi economici. Così facendo, garantiamo non solo vantaggi ai nostri concittadini ma garantiamo lo sviluppo di un’industria sostenibile, che realizza i prodotti in bioplastica compostabile e che rappresenta un’eccellenza riconosciuta a livello internazionale».

Una scelta da leggere in ottica di bioeconomia

«La scelta compiuta dal Parlamento prima e dal Governo poi nel recepimento del pacchetto sull’economia circolare non è stata di certo casuale nè avventata – spiega Ilaria Fontana, sottosegretario al Ministero della Transizione Ecologica – Si tratta di una assunzione di responsabilità maturata dopo anni di virtuosa gestione della frazione organica nel nostro Paese che è in grado, già da anni, di trasformare residui (i cui impatti ambientali, odorigeni e climalteranti possono essere significativi), in una importante occasione di tutela delle nostre matrici ambientali e di transizione ecologica. Dobbiamo considerare tale passaggio legato alla raccolta obbligatoria dell’umido in tutto il Paese non solo in un’ottica di riciclo ma di bioeconomia»

Fonte: Corriere.it

Capannori: le R a servizio di Rifiuti Zero

Qualche giorno fa abbiamo fatto un approfondimento sui centri del Riuso di Capannori.

Ne è uscita il quadro di un progetto completo. Centri del Riuso parte di un piano più complessivo che fa del Comune Toscano l’avanguardia della gestione virtuosa dei rifiuti in Italia.

Ne parliamo con l’Assessore all’Ambiente del Comune di Capannori, Giordano Del Chiaro.

Buongiorno Assessore. Partiamo dalla storia: Capannori ha fatto una scelta ben precisa 14 anni fa con l’adesione al protocollo Rifiuti Zero.
In questi 14 anni sono state fatte molte cose.
A volo d’uccello ripercorriamo i 14 anni e dove siamo arrivati

Il percorso Rifiuti Zero di Capannori nasce nel 2007, ma in realtà già nel 2005 avevamo dato il via al progetto dell’introduzione su tutto il territorio comunale della raccolta porta a porta. Non senza difficoltà. Capannori è un territorio molto vasto, 160 km quadrati e 40 frazioni, con caratteristiche molto differenti: a seconda della zona si passa dalla pianura alla collina, alla prima montagna. Abbiamo dunque iniziato ad inserire la raccolta porta a porta in alcune frazioni per poi arrivare alla copertura totale. Il primo passo è dunque stato quello di cancellare la raccolta stradale sul territorio.

Nel 2007 abbiamo aderito alla strategia rifiuti zero. Il grande passo. Con una delibera di consiglio comunale, con un supporto tecnico fondamentale da parte del Centro di Ricerca Rifiuti Zero, coordinato da Rossano Ercolini, e che in tutti questi anni ha continuato ad essere il punto di riferimento su tutte le attività e le scelte politiche sul tema. Partimmo con i “Dieci Passi verso Rifiuti Zero”, gli impegni che Ciascun Comune che aderisce alla rete (oggi sono più di 300 su tutto il territorio nazionale) si assume nell’ambito gestione dei rifiuti.
Questo primo passo già ci permise di raggiungere livelli di raccolta differenziata molto elevati. Oggi siamo costantemente ad una cifra che oscilla fra l’85 e il 90% di raccolta differenziata. Ovviamente il nostro è un progetto di Comunità. I cittadini hanno un ruolo primario in tutte le nostre attività, sono loro che fanno la raccolta differenziata e che la fanno correttamente.

Il secondo passo è stata l’introduziuone della tariffa puntuale, con il supporto tecnico di ESPER. Oggi abbiamo una tariffa che sta entro limiti piuttosto bassi in confronto al livello nazionale. Una parte della Tari è calcolata sulla quantità di non riciclabile che ogni cittadino espone, secondo il principio “chi più produce rifiuti, più paga”.

Raccolta e preparazione al riciclo, dunque, sono a posto.
Quali sono stati i passi relativi alle altre “R”?

Abbiamo messo in campo varie attività. Partendo dalla Riduzione, dalla prevenzione della produzione. Con il Centro Studi Rifiuti Zero abbiamo messo in campo il progetto “Famiglie Rifiuti Zero”, in cui abbiamo dimostrato che se già la media della produzione dei rifiuti è molto bassa sul nostro territorio, con maggiore attenzione nella differenziazione, con una coscienziosità maggiore quando scegliamo i prodotti da acquistare, con un autocompostaggio domestico ben fatto, ognuno negli spazi a propria disposizione, davvero si possono raggiungere livelli di raccolta differenziata molto prossimi al 100%, e si può minimizzare sensibilmente il secco residuo conferito, che è poi l’obiettivo finale.

Parallelamente è andata avanti la filiera fondamentale del Riuso. Non ci basta più riciclare o raccogliere differenziatamente i rifiuti che produciamo: come detto è fondamentale produrre meno rifiuti possibili e quindi anche sottrarre al mondo dei rifiuti oggetti ancora funzionalmente validi inserendoli nel circuito del riuso. Tutto è cominciato coinvolgendo cittadini, gruppi informali, associazioni, da cui sono poi nate cooperative sociali che fanno riuso,. Abbiamo diverse realtà. Da Daccapo e dalla Cooperativa Nanina, che gestiscono i centri del Riuso, all’attività di un’associazione informatica (Hacking Labs) che lavora sul ripristino e sul disassemblaggio della apparecchiature elettroniche, evitando che diventino Raee, rifiuti elettronici. E’ nata inoltre un’impresa sociale che lavora molto sui tessuti e sugli scarti di lavorazione: Capannori è un territorio dove il settore calzaturiero è molto presente, e i suoi scarti possono dunque avere una seconda vita.

È nata anche un’associazione che si occupa di baratto, si chiama Lillero. Hanno creato un mercato del baratto: chiunque abbia oggetti che vuole scambiare li porta in sede dove vengono valutati in una moneta virtuale, il lillero appunto. I lilleri accumulati possono essere spesi per acquistare altri oggetti in un emporio che l’associazione ha creato. Poi ci sono altre realtà: dal mercatino dei libri usati a “Conserve”, una realtà che si propone di recuperare le eccedenze agricole ed alimentari, reimmettendole sul mercato. In un territorio che ha vocazione rurale come il nostro, è ovviamente un’attività particolarmente apprezzata.

Ad oggi siamo in questa fase: abbiamo tante realtà che, ognuna sulle proprie filiere, lavora con coscienziosità ed ottenendo risultati particolarmente positivi.

A questo aggiungiamo che spesso (e penso alla filiera degli abiti usati, ad esempio) i materiali raccolti hanno poi finalità solidaristiche, con distribuzioni gratuite a soggetti e famiglie in difficoltà. Il ciclo del riuso ha per vocazione una doppia natura: da un lato uno scopo sociale, quindi andare a intercettare famiglie e realtà in difficoltà attraverso la collaborazione con Caritas e con i Servizi Sociali del Comune distribuendo loro gratuitamente, dall’altro la reimmissione sul mercato di materiali altrimenti destinati allo smaltimento.

Raccolta differenziata, riduzione e riuso. Qual è il prossimo passo?

Il prossimo obiettivo è quello di unire tutte queste esperienze in una rete (che informalmente già esiste) e creare una Rete Municipale del Riuso. Crediamo sia necessario valorizzare ulteriormente il lavoro di decine di volontari che ognuno sulla propria filiera di materiali già danno un contributo enorme alla Città ed all’Ambiente. Per far questo abbiamo partecipato ad un bando europeo con un progetto che si chiama Reusemed (https://www.comune.capannori.lu.it/approfondimenti/progetto-reusemed/) che coinvolge diverse realtà e che ha come capofila il Comune di Cordoba in Spagna. L’obiettivo è dunque quello di creare una interfaccia unica per il cittadino, nel rispetto delle singolarità di ognuna delle realtà coinvolte. L’obiettivo è anche quello di creare un centro unico dal punto di vista commerciale dedicato interamente al riuso. Insomma vogliamo potenziare questa pratica, renderla accessibile e nota a tutti i cittadini, perché dopo aver ottenuto buone percentuali di raccolta differenziata e di riciclo, è necessario agire con forza ed intensità sul capitolo riduzione. 

Oggi Capannori viaggia attorno al 90% di raccolta differenziata, con una produzione di secco residuo sotto i 70 kg per abitante. Si può andare oltre? Si può puntare davvero a rifiuti zero?

Io sono convinto che lo si possa fare.
Con il Centro Ricerca Rifiuti Zero ogni tanto andiamo all’isola ecologica con guanti e stivali e apriamo i sacchi del rifiuto indifferenziato per vedere cosa c’è dentro e su quali tipologie di rifiuto bisogna ancora lavorare.
La maggior parte del non riciclabile è costituito da materiale assorbente. Tutto materiale che grazie alla nuova tecnologia che conosciamo è riciclabile al 100%. Una tecnologia che è stata sperimentata a Treviso, che è oggetto di finanziamento con i bandi del Ministero della Transizione Ecologica attraverso i fondi del PNRR e che, soprattutto è esportabile e repilcabile. Mandando a riciclo anche quella parte di materiale, si arriverebbe fra il 92 ed il 95% di raccolta differenziata. Rimangono ancora alcune tipologie su cui stiamo lavorando. Abbiamo fatto un progetto con l’università di Pisa per i riciclo dei mozziconi di sigaretta, che sono fra i rifiuti più fastidiosi, e che dimostra come anche quelli siano riciclabili.
C’è ancora del lavoro da fare, ma è evidente come l’obiettivo del 100% sia potenzialmente raggiungibile.
Io ci credo!
(SC)

Le Associazioni ambientaliste: serve un cauzionamento degli imballaggi

“Al fine di accelerare la transizione verso un’economia circolare e facilitare il raggiungimento degli obiettivi europei in materia di raccolta e riciclo, l’Associazione nazionale dei Comuni Virtuosi insieme a: A Sud Onlus, Altroconsumo, Greenpeace, Kyoto Club, LAV, Legambiente, Lipu-Bird Life Italia, Oxfam, Marevivo, Pro Natura, Slow Food Italia, Touring Club Italiano, WWF e Zero Waste Italy, chiede l’introduzione di un efficiente sistema di deposito cauzionale per gli imballaggi per bevande monouso in Italia.”

Inizia così il comunicato stampa a firma congiunta delle principali Associazioni Ambientaliste Italiane.

Come sta avvenendo in molti Paesi europei, dal luglio scorso anche in Italia viene discussa l’introduzione di un sistema di deposito cauzionale per gli imballaggi monouso per bevande (in plastica, alluminio e vetro). Il dibattito nasce dall’esigenza di raggiungere gli ambiziosi obiettivi europei imposti dal pacchetto economia circolare ed in particolare dalla direttiva sulla plastica monouso – SUP, con lo scopo di ridurre la dispersione delle plastiche nell’ambiente e gli effetti dannosi correlati che colpiscono la biodiversità.
La direttiva SUP impone un tasso di raccolta del 90% per le bottiglie di plastica per bevande entro il 2029 (con un obiettivo di raccolta intermedio del 77% entro il 2025) e un minimo del 25% di plastica riciclata nelle bottiglie in PET dal 2025 (30% dal 2030 in tutte le bottiglie in plastica per bevande). Questi obiettivi sono raggiungibili unicamente attraverso l’introduzione di un sistema di deposito cauzionale, unico modello di raccolta selettiva al mondo capace di raggiungere tassi di intercettazione e riciclo così elevati con benefici ambientali ed economici.

Con i suoi quasi ottomila chilometri di coste l’Italia è, dopo l’Egitto e prima della Turchia, il maggior responsabile di sversamento di rifiuti plastici nel Mediterraneo3. Un sistema di deposito cauzionale
sugli imballaggi per bevande permetterebbe al paese di ridurre sensibilmente l’inquinamento ambientale, di raggiungere gli ambiziosi obiettivi europei in materia di raccolta e riciclo prima citati, e di favorire il perseguimento di obiettivi di riuso per una reale transizione verso un’economia più circolare.
Secondo un recente studio di Reloop Platform, in Italia oltre 7 miliardi di contenitori per bevande sfuggono al riciclo ogni anno, uno spreco che potrebbe essere ridotto del 75-80% attraverso l’introduzione di un sistema di deposito efficiente4. Inoltre, l’attuale sistema di raccolta differenziata del PET permette un’intercettazione solo del 58%, ben lontano dall’obiettivo del 90% imposto dalla direttiva SUP.
Nel decreto Semplificazioni del luglio 2021 è stato inserito uno specifico emendamento che apre all’introduzione di un sistema di deposito anche in Italia. Il Ministero della transizione ecologica in
collaborazione con il Ministero dello sviluppo economico si trovano adesso a dover redigere i decreti attuativi per l’introduzione di tal sistema.

Le associazioni ambientaliste firmatarre auspicano dunque che i ministeri competenti nel definire le caratteristiche di un sistema di deposito nazionale vogliano ispirarsi alle esperienze europee di maggiore successo che vedono sistemi cauzionali di portata nazionale, obbligatori per i produttori di bevande e che coprono tutte le tipologie di bevande nelle diverse dimensioni commercializzate in bottiglie di plastica, vetro e lattine. Trattasi di sistemi cauzionali regolati e gestiti da un ente no profit formato e finanziato dai produttori di bevande che opera in modo da raggiungere gli ambiziosi obiettivi di raccolta e riciclo stabiliti dal Governo organizzando un modello di raccolta conveniente e facilmente accessibile dai consumatori in cui l’importo della cauzione è un elemento chiave per raggiungere e mantenere tali obiettivi.

Leggi l’appello integrale

Cos’è un sistema cauzionale? Scheda tecnica

Europa: la marcia inarrestabile dei sistemi cauzionali per bevande

Natural Mineral Waters Europe (NMWE), UNESDA Soft Drinks Europe e Zero Waste Europe : È ora di riconoscere il ruolo dei sistemi di deposito cauzionale (DRS) nel raggiungimento di un’economia circolare per gli imballaggi per bevande monouso nell’Unione europea

E’ stato diffuso oggi il comunicato congiunto (segue in formato integrale) in cui Natural Mineral Waters Europe (NMWE), UNESDA Soft Drinks Europe e Zero Waste Europe chiedono all’Unione europea di facilitare la transizione dell’industria delle bevande verso la circolarità, sviluppando un quadro giuridico per la creazione di efficienti sistemi di deposito cauzionale (deposit refund systems – DRS) per gli imballaggi delle bevande.

Natural Mineral Waters Europe (NMWE), UNESDA Soft Drinks Europe Zero Waste Europe (ZWE) sollecitano l’Unione europea a riconoscere il ruolo dei sistemi di deposito cauzionale e a sostenere l’istituzione di requisiti minimi per tali sistemi nella revisione della direttiva UE sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio. Le organizzazioni ribadiscono inoltre il loro pieno impegno a collaborare con i responsabili politici e gli stakeholder locali nell’implementazione di un sistema di raccolta efficiente a livello industriale in tutta l’Unione europea.

Accelerare la transizione verso un’economia circolare, come stabilito dal piano d’azione dell’UE per l’economia circolare, è un obiettivo collettivo, e i sistemi di deposito cauzionale fanno parte della soluzione al fine di rendere tutti gli imballaggi riutilizzabili e riciclabili entro il 2030. Inoltre, la direttiva UE sulla plastica monouso impone un tasso di raccolta del 90% per le bottiglie di plastica per bevande entro il 2029 e un minimo del 25% di plastica riciclata nelle bottiglie in PET dal 2025 (30% dal 2030 in tutte le bottiglie per bevande).

Date le attuali prestazioni di raccolta in tutta l’Unione, è improbabile che molti Stati membri raggiungano gli obiettivi prefissatiQuesto è il motivo per cui sosteniamo i sistemi di deposito cauzionale (DRS) ben progettati come una delle opzioni più efficienti per raggiungere gli obiettivi di raccolta e di contenuto riciclato fissati nella direttiva UE sulla plastica monouso, ma anche come un’opportunità per creare un sistema di riciclaggio a circuito chiuso che garantisca che il materiale venga restituito e riciclato in nuovi contenitori per bevande”, dice Nicholas Hodac, direttore generale dell’UNESDA.

“I sistemi DRS non solo hanno raggiunto alti tassi di raccolta per gli imballaggi delle bevande nei paesi in cui sono stati introdotti, ma hanno anche il vantaggio di fornire materiale riciclato di alta qualità adatto al contatto con gli alimenti in un unico flusso pulito. Possono inoltre contribuire agli obiettivi climatici dell’UE, riducendo per esempio l’impiego di materiali vergini grazie al circuito chiuso che permette che tutti i materiali raccolti vengano riciclati senza dispersioni. Tuttavia, nonostante i loro eccellenti risultati, la legislazione dell’UE sugli imballaggi e i rifiuti d’imballaggio non affronta in alcun modo i sistemi di deposito cauzionale, né garantisce il riciclaggio a circuito chiuso per i materiali che possono entrare a contatto con gli alimenti, continua Patricia Fosselard, segretario generale di NMWE.

LaCommissione europea può giocare un ruolo cruciale nel colmare questa lacuna, sviluppando dei requisiti minimi per aiutare gli Stati membri dell’Unione fornendo un indicazione per l’istituzione di nuovi ed efficienti sistemi di deposito cauzionale. “Tali requisiti minimi dovrebbero basarsi su quelli per i regimi di responsabilità estesa del produttore stabiliti nella direttiva quadro sui rifiuti. L’istituzione di questa guida a livello dell’UE potrebbe aiutare a garantire che l’infrastruttura dei sistemi DRS in tutti gli Stati membri , ospiti ove possibile, anche gli imballaggi riutilizzabili, in linea con gli obiettivi dell’UE in materia di prevenzione e riutilizzo dei rifiuti di imballaggio. Con una rapida adozione di questi requisiti minimi, siamo sicuri che possiamo muoverci più velocemente verso il raggiungimento degli obiettivi dell’economia circolare e del clima“, dice Joan Marc Simon, direttore di Zero Waste Europe.

NMWE, UNESDA Soft Drinks Europe e Zero Waste Europe ritengono che qualsiasi nuovo sistema di deposito cauzionale dovrebbe essere sviluppato ed istituito sulla base di alcuni principi base per quanto riguarda la sua portata geografica, i materiali in cui sono realizzati i contenitori di bevande inclusi nel sistema, la sua governance, la convenienza, l’incentivazione del consumatore e l’accesso dei produttori ai materiali riciclati.

Allegato – Principi chiave per la creazione di nuovi ed efficienti sistemi di deposito cauzionale per gli imballaggi di bevande

Tipologie di materiale:

  • Un sistema di deposito cauzionale dovrebbe includere tutte le tipologie e dimensioni degli imballaggi per bevande (fino a tre litri).
  • I nuovi sistemi DRS dovrebbero includere sia gli imballaggi per bevande monouso che quelli ricaricabili, se possibile fin dall’inizio.

Tassi di raccolta:

  • I sistemi DRS dovrebbero essere progettati per raggiungere almeno il 90% di tasso di raccolta per ogni materiale d’imballaggio (con cui sono realizzati i contenitori di bevande : plastica vetro o metallo/lattina ndr.) incluso nel sistema.

Governance:

  • I DRS dovrebbero essere istituiti e gestiti dall’industria attraverso una struttura senza scopo di lucro, con ad esempio un’organizzazione centrale di gestione del sistema, ed essere soggetti a un sistema trasparente di reporting e verifica.
  • I rivenditori giocano un ruolo critico nel processo di riscatto degli imballaggi e quindi dovrebbero essere parte della governance dell’organizzazione centrale di gestione del sistema per garantire un’implementazione e una gestione ottimizzata del DRS.
  • La legislazione nazionale dovrebbe essere sviluppata in modo da delineare chiaramente elementi chiave come gli obblighi a carico dei produttori, gli obblighi di ritiro a carico dei rivenditori di bevande, i poteri attribuiti all’organizzazione centrale di gestione del sistema, e dovrebbero contenere misure governative per minimizzare le frodi.

Progettazione del sistema:

  • Il sistema DRS dovrebbe essere impostato con l’efficienza dei costi come uno dei principi chiave.
  • Le entrate, come i depositi non riscattati, dovrebbero rimanere nel sistema per coprire sia i costi di introduzione del sistema che quelli operativi.
  • I costi e i ricavi dovrebbero essere ripartiti su materiali specifici, evitando così la sovvenzione incrociata dei materiali.
  • Le campagne di educazione e sensibilizzazione dei consumatori dovrebbero essere a carico del sistema, e quindi incluse nei costi.
  • L’organizzazione centrale di gestione del sistema di ogni paese definisce i valori variabili del deposito (o cauzione) tenendo conto del contesto locale e incentivando la cultura del “bring back”.
  • Tutti i partecipanti al sistema dovrebbero collaborare per una sua ottimale ed efficiente implementazione in termini di costi ed essere equamente compensati per i costi netti sostenuti per gestire la logistica del sistema.

Punti di riscatto degli imballaggi:

  • Il sistema di riscatto o restituzione dei contenitori di bevande , sia quando situato presso negozi che presso punti di raccolta non domiciliari , dovrebbe essere conveniente per i consumatori, efficace ed efficiente ed includere l’esplorazione di opzioni di tecnologia digitale, qualora indicate.
  • I dettaglianti dovrebbero essere obbligati a ritirare tutti i materiali da imballaggio coperti da un deposito cauzionale immessi al mercato, fatte salve eventuali limitazioni di spazio per i piccoli operatori.
  • Quando si usano distributori automatici inversi (RVM) o altre tecnologie, i requisiti tecnici minimi dovrebbero essere definiti e perseguiti dall’organizzazione centrale di gestione del sistema.

Accesso a materiali riciclati:

  • I produttori di bevande, in quanto industria obbligata, dovrebbero avere un accesso equo e legittimo ai materiali riciclati che sono raccolti dal sistema DRS, anche attraverso un “accesso prioritario” o un “diritto di prima scelta” per il contenuto riciclato di qualità alimentare.

Informazioni su Natural Mineral Waters Europe (NMWE)

Natural Mineral Waters Europe rappresenta quasi 550 produttori di acque minerali naturali e di sorgente in Europa, la maggior parte dei quali sono piccole e medie imprese. NMWE si dedica alla promozione delle qualità uniche delle acque minerali naturali e di sorgente, nonché all’uso sostenibile delle risorse idriche e all’economia circolare. www.naturalmineralwaterseurope.org

Informazioni su UNESDA Soft Drinks Europe

Fondata nel 1958, UNESDA Soft Drinks Europe è un’associazione con sede a Bruxelles che rappresenta l’industria europea delle bevande analcoliche. Tra i suoi membri ci sono sia aziende che associazioni nazionali di tutta Europa che producono bevande, tra cui still drink, spremute, carbonati, polveri, tè freddi, caffè freddi, sciroppi, energy drink e sport drink. www.unesda.eu

Informazioni su Zero Waste Europe

Zero Waste Europe (ZWE) è la rete europea di comunità, organizzazioni, leader locali, esperti e agenti del cambiamento che lavorano per l’eliminazione dei rifiuti nella nostra società. Sostiene sistemi sostenibili e la riprogettazione del nostro rapporto con le risorse, per accelerare una transizione giusta verso zero rifiuti a beneficio delle persone e del pianeta. Creata nel 2014, la rete ZWE comprende ora 32 membri provenienti da 28 paesi europei www.zerowasteeurope.eu

Fonte: Comuni Virtuosi

Nuovo piano rifiuti Emilia-Romagna, al via il percorso partecipato: obiettivo 80% di raccolta differenziata

La gestione dei rifiuti urbani e speciali, gli impianti per il trattamento, la tariffa puntuale, l’economia circolare come leva fondamentale per contribuire alla neutralità carbonica entro il 2050 e la bonifica dei siti contaminati. Sono i temi al centro dei cinque focus del percorso partecipativo lanciato dalla Regione Emilia-Romagna in vista della redazione del nuovo Piano regionale dei rifiuti che per la prima volta riguarderà anche il futuro delle aree inquinate. Un percorso che si svolgerà in parallelo con la valutazione ambientale strategica (Vas) del piano: la consultazione sul rapporto preliminare ambientale che partirà nei prossimi giorni.

Lo ha annunciato la Regione nel corso del convegno “Emilia-Romagna circolare” che si è svolto nella sede della Bologna Business School.

Le attività dei focus prenderanno il via il 30 settembre e si chiuderanno il 4 novembre. Saranno rivolte a tutti i portatori di interesse e punteranno a raccogliere osservazioni e proposte su temi centrali, approfonditi nel documento strategico del nuovo piano approvato nel luglio scorso in Assemblea legislativa.

Per il periodo 2022-2027 la Regione punta sulla prevenzione della produzione dei rifiuti. Per la raccolta differenziata si punta all’80%, con un ulteriore balzo in avanti rispetto all’attuale 73%, e per il riciclaggio al 70%. Leva fondamentale per conseguire questi traguardi sarà la tariffa puntale, da estendere a tutti i Comuni per premiare anche nelle bollette chi differenzia di più e produce meno rifiuti.

Gli appuntamenti 

Si svolgeranno in presenza a Bologna, nella Sala 20 maggio della Terza Torre nella sede della Regione (viale Aldo Moro), e potranno anche essere seguiti in streaming.

I 5 focus tematici sul piano regionale dei rifiuti e delle bonifiche partiranno giovedì 30 settembre con un appuntamento dedicato alla gestione dei rifiuti urbani. Giovedì 7 ottobre si tratterà di economia circolare e rifiuti speciali; il 14 di dotazione impiantistica per assicurare l’autosufficienza nello smaltimento e il 21 dell’applicazione della tariffa puntuale. A chiudere il calendario di appuntamenti, giovedì 4 novembre, sarà l’incontro sulla bonifica delle aree contaminate.

Fonti: Eco dalle Città

Bevande, nuove regole di riciclo: torna il vuoto a rendere

Il decreto Semplificazioni reintroduce i criteri per diffondere il sistema di resi per bottiglie, fiaschi e lattine di vetro, alluminio, plastica

Allo studio la cauzione per gli imballaggi riutilizzabili, con maggiore attenzione per quelli di plastica, vetro e metallo usati per le bevande.

Il decreto Semplificazioni convertito in legge a fine luglio è ancora molto generico e non contiene molti dettagli; dice che «gli operatori economici, in forma individuale o in forma collettiva, adottano sistemi di restituzione con cauzione nonché sistemi per il riutilizzo degli imballaggi». I negozianti che lo adotteranno potranno ottenere premialità e incentivi economici.Prezzi luce a partire da 0,023€ kwh. Confrontali tutti qui!ComparaSemplice.it

La cauzione per il riutilizzo delle bottiglie si usa da sempre in alternativa al riciclo là dove ha senso ambientale ed economico, cioè nei circuiti commerciali ristretti e dalla logistica ben identificata come, per esempio, le forniture domestiche o professionali di acqua minerale in bottiglie di vetro.

L’obiettivo della legge è estendere il ricorso al riutilizzo anche in circuiti commerciali più vasti e a materiali diversi dal vetro, come l’alluminio e soprattutto la plastica. Oggi negli imballaggi si ricorre poco al riuso mentre prevale il riciclo: dopo l’uso si ricicla (dati Conai) il 48,7% della plastica con obiettivo del 50% entro il 2025 e in totale si ricicla il 73% degli imballaggi.

Dettagli: definire tempi e modi

La regola dice anche che entro quattro mesi, cioè entro fine anno, il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, d’intesa con lo Sviluppo economico dovrà ascoltare le imprese coinvolte e dovrà emanare il regolamento applicativo che fissi i tempi, i modi, gli obiettivi di riutilizzo da raggiungere, i premi e gli incentivi economici da assegnare alle aziende che vorranno adottare questo metodo, il modo di evitare distorsioni di mercato, l’entità della cauzione, il modo in cui verrà fatta pagare ai consumatori la cauzione al momento dell’acquisto della bevanda confezionata, e poi come verrà restituita quando il consumatore renderà il vuoto.

La direttiva antiplastica

La legge sulla cauzione si integra con il testo di recepimento della direttiva europea antiplastica , cioè la direttiva Single use plastics (Sup) che vuole limitare l’usa-e-getta di bastoncini cotonati, piatti e posate di plastica e altri prodotti simili.

La direttiva antiplastica entrerà in vigore in Italia il 1° gennaio prossimo, il testo del Governo ieri è approdato alle Camere per l’esame e l’approvazione in legge, e dice che per il settore della plastica usa-e-getta le imprese «possono dar vita a sistemi volontari di cauzione».

Poco entusiasmo

I sistemi di riutilizzo dei contenitori per bevande, in genere quelli di vetro, sono sempre stati usati ma l’arrivo della plastica Pet, leggerissima e facile da riciclare, ha spazzato un gran numero di riutilizzi quando avevano costi eccessivi e impatti ambientali rilevanti.

Infatti il sistema del vuoto a rendere ha impatti ambientali per la complessità della logistica e per il peso notevole degli imballaggi da muovere, che rappresentano un costo anche in termini di consumi di energia.

Inoltre gli imballaggi da riusare vanno conservati nei luoghi del consumo in attesa del ritiro (piazzali di supermercati, retrobottega di bar e ristoranti e così via) e possono restare esposti a contaminazioni, polvere, animali; per questo motivo le aziende di imbottigliamento sono molto attente agli obblighi di igienizzazione intensiva dei contenitori prima del loro nuovo riempimento, per evitare che contaminanti o scarsa igiene rovinino il prodotto o disgustino la clientela. Così i contenitori vuoti sono sanificati con vapore e sostanze igienizzanti.

Un’altra attenzione viene dedicata al trasporto dei vuoti: i camion di ritorno sono carichi di aria imbottigliata.Sono tutti impatti e costi che gravavano sull’ambiente e sul prezzo al consumatore. Il confine tra il beneficio ambientale dato dal riutilizzo delle bottiglie e i sovraccosti economici e ambientali dipende dalla logistica (più semplice è, meno impatto c’è) e dalla distanza fra il luogo di imbottigliamento e di consumo (più vicini sono, minore l’impatto) e per approssimazione si stima che oltre i 100 chilometri di distanza fra imbottigliamento e consumo il sistema di vuoto a rendere cominci a volgere nel segno negativo per i costi economici e per l’impatto ambientale.

Per questo motivo il sistema viene adottato solamente dove dà un vantaggio per l’ambiente o per i costi, oppure da Paesi che lo usano come barriera protezionistica.

Già nel 2015 l’allora ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti introdusse una prima normativa di incentivazione , entrata in vigore nell’ottobre 2017 in via sperimentale e dimenticata nell’ottobre 2018. Vi avevano aderito alcune imprese delle bevande ma pochissimi negozianti. Proprio per questo la nuova versione approvata dal Parlamento introduce «le premialità e gli incentivi economici da riconoscere agli esercenti che adottano sistemi di restituzione con cauzione».

Il parlamentare 5S Leonardo Salvatore Penna ha proposto di recente un progetto di legge con l’entità della cauzione (10 centesimi a pezzo) e le sanzioni severe per chi non la adotterà.

Le imprese osservano

E le imprese delle bevande? Ettore Fortuna, vicepresidente di Mineracqua, appare abbastanza neutrale e si limita a osservare che «il decreto semplificazioni prevede un sistema cauzionale, legato a un incentivo per chi lo adotta, che verrà determinato con un prossimo decreto».

I produttori di imballaggi plastici fanno notare che il testo riguarda espressamente i soli imballaggi riutilizzabili, non quelli usa-e-getta.

C’è anche un problema di disponibilità di materia prima: vetro, alluminio e plastica Pet hanno un mercato floridissimo e in questo periodo di domanda alta il riutilizzo potrebbe sottrarre materia prima preziosa per i forni di vetreria, per i produttori di plastica rigenerata e per la fusione dell’alluminio.

Da risolvere infine la privativa che sui rifiuti hanno i Comuni, attenti a raccogliere i materiali che, fra i contributi del Conai e le materie prime alle stelle, hanno grande valore per le casse municipali. Non è un caso se colossi come Iren, Hera, A2a acquisiscono attività nel riciclo di plastica e altri imballaggi.

Fonte: Il sole 24 ore