Nuove Eco-etichette dal 2023

Dal 1° gennaio 2023 è entrato in vigore l’obbligo di etichettare in maniera ecologica e sostenibile tutti gli imballaggi che verranno commercializzati. Da pochi giorni è infatti vietato l’uso delle “vecchie” etichette su prodotti ancora da immettere nei mercati. Tutti gli imballaggi che erano già presenti in commercio o con già un’etichetta ecologica entro l’inizio dell’anno nuovo, potranno continuare ad essere venduti fino all’esaurimento delle scorte. Dal 2020 una serie di proroghe avevano posposto questa scadenza al 1° gennaio 2023, obbligo che era già previsto nel cosiddetto “Codice Ambientale” all’articolo 219, comma 5, del Dlgs 152/2006. La precedente normativa è stata in seguito completata dal Dm Ambiente 360/2022, volta a chiarire gli obblighi ed evitare le pesanti sanzioni (da 5.000 a 25.000 euro) che potrebbero scaturire dall’inosservanza del Dm.

Le etichette e le loro applicazione sono diverse in base al settore di utilizzo ed i produttori devono indicare e specificare su qualsiasi tipo di imballaggio (primario, secondario o terziario) un codice alfa-numerico previsto dalla decisione 97/129/CE. Oltre al codice è necessario anche facilitare la raccolta, il riutilizzo o il facile riciclo degli imballaggi, anche aiutando i consumatori a capire meglio la destinazione finale. Queste informazioni possono essere comunicate anche attraverso l’uso di QR code, siti web o app e prevedono l’uso di un colore diverso per identificare le varie tipologie di etichette in base al materiale: alcuni esempi sono il marrone per l’organico, il blu per la carta, il giallo per la plastica, etc.

Sull’etichetta si dovranno riportare i materiali utilizzati per l’imballaggio oltre alle marcature specifiche, già previste dall’articolo 182-ter, comma 6, lettera b, Dlgs 152/2006, per gli imballaggi in plastica compostabile o biodegradabile, che se opportunamente etichettati, potranno essere riciclati come rifiuti organici.

Il Ministero ha inoltre chiarito che, fino ad ulteriori nuove specifiche, i precedenti obblighi non si applicano agli imballaggi dei medicinali destinati all’uso umano o veterinario.

Nuovo Codice degli Appalti crea malcontento e dubbi

Venerdì 16 dicembre 2022 è stata approvata in esame preliminare la riforma del Codice degli Appalti che entrerà quasi sicuramente in vigore dal 1° aprile 2023. In così poco tempo quest’attesissima riforma è riuscita a far parlare tantissimo di sé e non in modo troppo positivo, anzi.

Dall’esultanza del Premier Giorgia Meloni e del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, alle critiche ricevute da moltissimi professionisti ed associazioni, il passo è stato molto breve.

La Procura Nazionale Antimafia e l’ANAC hanno lanciato fin da subito l’allarme poiché, secondo il loro parere, questo taglio alla burocrazia ha come diretta conseguenza un minore vincolo ai subappalti e qualsiasi lavoro sotto i 500 mila euro potrà tranquillamente essere fatto anche da piccole stazioni appaltanti, anche appena nate, che non hanno capacità di garantire acquisti o requisiti tecnici adeguati. È da far presente che l’innalzamento di questa soglia di affidamento dai 150 mila euro precedenti ai 500 mila va a coprire circa l’80% dei cantieri italiani. Un altro grave problema viene riscontrato nel ridotto controllo sui conflitti di interesse che potrebbero portare enormi favoritismi.

Altri punti del nuovo Codice lasciano perplessi come la misura dell’appalto integrato, che permette di attribuire con una singola gara sia il progetto che i lavori.

I sindacati, ed in particolare Fillea Cgil che parla di “Nefandezza”, temono un rischio davvero enorme di infiltrazioni mafiose e di una minore sicurezza per i lavoratori causata proprio dal subappalto a cascata.

Negli ultimi giorni sono stati lanciati diversi appelli che hanno come fine un ripensamento sui contenuti del Codice degli Appalti, un esempio è quello dell’Ordine degli architetti pianificatori paesaggisti e conservatori della provincia di Monza e della Brianza.

Nuovo codice degli appalti in arrivo

Proprio in questi ultimi giorni è scaduto il termine per l’invio di contributi relativi alla consultazione indetta dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti con associazioni e ordini di settore, oltre a vari esperti, riguardo al nuovo codice dei contratti pubblici e, secondo quanto dichiarato dal Ministro e Vicepremier Matteo Salvini, sarà una manovra volta a rendere questi ultimi il più veloci, semplici e snelli possibili.

Alcune novità che si possono già riscontrare nella bozza in pdf scaricabile dal sito del ministero o disponibile per il download alla fine dell’articolo, sono l’innalzamento della soglia per gli affidamenti diretti dei lavori a 150 mila euro, da 150 mila euro al milione si dovrà procedere ad una negoziazione con 5 operatori economici, da un milione a soglie comunitarie la negoziazione sarà tra 10 operatori economici ed infine, sopra le soglie comunitarie, ci saranno i bandi aperti. La struttura è simile per gli affidamenti dei servizi e delle forniture, con affidamento diretto fino a 140 mila euro, negoziazione con 5 operatori economici per gli importi superiori ai 140 mila euro ma comunque sotto a determinate soglie comunitarie, sopra alle soglie i bandi dovranno essere aperti. I criteri di aggiudicazione rimangono gli stessi, con il criterio dell’offerta più vantaggiosa o il criterio del prezzo più basso.

Nei 230 articoli contenuti in 5 libri si legge anche del cambio di nome del RUP da “Responsabile Unico del Procedimento” a “Responsabile Unico del Progetto” e della previsione di solo 2 livelli di progettazione: progetto di fattibilità tecnica ed economica e progetto esecutivo, manca quindi il progetto definitivo.

Secondo la visione del ministro tutto ciò servirà a combattere il malaffare nei vari settori e a rendere più partecipi i vari sindacati, associazioni etc. Al momento sono giunte circa una trentina di significative proposte relative alla suddetta consultazione del MIT e nei prossimi giorni sarà suo incarico portare all’approvazione il nuovo codice degli appalti al Consiglio dei ministri. L’augurio è quello di vedere anche in Italia una burocrazia veloce e di facile comprensione per professionisti ed imprese ma, che al contempo, possa garantire l’assenza di conflitti di interesse ed il massimo contrasto alla corruzione ed al malaffare.

È possibile effettuare il download della bozza del nuovo codice degli appalti in pdf cliccando qui.

DL Aiuti ter: importanti novità sui commissariamenti

Da venerdì 16 settembre, con l’approvazione del DL Aiuti ter da parte del Consiglio dei Ministri, il Governo avrà la possibilità di sostituirsi ai Comuni che non realizzano impianti di trattamento dei rifiuti in virtù dell’articolo 23 del Decreto Legge che recita: Nei procedimenti autorizzativi non di competenza statale relativi a opere, impianti e infrastrutture necessari ai fabbisogni impiantistici individuati dal Programma nazionale per la gestione dei rifiuti e dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, ove l’autorità competente non provveda sulla domanda di autorizzazione entro i termini previsti dalla legislazione vigente, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della transizione ecologica, assegna all’autorità medesima un termine non superiore a quindici giorni per provvedere”,

il DL prosegue affermando che: “In caso di perdurante inerzia, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro della transizione ecologica, sentita l’autorità competente, il Consiglio dei ministri nomina un commissario ad acta, al quale attribuisce, in via sostitutiva, il potere di adottare gli atti o i provvedimenti necessari”.

Si evince quindi che il Consiglio dei ministri può esautorare gli enti locali in modo da poter agire direttamente relativamente alle autorizzazioni per la costruzione di nuovi inceneritori, centri di trattamento dei rifiuti urbani, centrali eoliche e fotovoltaiche, andando oltre quelli che sono i veti paesaggistici espressi dalle locali Soprintendenze del Ministero della Cultura.

Tale scelta ripropone quindi il modello operativo dei commissari ad acta, molto utilizzato in passato da vari governi per affrontare una moltitudine di situazioni di emergenza in alcune regioni del centro e sud Italia. Lecito quindi attendersi posizioni contrapposte in merito alla reale efficacia di tale strategia. Alcune relazioni ed alcuni studi hanno infatti documentato l’esito assai poco soddisfacenti di diversi precedenti commissariamenti nel settore della gestione dei rifiuti. I commissariamenti delle Regioni Sicilia e la Campania possono costituire un esempio da esaminare attentamente. Si deve infatti considerare che spesso i commissari hanno operato in un clima ostile o di scarsa collaborazione.

Nel DL Aiuti vi sono inoltre importanti novità riguardo il fronte dell’economia circolare. Viene infatti stabilita la necessità di costituire a breve l’Organismo di vigilanza dei consorzi e dei sistemi autonomi per la gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggi, composto da due rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico, due del Ministero della transizione ecologica, uno dei due con funzioni di Presidente, un rappresentante dell’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, un rappresentante dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, un rappresentante dell’Associazione nazionale dei comuni italiani. Il funzionamento di questo Organismo verrà stabilito con un regolamento ministeriale che dovrà essere emanato dal MiTE.

L’UE boccia (di nuovo) l’Italia su rifiuti e smog

Presentata la valutazione dell’attuazione ambientale (EIR), il documento che valuta come l’Italia applica le norme UE: la Commissione ci boccia su rifiuti e smog, mentre ritiene incoraggianti i passi avanti del nostro Paese per l’economia circolare

Norme ambientali europee, dove stiamo sbagliando?
Nel documento di valutazione dell’attuazione delle norme ambientali europee il nostro Paese non presenta buone performance: la Commissione UE boccia l’Italia su rifiuti e smog.

I nostri punti deboli restano la gestione dei rifiuti, la qualità dell’aria e la definizione delle aree protette, mentre Bruxelles ci incoraggia a proseguire nel percorso intrapreso su economia circolare e piani per i bacini idrografici, anche alla luce dei miglioramenti che potrebbero arrivare dall’attuazione del Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza.

Sono già 18 le procedure di infrazione che la Commissione ha aperto verso l’Italia negli anni, e la metà di queste potrebbero concretamente diventare sanzioni pecuniarie perché sono già in una fase avanzata dell’iter che può portare alla Corte di Giustizia Europea. Non sarebbe la prima volta. Ad oggi sono stati comminati milioni di euro di multe per l’emergenza rifiuti in Campania, per la presenza di discariche illegali sul territorio nazionale e per le attività di scarico di acque reflue in aree sensibili: a partire dal 2015, siamo già stati multati per più di 620 milioni di euro.

L’UE boccia l’Italia su rifiuti
Già negli anni passati la Commissione aveva invitato il nostro paese ad adeguarsi alle norme comunitarie in particolare su una serie di aspetti:

in materia di gestione dei rifiuti urbani, perché si limitasse progressivamente il conferimento in discarica a favore di uno sviluppo della raccolta differenziata, soprattutto al Sud;
nel trattamento delle acque reflue, richiedendo maggiori investimenti in strutture adibite a gestirlo in maniera efficace;
nella riduzione di particolato (PM10 e PM2,5) e di biossido di azoto, intervenendo sulla riduzione del traffico;
nel completamento dell’individuazione dei siti marini di conservazione speciale, nell’ambito del programma Natura 2000, con la designazione di obiettivi specifici di conservazione per ogni sito;
in generale, nel migliorare l’efficienza con cui vengono impiegate le risorse destinate alla protezione ambientale.
Negli ultimi anni il nostro Paese ha compiuti diversi sforzi e, per molti ambiti, ha migliorato le proprie performance ma, anche a questo esame, l’UE boccia nuovamente l’Italia proprio su rifiuti e smog. Per quanto riguarda la gestione dei rifiuti urbani, ci dice la Commissione, abbiamo ancora troppe carenze: gli esempi citati sono sotto gli occhi di tutti, dal numero ancora troppo elevato delle discariche alla situazione di emergenza in Campania.

Potrebbero aiutarci, in questo senso, i fondi del PNRR, che potranno supportare una nuova strategia nazionale per l’economia circolare e un programma nazionale di gestione dei rifiuti.

Male anche la qualità la protezione delle aree naturali e la qualità dell’aria
La Commissione ha inoltre segnalato che il nostro Paese è ancora indietro nella designazione delle aree marine protette per la rete Natura 2000. In generale, da Bruxelles ci giunge un monito a migliorare la conservazione degli habitat e delle specie protette dall’Unione, pianificando investimenti strategici ad hoc. Investimenti che la Commissione teme non siano all’orizzonte, sottolineando come “Nel PNRR non sono previsti fondi sufficienti a sostegno della biodiversità per finanziare queste esigenze; di conseguenza l’importo mancante deve essere compensato attingendo ad altri fondi UE e fonti nazionali”.

Ancora troppo limitati sono ritenuti i progressi effettuati per quanto riguarda la qualità dell’aria e la riduzione delle emissioni. Il documento sottolinea anzi come nel 2020 siano proseguiti gli sforamenti dei valori limite di PM10 e NO2. La Commissione sollecita molto su questo punto, facendo presente che il 20% delle risorse del nostro PNRR sia destinato a energia e trasporti sostenibili e come a Bruxelles ci si aspetti che queste misure incidano sul miglioramento della qualità dell’aria. Il documento inoltre sollecita il nostro Paese a valutare ulteriori strumenti, come spostare la tassazione dal lavoro agli imponibili ambientali, ed eliminare i sussidi ambientalmente dannosi.

Male anche la gestione delle acque reflue urbane, per le quali servono maggiori investimenti per risanare molti punti critici, soprattutto al nord Italia, e per intervenire per un miglioramento delle acque potabili nel Lazio. In generale risulta scadente o molto scadente lo stato di diversi descrittori marini e molto allarmante il livello di consumo, soprattutto al Sud, di acqua in agricoltura.

Fonte: Rinnovabili.it

Nuovi CAM per la raccolta dei rifiuti

Il 5 agosto è stata pubblicata la Gazzetta Ufficiale n° 182, nella quale si è ritenuto opportuno revisionare ed aggiornare il decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare del 13 febbraio 2014 con cui erano stati pubblicati per la prima volta i Criteri Ambientali Minimi (abbreviato usualmente in CAM). Questo aggiornamento mira principalmente a massimizzare qualità e quantità della raccolta differenziata, stando però attenti anche a prevenire la produzione di rifiuti anche grazie alla diffusione di beni riciclati o contenenti materiale riciclato.

Nelle 63 pagine che compongono il documento si leggono molte novità che dovranno essere introdotte per l’affidamento dei servizi di igiene urbana quali, ad esempio, l’uso di sacchetti coerenti al rifiuto che contengono (plastica con plastica e carta e con carta ecc.). Emerge inoltre una particolare attenzione per la percentuale minima di materiale riciclato da utilizzare nella produzione di contenitori per la raccolta dei rifiuti e l’introduzione di criteri premianti.

Sono previsti nuovi standard qualitativi anche per il materiale raccolto che saranno più elevati per la raccolta monomateriale, più contenuti per il multimateriale mentre per la raccolta differenziata della carta viene imposta esclusivamente la raccolta monomateriale.

Particolare attenzione è stata usata anche nel caso della raccolta delle pile, dei RAEE, dei farmaci ed oli esausti, che dovranno essere raccolti non solo grazie a contenitori pubblici ma anche con eventi temporanei oppure occasionali.

Per i centri di raccolta sarà importante disporre di un sistema di monitoraggio al fine di poter acquisire dati sull’effettivo recupero di materia rispetto alla sola percentuale di raccolta differenziata. Tali dati dovranno essere poi inseriti in un rapporto annuale che verrà reso disponibile alla stazione appaltante solo dopo due mesi dalla presentazione del MUD.

Irlanda: al via ad ottobre un Sistema Cauzionale per bottiglie e lattine

Tutto pronto in Irlanda per la partenza con il primo ottobre del Sistema di Deposito Cauzionale mirato alla riduzione delle quantità di bottiglie di plastica e lattine che vengono attualmente smaltite invece che riciclate.

Con l’introduzione di un Sistema Cauzionale anche in Irlanda dal primo ottobre saliranno a 15 i paesi europei che si sono dotati di un DRS. In Irlanda il sistema sarà gestito da “Deposit Return Scheme Ireland “(DRSI), una società senza scopo di lucro istituita a fine luglio con decreto del ministro dell’ambiente Eamon Ryan, costituita da produttori di bevande affiliati all’Irish Beverage Council (IBEC).

Nel corso del 2023 l’operatore del sistema irlandese DRSI svilupperà ulteriormente la sua infrastruttura informatica e finanziaria che si occuperà della raccolta dei contenitori vuoti e della restituzione del deposito cauzionale ai consumatori, attraverso una rete incrementabile di reverse vending machine (RVMs) presenti presso i rivenditori di bevande. Il DRS irlandese interessa le bottiglie in plastica (sino a 3 lt) e le lattine in alluminio, ma non le bottiglie in vetro, a differenza di quanto avviene nella maggior parte dei paesi europei che hanno adottato tale sistema.

“La stima più generosa che si possa fare sugli attuali tassi di raccolta è che raccogliamo circa il 60% delle bottiglie in PET. Probabilmente la percentuale è molto più bassa, circa il 30%. Un Sistema Cauzionale è il miglior meccanismo per raggiungere il tasso di raccolta del 90% di raccolta al 2029″, ha dichiarato Colin O’Byrne, project manager dell’organizzazione ambientalista Voice. L’ Ong ha lanciato tempo fa una specifica campagna, Return for Change proprio per spingere il governo ad introdurre un DRS come primo passo per affrontare il problema del littering e migliorare le scarse prestazioni di raccolta degli imballaggi.

In attesa dell’arrivo di un sistema nazionale alcune insegne della distribuzione organizzata e della ristorazione hanno già introdotto su base volontaria un deposito cauzionale su alcuni contenitori di bevande in vendita installando delle RVM nei loro punti vendita per permettere il recupero del deposito.

E’ questo il caso dell’insegna Lidl nei punti vendita di Glenageary (Dublino) e Claremorris; oppure Aldi nel negozio di Mitchelstown. Anche Boojum, catena di ristoranti messicani, collocato un distributore automatizzato nel suo ristorante di South Great George’s Street dove è possibile conferire bottiglie di plastica e lattine di alluminio.

Fonte: A Buon Rendere

SDG: scarso impatto sulle politiche pubbliche

Un Rapporto (meta-analisi) scritto da un team internazionale di 61 ricercatori, coordinati dall’Università di Utrecht, che hanno attinto ad oltre 3.000 studi scientifici, e che costituisce la prima valutazione completa dell’impatto politico degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG), evidenzia come sia stato finora prevalentemente “discorsivo”, non si sia tradotto in un processo trasformativo e sia stato utilizzato da alcuni governi per legittimare le proprie precedenti politiche.

La sostenibilità non è mai stata in cima all’Agenda internazionale e anche i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) dell’Agenda ONU al 2030, dopo quasi 7 anni dall’adozione, hanno avuto un impatto limitato.

È la conclusione del libro in uscita in questi giorni “The Political Impact of the Sustainable Development Goals”, disponibile anche come open access su Cambridge Core, scritto da un team internazionale di 61 ricercatori, coordinati dall’Università di Utrecht, che hanno attinto ad oltre 3.000 studi scientifici e che costituisce la prima valutazione completa dell’impatto politico degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG), adottati dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2015.

Lo Studio (una meta-analisi), “ è una valutazione critica del cambiamento politico necessario per realizzare gli SDG delle Nazioni Unite – come scrive nella presentazione Johan Rockström, Direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research (PIK), noto per aver elaborato la teoria degli “spazi operativi sicuri” (Planetary Boundaries), superati i quali si sistema Pianeta entra in una zona di incertezza e di pericolo – Consiglio vivamente a tutti coloro che hanno gli incarichi politici di leggere questo libro. Sono già trascorsi due anni del Decennio decisivo per il futuro dell’umanità sulla Terra. Raggiungere la zona di atterraggio sicura e giusta definita dagli SDG richiede pensiero e azione trasformativi. Anche in politica“.

Il volume esce nell’anno di celebrazione dei 50 anni dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano del 1972, la prima conferenza a inserire l’ambiente nell’agenda internazionale e che ha portato all’istituzione del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP). Stockholm+50 si è posta l’obiettivo di sollecitare i Paesi a mobilitarsi per un futuro sostenibile, anche realizzando gli SDG entro il 2030.

Ma se gli obiettivi hanno un impatto limitato e stanno viceversa contribuendo a mantenere lo status quo distruttivo – ha affermato Franck Biermann, Professore di Governance di Sostenibilità Globale presso il Copernicus Institute of Sustainable Development dell’Università di Utrecht, che ha coordinato lo studio e ne è il principale autore – allora è il momento di cambiare radicalmente il nostro modo di agire”,

Il Rapporto è stato anticipato e sintetizzato dallo stesso Biermann e da altri colleghi nell’articolo Scientific evidence on the political impact of the Sustainable Development Goals”, pubblicato su Nature Sustainability.

Ne emerge che, sebbene gli obiettivi siano in grado di cambiare il modo con cui i governi e gli altri organismi comprendono e comunicano sulla sostenibilità, ci sono poche prove che ad 8 anni dal termine previsto per il loro conseguimento, gli SDG stiano contribuendo a ridurre le disuguaglianze, ad agire per contrastare l’emergenza climatica o per una migliore protezione della biodiversità e della natura.

Non vediamo prove evidenti di una riallocazione di fondi per lo sviluppo sostenibile, di una nuova o più decisa legislazione a favore degli SDG o che le politiche stiano diventando più rigorose – ha sottolineato Biermann – Molti cambiamenti erano già stati avviati ben prima dell’entrata in vigore dell’Agenda 2030”.

Prima dell’adozione degli SDG, le Nazioni Unite avevano messo in atto la più ampia consultazione della propria storia per valutare quel che avrebbero dovuto includere. Gli SDG coprono infatti un’ampia gamma di questioni sociali e ambientali, tra cui la fine di tutte le forme di povertà, la fornitura di energia pulita e a prezzi accessibili per tutti, la lotta ai cambiamenti climatici, il tutto assicurando che “nessuno venga lasciato indietro“. Sebbene non vincolanti, gli Stati membri delle Nazioni Unite dovrebbero utilizzare gli obiettivi per inquadrare le loro agende e politiche fino al 2030.

Ciò ha significato che gli obiettivi sono stati ampiamente accettati dai più diversi gruppi – ha aggiunto Biermann – Agenzie governative, città, multinazionali, piccole imprese, ONG e università di tutto il mondo utilizzano gli obiettivi per inquadrare i loro sforzi di sostenibilità. Allora cosa c’è che non va?

Più dettagliatamente la valutazione dell’impatto degli SDG dal loro lancio si è incentrata attorno alle 5 dimensioni dell’Agenda 2030: l’impatto politico degli SDG sulla governance globale; l’impatto sui sistemi politici nazionali; l’integrazione e la coerenza delle istituzioni e delle politiche; l’inclusività della governance (su piano locale e globale); la protezione dell’integrità ecologica. 

Impatto sulla governance globale
L’impatto politico degli SDG sulla governance globale, secondo i ricercatori, è stato essenzialmente “discorsivo”, senza tradursi in azioni concrete. 
Mentre i princìpi di governance che sono alla base degli SDG, come l’universalità, la coerenza, l’integrazione e il “non lasciare indietro nessuno“, sono state enunciate diffusamente nei discorsi delle istituzioni multilaterali, le effettive riforme attuate da queste organizzazioni dal 2015 sono state modeste e senza prove evidenti che gli SDG abbiano avuto un impatto trasformativo sui mandati, sulle pratiche o sull’allocazione delle risorse di organizzazioni e istituzioni internazionali all’interno del sistema delle Nazioni Unite, evidenziando una discrepanza tra le aspirazioni formali delle Nazioni Unite di promuovere gli SDG come linee guida centrali nella governance globale e il loro limitato impatto trasformativo.

Impatto sulle politiche nazionali
Molti paesi hanno iniziato a integrare gli SDG nei loro sistemi amministrativi e alcuni governi hanno designato organismi o formato nuove unità per l’attuazione degli obiettivi. Tuttavia, le prestazioni dei governi nazionali variano e la maggior parte dei paesi è in ritardo nell’attuazione degli SDG. Il cambiamento istituzionale osservabile spesso si limita a replicare priorità, traiettorie e programmi di governo esistenti e i governi tendono ad attuare selettivamente quegli SDG che supportano le politiche a cui hanno già dato priorità.
Sono risultati scarsi i riscontri che i governi abbiano sostanzialmente riassegnato i fondi per implementare gli SDG, sia per l’attuazione nazionale che per la cooperazione internazionale
Gli SDG non sembrano aver modificato in alcun modo i bilanci pubblici e i meccanismi di allocazione finanziaria, ad eccezione di alcuni contesti di governance locale. Alcune prove suggeriscono che le autorità subnazionali, in particolare le cittàsono spesso più pioniere e progressiste dei loro governi centrali nella creazione di coalizioni per l’attuazione degli SDG. In diversi sistemi politici nazionali, gli attori della società civile hanno iniziato a ritenere i policy maker responsabili dei loro impegni per realizzare la visione di non lasciare indietro nessuno.
Si è manifestato anche maggiore interesse e partecipazione da parte degli attori aziendali, comprese banche e investitoriche si impegnano sempre più e investono in pratiche di sostenibilità, promuovendo la finanza verde, facilitando progetti infrastrutturali sostenibili su larga scala o espandendo i loro portafogli per includere prestiti ambientali e sociali. Tuttavia, i ricercatori hanno rilevato in alcuni studi che gli SDG potrebbero anche essere utilizzati per camuffare il business as usual (SDG washing).
Nel complesso, sembrano mancare cambiamenti fondamentali nelle strutture di incentivazione per orientare i finanziamenti pubblici e privati ​​verso percorsi più sostenibili.

Integrazione e coerenza delle istituzioni e delle politiche
L’Agenda 2030 e gli SDG dovrebbero fornire una guida e risolvere i conflitti normativi, la frammentazione istituzionale e la complessità delle politiche, ma la ricerca condotta ha evidenziato che le sinergie e i compromessi si manifestano in modo diverso tra i sistemi politici e i livelli di governo. I casi studio analizzati su Bangladesh, Belgio, Colombia, Germania, India, Paesi Bassi, Sri Lanka e Piccoli Stati Insulari in via di Sviluppo (SIDS) indicano che i governi non riescono ancora a rafforzare la coerenza delle politiche per attuare gli SDG, nonostante si siano manifestati in alcuni Paesi presi in esame anche progressi (modesti). Laddove ci sono prove dell’integrazione degli SDG nelle strategie nazionali e nei piani d’azione, ciò non ha portato comunque a politiche e programmi intersettoriali nuovi o adeguati che siano coerenti tra loro. Mancano soprattutto valutazioni comparative più ampie degli impatti delle interconnessioni SDG sulla politica nazionale.

Inclusività della governance
L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e gli SDG hanno lo scopo di affrontare le disuguaglianze all’interno e tra i paesi e garantire che nessuno rimanga indietro. Tuttavia, gli studi analizzati indicano che sussiste una discrepanza tra retorica e azione. All’interno dei paesi, l’impatto politico degli SDG nella riduzione delle disuguaglianze varia considerevolmente e sembra essere determinato soprattutto dalla politica interna. La letteratura indica che gli SDG non hanno stimolato nuove forme di governo normativo o istituzionale che promuovano l’inclusività. Gli SDG sono stati utilizzati, se non del tutto, come quadro normativo internazionale globale per legittimare le politiche e le istituzioni nazionali esistenti. A livello globale non ci sono prove che l’adozione degli SDG abbia migliorato la posizione dei paesi più vulnerabili del mondo nella governance e nell’economia globale. Non emergono, inoltre, elementi  che indichino che gli SDG abbiano orientato le strutture di governance globale verso una maggiore inclusività, specialmente per quanto riguarda i paesi meno sviluppati, Gli studi dubitano che gli SDG saranno in grado di trasformare i quadri giuridici verso una maggiore partecipazione politica di questi paesi alla governance globale. Inoltre, la continua mancanza di rispetto delle norme di vecchia data che cercano di sostenere i paesi meno sviluppati, come gli impegni speciali sugli aiuti del Nord globale, indica ulteriormente il limitato effetto guida degli SDG sulla capacità dei paesi più poveri di partecipare pienamente al processo e trarre vantaggio dall’economia globale.

Integrità ecologica a livello globale
S
ebbene gli SDG sembrino aver influenzato le discussioni internazionali sull’emergenza climatica e sulla perdita della biodiversità, i ricercatori sottolineano come in realtà ci siano scarse prove che qualsiasi cambiamento normativo e istituzionale in questa direzione si sia materializzato per effetto degli SDG.
Molti studi concordano sul fatto che gli SDG mancano di ambizione e coerenza per promuovere una spinta trasformativa e mirata verso l’integrità ecologica su scala planetaria. Vi sono indicazioni che questa mancanza di ambizione e coerenza derivi in ​​parte dalla progettazione neoliberista degli SDG che privilegia la crescita economica a discapito dell’integrità ecologica del pianeta. Di conseguenza, sia i Paesi del Sud del mondo che quelli del Nord danno in gran parte la priorità più agli SDG socioeconomici rispetto a quelli orientati all’ambiente, in linea con le loro politiche di sviluppo nazionali di lunga data.

Fonte: regionieambiente

Buoni spesa in cambio di impegno nella differenziata?

Fare la raccolta differenziata, ma soprattutto farla bene, è diventato ancora più facile ed incentivante nel comune di Caivano, in provincia di Napoli. Da pochi giorni è stata lanciata, dall’Amministrazione Comunale e dal CONAI (Consorzio Nazionale Imballaggi), una splendida iniziativa volta a premiare chi la raccolta differenziata l’ha sempre fatta bene ma anche per cercare di invogliare quelle persone che, per un motivo o per un altro, non la svolgevano correttamente.

Il funzionamento è davvero molto semplice poiché per ogni chilo di rifiuto da riciclare, i residenti di Caivano, avranno i cosiddetti “ecopunti” spendibili nei negozi e nelle varie attività commerciali presenti all’interno del Comune. Il conferimento avviene al Centro Comunale di Raccolta, attraverso un sistema di registrazione degli accessi, per una serie di materiali quali, ad esempio: carta, cartoncini e cartone, legno, vetro, rifiuti RAEE, ingombranti e multimateriali (plastica, acciaio e alluminio). Il CONAI ha poi reso ancora più facili queste operazioni grazie alla presenza, dal 1° Agosto 2022, di Isole Ecologiche Mobili Itineranti sparse per la città, oltre a bidoni carrellati a disposizione presso scuole ed uffici volti alla raccolta del materiale da riciclare.

L’iniziativa verrà presto presentata con una campagna informativa sotto il nome di “Caivano premia la differenza” e verrano invitati tutti i cittadini alla sensibilità verso l’ambiente e all’attenzione per le buone pratiche che sono possibili da svolgere nel proprio piccolo, si punta e si spera anche di essere un modello per altri comuni.

La strategia virtuosa dell’Emilia-Romagna, intervista all’assessore all’ambiente

Prima in Italia e ai vertici in Europa nella raccolta dell’organico, con il 71%, pari a 117 chili a persona, e Il 73% di raccolta differenziata a fronte del 63% di media nazionale, l’Emilia-Romagna, con l’understatement di chi è abituato a fare il passo lungo esattamente come la gamba, esibisce, in realtà, dati eccellenti in tutti i fondamentali di cui si compone una gestione efficiente dei rifiuti. Le ultime rilevazioni mettono in evidenza un calo procapite di rifiuti prodotti del 3.4% e un conferimento in discarica sceso al 1.16% del totale, dunque molto inferiore al 10 per cento previsto per il 2035 dal nuovo pacchetto europeo sull’economia circolare. Bravi i cittadini a comprendere che il rifiuto non è più uno scarto, ma una risorsa. E bravi gli amministratori ad assecondare con perseveranza e fantasia questo spirito del tempo, come ad esempio ha fatto l’assessorato regionale all’Ambiente, inventandosi, otto anni fa, ‘Chi li ha visti’. «Una campagna di comunicazione — spiega l’assessore, Irene Priolo — che raccontando il percorso dei rifiuti dopo la raccolta differenziata, è stata di grande aiuto nel coinvolgere attivamente le persone e cambiare le abitudini».

L’esperienza dice che nella gestione dei rifiuti, arrivati a queste cifre, ogni punto in più di efficienza costa una fatica immensa.

«Siamo pronti a raccogliere questa sfida, portando la raccolta differenziata all’80% al 2025. Il nostro punto di forza è il metodo: la condivisione con parti sociali, imprenditoriali e territoriali, riuniti dal 2020 nel Patto per il Lavoro e per il Clima. Ma la raccolta differenziata è solo il mezzo. Il vero obiettivo è massimizzare riciclo e recupero. Puntiamo ad un vero e proprio sistema di sviluppo economico, con filiere legate all’economia circolare. In Europa, si stimano 700mila posti di lavoro in più da qui al 2030. E noi siamo pronti al rilancio di un intero sistema, anche con 43 milioni di fondi proprio sull’economia circolare».

È stata appena approvata una delibera regionale che integra i documenti usciti dai vari tavoli – economia, tecnologia, alimentazione, comunicazione – della cabina di regia istituita dalla Regione Emilia-Romagna per dotarsi di un’efficace strategia Plasticfree. Ci sono settori che fanno più resistenza, o si procede compatti verso l’obiettivo?

«Qualcuno fatica di più a liberarsi dalla plastica, anche per motivi contingenti. Un esempio è la grande distribuzione per le mense, che, causa le cautele igienico-sanitarie imposte dalla pandemia, ha dovuto aumentare il confezionamento. Queste complessità vanno analizzate e lo scopo della cabina di regia, che comprendeva praticamente tutti gli attori – la produzione, la ricerca, il consumo e le associazioni ambientaliste – era farle emergere con chiarezza. Nel metterla insieme, ci siamo regolati sullo stesso principio della riduzione dello spreco alimentare, che interpella tutti, ‘dal campo alla forchetta’. In ogni caso, la ‘Strategia regionale per ridurre l’incidenza delle plastiche sull’ambiente” è al centro del nuovo Piano dei rifiuti e delle bonifiche, in corso di approvazione. Come indica anche l’Unione Europea, è indispensabile, da una parte, riprogettare i materiali utilizzando polimeri compatibili con il riciclo meccanico, o chimico e, dall’altra, disporre di impianti in grado di selezionare in modo sempre più accurato i rifiuti plastici in base ai differenti polimeri».

Puntate anche voi alla tariffazione puntuale, cioè chi più produce rifiuti, più paga?

«È una misura strategica per raggiungere gli obiettivi di raccolta differenziata, come si evidenzia nei 98 comuni che già la applicano. Cattolica, in Romagna, ha raggiunto una raccolta differenziata pari al 79,2% ed una produzione di indifferenziato pro capite di 147 kg/anno, risultati non facili in un territorio a forte vocazione turistica. Non si può dire che sia tutto merito della tariffazione puntuale, ma potrei citare molti comuni in cui tali risultati sono stati raggiunti e superati anche per averla adottata».

Come gestisce il rifiuto tra le pareti di casa?

«Parte tutto dalla spesa: cerco di acquistare prodotti che abbiano imballaggi non voluminosi e si possano ricaricare».

E nella sua esperienza di assessore all’Ambiente?

«La priorità è spingere a produrre meno rifiuti. Con la scelta, molto forte, di non pianificare più discariche per urbani abbiamo dato un grande impulso non solo ai comuni, ma anche ai gestori del servizio».

Come è percepito da cittadini il problema della gestione dei rifiuti?

«Assistiamo a una crescente sensibilità sul tema, grazie alla spinta fornita dalle giovani generazioni, che sono consapevoli delle sfide ambientali, sociali ed economiche della transizione ecologica. Il rifiuto è una potenziale risorsa per sostituire materie prime da cui dovremo renderci sempre più indipendenti, ma può diventare addirittura materiale per installazioni e opere d’arte. Siamo di fronte ad una nuova visione del mondo, anche affascinante, ma dentro alla quale bisogna stare fino in fondo».

In data successiva all’intervista è stato pubblicato il nuovo bando riguardante l’assegnazione di risorse agli enti locali, si rimanda al seguente link per maggiori informazioni: https://esper.it/2022/08/01/nuovo-bando-per-la-riduzione-rifiuti-in-emilia-romagna/

A cura di Igor Staglianò.