Nuova bozza End of Waste sui rifiuti da costruzione e demolizione

A seguito dei numerosissimi appelli degli operatori nel settore edile, il Ministero dell’Ambiente ha pubblicato una nuova bozza riguardante il decreto end of waste su rifiuti da costruzione e demolizione.

Al suo interno sono presenti molte novità tra cui dei nuovi valori per la tabella dei limiti di concentrazione, meno restrittiva di quella presentata nel vecchio decreto che, secondo il parere degli operatori, avrebbe potuto creare un blocco delle lavorazioni nell’intero settore. Al posto di un singolo valore limite, ora ogni parametro ne comporta due che sono da considerare in base alla destinazione d’uso dell’aggregato recuperato. Oltre a questa prima tabella, è presente anche un’insieme di parametri e limiti destinato alla sola produzione di cemento e clinker.

È stata aggiunta anche l’UNI EN 13108 tra le norme tecniche di riferimento per la certificazione CE, che riguarda i rifiuti da costruzione e demolizione abbandonati, ammessi d’ora in poi per la produzione di aggregati recuperati.

Trascorsi 10 giorni dalla pubblicazione, necessari per la consultazione, verrà attivata la procedura di notifica all’UE, a cui seguiranno 90 giorni di stand still. Il Ministero dell’Ambiente punta a poter pubblicare il nuovo decreto in Gazzetta Ufficiale entro il 4 novembre 2023, dopo la quale partiranno i 180 giorni per permettere agli operatori del riciclo di ottenere ed adeguare le certificazioni necessarie.


A cura di Andrea Tornavacca, ESPER

Rifiuti pericolosi e gestione europea

La gestione dei rifiuti pericolosi è una delle questioni più importanti per l’Unione Europea. Nonostante l’adozione di una serie di normative per garantire la protezione dell’ambiente e della salute pubblica, la gestione dei rifiuti pericolosi rimane una questione critica.

Eurostat ha riferito che nel 2019 nell’UE sono stati prodotti oltre 100 milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi, di cui solo il 44% è stato gestito attraverso il riciclaggio, il 33% è stato smaltito in discarica e il restante 23% è stato trattato in impianti di recupero energetico. Questi numeri evidenziano che la maggior parte dei rifiuti pericolosi generati nell’UE non è ancora gestita correttamente.

Il problema della gestione dei rifiuti pericolosi riguarda soprattutto le piccole e medie imprese, che spesso non hanno le risorse per affrontare i costi elevati della gestione dei rifiuti. Inoltre, le normative europee sulla gestione dei rifiuti pericolosi sono complesse e variano da Paese a Paese, rendendo difficile per le aziende operare a livello transfrontaliero.

Un altro problema riguarda la mancanza di capacità di trattamento dei rifiuti pericolosi in molti Paesi dell’UE. In particolare, i Paesi dell’Europa orientale e sudorientale hanno le maggiori difficoltà a gestire i rifiuti pericolosi, a causa della mancanza di impianti di trattamento e della scarsa attenzione prestata alla questione.

Per affrontare il problema dei rifiuti pericolosi, l’UE ha adottato una serie di misure, tra cui la Direttiva sui rifiuti pericolosi del 2008, che stabilisce le regole per la gestione dei rifiuti pericolosi nell’UE. È stato inoltre istituito un sistema di controllo dei movimenti dei rifiuti per monitorare il trasporto di rifiuti pericolosi tra i Paesi dell’UE e prevenire il traffico illegale di rifiuti, anche verso Paesi Extra-Ue come la Turchia, dove è stata recentemente documentata la trasmissione “Presa diretta”.

Tuttavia, nonostante questi sforzi, la gestione dei rifiuti pericolosi continua a rappresentare una sfida per l’UE ed è molto importante che si continui a lavorare per migliorare la gestione dei rifiuti pericolosi e garantire la protezione dell’ambiente e della salute pubblica. Ciò comporta una maggiore cooperazione tra i Paesi dell’UE, la promozione di tecnologie avanzate per il trattamento dei rifiuti pericolosi e la sensibilizzazione delle imprese e dei cittadini sull’importanza di una corretta gestione dei rifiuti.

In sintesi, l’Unione Europea deve affrontare l’incognita dei rifiuti pericolosi in modo efficace e urgente. La gestione di questi ultimi è una questione critica che richiede un approccio coordinato e sistematico.


A cura di Andrea Tornavacca, ESPER

Denuncia social per contrastare illeciti ambientali?

La denuncia social consiste nell’utilizzo dei social media e delle piattaforme online per denunciare pubblicamente comportamenti illegali o non etici. Questa pratica è diventata sempre più comune negli ultimi anni, in quanto i social media hanno reso più facile per le persone diffondere informazioni e mettere in luce le questioni sociali.

Proprio pochi giorni fa, a Cassino(FR), un evento simile ha portato alla sanzione di un operaio edile a seguito di una denuncia social riguardante lo smaltimento illegale dei rifiuti. La denuncia è stata fatta attraverso un video pubblicato su Facebook, che mostrava un uomo mentre gettava illegalmente i rifiuti in un terreno privato. Grazie a questo video, la polizia locale ha potuto identificare l’uomo e procedere contro di lui.

In generale, la denuncia social può essere un’arma molto potente contro i reati ambientali. Ad esempio, i social media possono essere utilizzati per sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi ambientali e per mobilitare le persone a procedere con azioni concrete per prevenirli. Inoltre, la diffusione di video o immagini che documentano reati ambientali può fornire prove importanti per le autorità competenti e consentire loro di procedere contro i responsabili.

Tuttavia, è importante notare che la denuncia social non dovrebbe sostituire il ruolo delle autorità competenti nell’indagare sui reati ambientali e nell’assumere le opportune misure legali. Invece, la denuncia social dovrebbe essere utilizzata come un mezzo complementare per raccogliere informazioni e sensibilizzare l’opinione pubblica, in modo da aumentare la pressione sulla società e sulle autorità competenti per agire contro i reati ambientali.


A cura di Andrea Tornavacca, ESPER

Cambio di passo necessario sulle plastiche non da imballaggio secondo Eea

Dalla Commissione europea quest’anno si è vista una lotta sempre più mirata verso gli imballaggi in plastica, il che si dimostra un grande passo avanti, è però necessario portare all’attenzione un’altra enorme fetta di plastica della quale non si parla abbastanza, quella non per imballaggi.

È stato da poco messo in risalto dall’Agenzia europea per l’ambiente (Eea) che la maggior parte del consumo di plastica in Europa non dispone di dati e obiettivi politici diretti. Tutto ciò si ripercuote anche sull’uso che facciamo di questa plastica e sugli oggetti di uso comune che la contengono sotto forma di Pvc, Ps, Pp ed altre tipologie. Queste plastiche, dette comunemente “plastiche dure”, sono contenute nei giocattoli, nelle auto, in una moltitudine di prodotti elettronici, nell’edilizia ed in tantissimi altri ambiti.

Secondo le recenti stime dell’Eea, il 40% dei rifiuti di plastica annuali è costituito da plastica non da imballaggio, con un trend in aumento e ricadute molto gravi per l’ambiente.

L’Eea propone, per iniziare almeno a capire quanto sono grandi questi flussi e come poterli controllare, di cominciare a raccogliere il maggior numero possibile di informazioni sui livelli generali del consumo e della produzione di rifiuti in plastica, al momento risultanti non sufficienti. La richiesta è “sviluppare una metodologia più standardizzata per il monitoraggio dei flussi di plastica non da imballaggio nell’Unione europea”, in modo da avere un controllo efficace della quantità totale dei rifiuti di plastica e per poter presentare maggiori informazioni sul piano politico e decisionale.

In Italia è stato sviluppato il Progetto PLASMARE (PLAStiche per nuovi MAteriali mediante un Riciclo Ecosostenibile), grazie alla collaborazione di ESPER Società Benefit Srl con il CNR-ISMN, il CNR-IIA ed il cofinanziamento del Ministero dell’Ambiente. Tale progetto si occupa di dimostrare la fattibilità di una filiera per riciclare le plastiche dure non da imballaggio, sviluppare tecnologie innovative ed ecosostenibili per la separazione delle plastiche dure, incentivare il riutilizzo delle materie prime seconde ottenute in nuovi cicli produttivi, promuovendo l’ecodesign dei prodotti ed applicare le metodologie su scala industriale per un riciclo ottimale del rifiuto e la realizzazione di nuovi prodotti.

Fonte: liberta.it

Plastica, Italia bene a metà. Ora tra bioplastica e riciclo il Paese è a un bivio

Per poco non arriviamo a quota 100. Non stiamo parlando di pensioni, ma di plastica. In Italia nel 2020 ne abbiamo consumati circa novantanove chilogrammi a persona. In totale sono quasi sei milioni di tonnellate, impiegate soprattutto per gli imballaggi (42 per cento del totale) e, con quote inferiori, per edilizia e settore automobilistico. «Il nostro Paese – spiega Giulia Novati del think tank Ecco – è il secondo consumatore a livello europeo». E non è un piazzamento positivo, considerato che questo materiale genera una grande quantità di gas serra, che aggravano la crisi climatica.

Ciò avviene perché, da un lato, le materie prime più usate per ottenere la plastica sono petrolio e gas e, dall’altro, perché per realizzarla viene spesso usata energia da combustibili fossili. «Il processo produttivo, il consumo e il fine vita della plastica contribuiscono al cambiamento climatico, ma anche all’inquinamento di tanti ecosistemi marini e terrestri», aggiunge Novati. Per questo, Ecco ha presentato delle proposte per ridurre i consumi, far crescere l’impiego di bioplastiche e aumentare i tassi di riciclo e riutilizzo. E la buona notizia è che i margini per abbattere le emissioni sono molto ampi, fino a un potenziale meno 98 per cento raggiungibile nel 2050. Per riuscirci, però, le scelte politiche da fare sono diverse.

Il think tank propone il divieto di vendita di frutta e verdura in confezioni di plastica, l’obbligo per le amministrazioni locali di promuovere l’installazione di fonti di acqua potabile negli spazi pubblici, il divieto di utilizzo di stoviglie monouso per il consumo sul posto in bar e ristoranti. E poi chiede l’attuazione di due provvedimenti già approvati. Il primo è la cosiddetta plastic tax, che tassa i prodotti monouso in plastica. Votata nel 2020, non è mai entrata in vigore perché sempre rimandata. Dovrebbe farlo anche il nuovo Governo, stando alle dichiarazioni di alcuni suoi rappresentanti. La logica sarebbe quella di non penalizzare i consumatori finali, ma intanto l’Italia, dal 2021, deve comunque pagare circa 800 milioni di euro l’anno all’Ue per la plastic tax europea.

Il secondo provvedimento importante, secondo Ecco, è l’attuazione del sistema di deposito su cauzione (Deposit return system – Drs) indicato nel decreto Semplificazioni bis del luglio 2021. Nonostante fosse previsto per novembre dello stesso anno, manca ancora il decreto attuativo per creare il nuovo sistema, che riguarda i contenitori per bevande in plastica, vetro e metallo. «Il decreto fa riferimento solo al riutilizzo, ma a nostro avviso il sistema dovrebbe riguardare anche il riciclo», riprende Novati.

Pagare una piccola somma come cauzione a chi riporta i vuoti è una prassi consolidata in molti paesi Ue. E ha diversi benefici. «La plastica non è un solo materiale. Ci sono tantissime tipologie differenti di polimeri», spiega Mario Grosso, docente di Gestione e trattamento dei rifiuti solidi al Politecnico di Milano. «Non è detto che il Drs porti a un minore uso delle plastiche in generale, ma a una minore produzione di plastica vergine da petrolio, quello si». Non solo.

«Aver tenuto le plastiche separate consente un riciclo di maggiore qualità. Una bottiglia, solo per fare un esempio, può essere riciclata in una nuova bottiglia, in un processo definito a ciclo chiuso, che è sempre preferibile», osserva Gaia Brussa, ricercatrice che lavora con Grosso. «Inoltre – aggiunge – la leva economica migliora il tasso di raccolta, che nei Paesi europei con sistemi Drs si attesta sopra l’ottanta per cento». In Italia, secondo Unesda, il tasso di raccolta dei contenitori Pet è del 46 per cento. Secondo diverse organizzazioni, come quelle riunite nella campagna A buon rendere, questo è uno dei dati per cui sarebbe importante implementare il prima possibile il nuovo sistema di deposito. Per altre realtà, invece, sarebbe meglio ragionare su come migliorare il sistema attuale.

Fonte: Corriere della Sera

“Blocco della raccolta differenziata della carta scongiurato grazie all’export di macero”

Unirima, che raccoglie le imprese del macero, sottolinea le difficoltà del settore della raccolta e riciclo, frutto della crisi del gas che ha messo in difficoltà le cartiere. In primis, il crollo del prezzo della materia prima seconda.

“In questa situazione di grande difficoltà, siamo riusciti ad adattarci e grazie alle esportazioni siamo riusciti a risolvere quello che poteva diventare un problema per tutto il Paese, cioè il blocco delle raccolte differenziate della carta”. Ieri mattina a Palazzo Rospigliosi, nel centro di Roma, durante l’evento di presentazione del Rapporto Unirima 2022, Giuliano Tarallo, presidente dell’Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri, ha evocato quello che avrebbe potuto essere – ma il rischio non è scongiurato – uno degli effetti più vistosi, per noi che viviamo lontano dal fronte, della guerra in Ucraina e della conseguente crisi del gas.

L’allarme della filiera della carta
L’allarme, a dire la verità, era arrivato qualche settimana fa anche dalle imprese cartarie: energivore per definizione, sono state tra le prime vittime di questa crisi. Il 17 ottobre Assocarta e Assografici – in rappresentanza della filiera carta, stampa e trasformazione – insieme a SLC-CGIL, FISTeL-CISL e UGL Chimici hanno inviato una lettera congiunta agli allora ministri Cingolani, Giorgetti e Orlando: “Sono diverse le aziende cartiere che stanno già utilizzando la cassa integrazione per l’aumento eccezionale dei costi energetici, con il concreto rischio di arrivare a chiusure di siti produttivi, con il coinvolgimento a catena anche dell’intera filiera della successiva stampa e trasformazione”. Le associazioni lamentavano non solo danni economici, ma anche ambientali: “Da un lato l’arrivo sul mercato italiano di prodotti cartari da Paese extra-UE dove l’energia a basso prezzo si combina con normative ambientali non allineate ai mercati UE. Dall’altro rallentare o interrompere l’attività produttiva vuol dire bloccare l’economia circolare ovvero l’attività di recupero e riciclo sul territorio che dovrà gestire lo stoccaggio della carta da riciclare”. Secondo Lorenzo Poli, Presidente di Assocarta, “sono necessarie misure a livello europeo per ridurre i costi energetici ed evitare che un singolo Paese, come ad esempio la Germania, adotti interventi a livello nazionale o introduca un cap a livello di singolo Stato, che modificano la competitività in Europa e minano la stessa Europa sotto il profilo economico e politico”.

Crolla il prezzo del macero
“Il primo impatto sul settore – racconta a EconomiaCircolare.com Francesco Sicilia, direttore generale di Unirima – è stato, ad agosto, il collo dei prezzi delle quotazioni della carta da macero”. Leggiamo nel report che tra ottobre 2020 e aprile 2021 le quotazioni per il macero “sia della qualità 1.02.00 che quelle 1.04.02 (due tipologie di macero, n.d.r.) hanno subito un forte aumento. A partire da aprile 2021, i prezzi medi si sono poi stabilizzati intorno ad un valore medio di 108 €/ton per la qualità 1.02.00 e di 118,5 €/ton per la 1.04.02, scendendo raramente al di sotto dei 100 €/ton. Ad agosto 2022 si è avuto un brusco cambiamento di tendenza con le quotazioni che sono crollate toccando a settembre 40 €/ton per entrambe le qualità, con una riduzione del 69% rispetto al prezzo medio di luglio”.

Tra i fattori alla base di questo risultato “il fermo o forte rallentamento delle attività delle cartiere, connesso all’incremento dei prezzi dell’energia, che ha creato un contraccolpo sul nostro settore”, ricorda Sicilia. A parità di offerta, infatti, se la domanda si riduce il prezzo scende. Questo forte calo, prosegue il direttore generale di Unirima, “fortunatamente è stato in parte bilanciato dall’export: Nell’ultimo mese abbiamo incrementato le esportazioni proprio per far fronte a questo rallentamento a valle. Ed evitare contraccolpi sulla raccolta differenziata dei Comuni e delle attività economiche”. Nonostante il balzo dell’export, negli impianti c’è stato una sorta di effetto imbuto, coi piazzali zeppi di macero cui trovare una destinazione: “Per questo, ad inizio settembre abbiamo scritto alle Regioni, gli organi competenti in termini di autorizzazioni ambientali, chiedendo di aumentare gli stoccaggi a disposizione degli impianti. Non abbiamo ricevuto risposte. Ma, almeno finora, l’aumento dell’export e la nostra capacità impiantistica (600 impianti) che è ben superiore alla raccolta differenziata ed è molto diffusa e capillare, hanno permesso di reggere il colpo”.

Il crollo del prezzo del macero, aggiunge Sicilia, ha conseguenze anche sui prodotti finali: “Quando crolla prezzo carta da macero non è un vantaggio per l’economia”. Quando si abbassa il prezzo del macero, infatti, si riduce la remuneratività della materia prima seconda venduta per compensare i costi della raccolta, e quindi “ci potrebbe essere un aumento del contributo ambientale (CAC). Quando il prezzo del macero è basso, sale il CAC pagato dalle imprese che producono imballaggi. Un costo che ovviamente viene riversato a valle, sul consumatore”.

I numeri della filiera
“Il settore della carta da macero italiano è storicamente un punto di eccellenza dell’economia circolare”, si legge nel report Unirima. La produzione italiana della carta da macero è salita da 6,81 milioni del 2020 a poco meno di 7 milioni di tonnellate (6,998 milioni, per l’esattezza) del 2021(+3%). A fronte di una produzione di nuova carta pari a circa 9,62 milioni di tonnellate, il tasso di riciclo complessivo (non solo imballaggi) nel 2021 è pertanto pari al 72,8%. Quanto agli imballaggi, “l’obiettivo comunitario di riciclo al 2025 (75%) è già stato pienamente raggiunto nel 2009 e, a partire dal 2020, è stato superato anche il target al 2030 (85%). Il 2021 ha consolidato il trend, con un tasso di riciclo che si è attestato sull’85,08% e anche per il 2022 si stima il consolidamento del superamento dell’obiettivo dell’85% di riciclo degli imballaggi cellulosici”.

Il valore medio delle esportazioni dal 2007 al 2021 è pari a circa il 27% del totale della produzione di carta da macero. “L’Italia è da quasi vent’anni esportatrice netta di maceri, con un valore che è stato di 1,28 milioni di tonnellate nel 2021, a fronte di importazioni per 0,33 milioni di tonnellate”. Con il graduale sviluppo delle raccolte differenziate di carta e cartone, leggiamo ancora nel report “la capacità degli operatori del riciclo e del commercio ha garantito con le esportazioni uno sbocco al surplus di carta da macero rispetto al fabbisogno del Paese e, al contempo, di superare con largo anticipo gli obiettivi europei”.

Fonte: EconomiaCircolare.com

Rifiuti tessili, dal consorzio Ecotessili un progetto pilota di raccolta

In attesa dei decreti attuativi i distributori e gli importatori di prodotti tessili si stanno attivando per avviare una filiera dedicata

La filiera per la raccolta, riutilizzo e riciclo dei rifiuti tessili si sta organizzando. In attesa di conoscere le modalità operative che saranno introdotte con i decreti attuativi, i produttori, i distributori e gli importatori di prodotti tessili si stanno attivando per avviare una filiera dedicata. Ecotessili, consorzio nato per la gestione del fine vita dei prodotti tessili, promosso da Federdistribuzione e da importanti insegne aderenti alla Federazione della distribuzione moderna e costituito nell’ambito del Sistema Ecolight – al quale fanno riferimento anche i consorzi Ecolight (per la gestione dei RAEE e delle pile), Ecopolietilene (per la gestione dei rifiuti da beni in polietilene), Ecoremat (per la gestione di materassi e imbottiti a fine vita) e la società operativa Ecolight Servizi – si pone in prima linea in questa nuova sfida, con l’obiettivo di mettere in campo modalità di raccolta di questi prodotti che garantiscano la tracciabilità e la circolarità ambientale, con la massima efficienza possibile.

In autunno darà vita a un progetto pilota di raccolta che vedrà il coinvolgimento di realtà già oggi impegnate nella gestione dei prodotti tessili dismessi, iniziativa che andrà a inserirsi nelle azioni per la Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti (SERR), in programma dal 19 al 27 novembre e dedicata proprio ai rifiuti tessili.

«In attesa del quadro operativo di riferimento, il consorzio si sta attivando per individuare delle modalità di raccolta dei tessili che possano essere efficienti ma soprattutto efficaci – annuncia il direttore generale di Ecotessili, Giancarlo Dezio -. Di fatto, il primo passo per una gestione corretta di queste tipologie di prodotti dismessi, per impostare una raccolta che sia capillare e di qualità. In collaborazione con alcuni importanti partner, stiamo lavorando su un progetto pilota che possa tracciare un percorso in questo nuovo sistema di raccolta, riutilizzo, riciclo».

I rifiuti tessili in circolazione sono molti: secondo l’ultimo rapporto pubblicato da McKinsey, “Scaling textile recycling in Europe – turning waste into value”, ogni cittadino europeo produce più di 15 kg di rifiuti tessili in un anno e questi hanno prevalentemente come destinazione finale la discarica o l’inceneritore.Il consorzio Ecotessili inoltre sta registrando in questo momento un importante incremento dei propri consorziati.

«È il segno tangibile dell’attenzione che c’è da parte delle aziende del settore al tema della corretta gestione dei rifiuti – osserva il dg -. È un’attenzione che non risponde solamente all’obbligo normativo che affida a produttori e distributori la responsabilità della gestione dei rifiuti derivanti dai loro prodotti, ma è indice di una crescente sensibilità nei confronti dei temi ambientali, in un contesto di reale transizione ecologica».

Fonte: Il Sole 24 Ore

Nuovo decreto per la regolamentazione degli scarti edili

Dal 15 luglio 2022, come conseguenza del nuovo decreto firmato da Cingolani, gli scarti e i vari materiali derivanti dall’edilizia smettono di essere considerati rifiuti e diventano riciclabili secondo determinate condizioni.

Nel decreto sono infatti presenti tutta una serie di punti che specificano le condizioni di sicurezza che permetteranno di trattare in sicurezza circa 70 milioni di tonnellate di rifiuti edili presenti in Italia.

È un provvedimento molto atteso dalla filiera e sono stati dedicati 180 giorni dall’entrata in vigore per comunicare gli adeguamenti o presentare eventuali istanze di aggiornamento. Nessun cambiamento invece per tutte le procedure di recupero e per i materiali derivanti da tali attività che già erano stati autorizzati e che potranno continuare ad essere utilizzati.

Gli aggregati recuperati dovranno essere destinati per lavori specifici come sottofondi ferroviari o stradali, recuperi ambientali etc ma non sarà ammesso l’uso di rifiuti dalle attività di costruzione e di demolizione abbandonati o sotterrati.

Si rimanda al seguente link per scaricare la bozza del decreto: http://www.appa.provincia.tn.it/news/-Aggiornamenti/pagina558.html

Rischio diossina a Malagrotta? Chiusi asili e centri estivi

È sotto controllo l’incendio scoppiato ieri nel sito di stoccaggio di combustibile derivato da rifiuto (cdr) che ha anche interessato le balle di rifiuti ed il Tmb2, l’impianto di trattamento meccanico-biologico appartenente alla E. Giovi che tratta giornalmente 900 tonnellate di rifiuti. 

Grazie all’intervento di 70 persone e 12 mezzi dei vigili del fuoco al lavoro da ieri e durante tutta la notte, sembra che il peggio sia passato ma rimane il pericolo riguardante le nubi tossiche che si sono liberate durante il rogo. È infatti in allarme l’Ordine dei dottori agronomi e forestali della provincia riguardo ad un possibile deposito di queste sostanze tossiche sui campi destinati all’economia agricola, la quale sarebbe ovviamente danneggiata pesantemente. 

Il Campidoglio e l’Agenzia regionale per l’ambiente si sono subito mosse raccomandando ai cittadini residenti entro 1 km di tenere chiuse le finestre e di non utilizzare i condizionatori in attesa delle verifiche ambientali che si avranno nelle prossime ore. L’ASL ha disposto il divieto di qualsiasi attività all’aperto nell’area di 6 km adiacente il sito dell’incendio, andando a sospendere anche le attività di asili nido, scuole materne e centri estivi, sia pubblici che privati. L’ARPA sta posizionando una serie di stazioni per la verifica della qualità dell’aria. 

Un seminario a Roma per fare chiarezza sul vuoto a rendere e sulle iniziative di greenwashing dell’uso di plastica a perdere

Negli ultimi anni, a seguito di una crescente cultura riguardante la sensibilità ambientale, assistiamo a sempre più aziende che vogliono dimostrare di essere green attraverso mirate campagne promozionali, senza però effettuare dei reali investimenti per diminuire effettivamente l’impatto ambientale dei propri prodotti o processi produttivi. Questo fenomeno viene chiamato greenwashing e non ha origini recenti ma si possono trovare esempi già dagli anni ’80. In questo articolo intendiamo analizzare criticamente quanto viene operato quotidianamente dalle lobby che tutelano gli interessi delle più grandi aziende che usano o producono materie plastiche destinate a oggetti usa e getta. È infatti un fenomeno in aumento la diffusione di fake news nelle quali vengono negati gli enormi problemi derivanti dal sempre maggiore consumo di plastica a perdere, poiché tali materiali vengono presentati come teoricamente riciclabile oppure biodegradabili. In più vi sono molti esempi di come le aziende cercano di condizionare i potenziali clienti con politiche green o l’uso di parole o colori che ci portano a pensare ad un qualcosa di sostenibile per intercettare quella crescente fetta di consumatori che cominciano ad essere sempre più attenti verso la sostenibilità dei prodotti che intendono acquistare.

La multinazionale Coca Cola, ad esempio, con la sua ultima linea, definita Life, ha usato il verde al posto del classico rosso sulle etichette e recentemente ha presentato, con il supporto di varie testate giornalistiche, i propri contenitori a perdere come prodotti ecosostenibili solo perché viene utilizzata una piccola quota di plastica da riciclo e il tappo rimane ora più facilmente legato alla bottiglia come evidenziato in un recente articolo della testata “Greenme”[1] che ha coerentemente rifiutato di collaborare con tale azienda.

Queste iniziative di greenwashing contribuiscono al sempre più preoccupante aumento del consumo di plastica usa e getta, poiché sono assai poche le testate giornalistiche che informano correttamente i propri lettori sulla percentuale realmente riciclata di materia plastiche che è quasi nulla nel terzo mondo, estremamente bassa negli Stati Uniti e comunque piuttosto limitata anche in Europa. I dati parlano chiaro, rispetto a 20 anni fa il consumo di plastica è almeno raddoppiato e nel 2019 la filiera della plastica ha prodotto 460 milioni di tonnellate di plastica, circa il doppio rispetto alle 234 milioni di tonnellate immesse nei mercati nel 2000. Solo il 9% dei rifiuti in plastica mai creati è stato finora riciclato secondo i criteri dell’economia circolare mentre il resto viene incenerito (circa il 19%) o smaltito in discariche legali (circa il 22%) mentre la restante quota continua ad accumularsi in giro per il mondo, nei mari o in discariche non controllate a cielo aperto (dati OCSE). Ciclicamente compaiono notizie relative ai miracolosi enzimi mangia plastica, descritti spesso come la soluzione presto disponibile per risolvere definitivamente il problema della plastica nei mari o in generale sul pianeta, senza però specificare che tali enzimi funzionano, per ora, solo a livello sperimentale in alcuni laboratori, solo con il Polietilentereftalato (le plastiche denominate PET usate per alcuni tipo di contenitori) e pochi altri polimeri rispetto alle migliaia di tipi oggi in commercio e comunque tali enzimi non fanno scomparire nel nulla tali plastiche poiché agiscono solo degradando i polimeri in monomeri da trattare industrialmente per essere utilizzati nella produzione di nuove plastiche partendo da questi ultimi. Rimane quindi il problema della reale industrializzazione di tali processi di degradazione e riciclo e della moltitudine di plastiche per le quali non sono attualmente nemmeno allo studio enzimi in grado di degradarla nei monomeri di base.

Il direttore di ESPER, Attilio Tornavacca, ha recentemente pubblicato un articolo di approfondimento su questa tematica in cui, pur augurandosi che le tecnologie di uso degli enzimi a livello sperimentale vengano al più presto realmente sviluppate a livello industriale, ha evidenziato che “sarebbe quindi necessario che alcune testate giornalistiche ponessero in futuro maggiore attenzione al rispetto dei propri codici deontologici controllando più rigorosamente i titoli dei propri articoli su questi temi che rasentano in alcuni casi, spesso inconsapevolmente ed in buona fede, il cosiddetto Greenwashing”.

In caso contrario sarà infatti sempre più difficile far comprendere ai consumatori che non è più procrastinabile un cambio di abitudini per tutelare le prossime generazioni dal quotidiano sempre maggiore aumento delle plastiche disperse nel nostro pianeta (ripristinando ad es. il vuoto a rendere e cercando di evitare di consumare prodotti usa e getta).

Segnaliamo quindi che, per approfondire e diffondere la pratica del vuoto a rendere, è stato organizzato nella mattinata del prossimo 7 giugno 2022 (dalle 10:15 presso la Sala Capranichetta, in Piazza di Montecitorio 125) il primo convegno nazionale dedicato ai Sistemi di Deposito Cauzionale. Interverranno Enzo Favoino della Scuola Agraria del Parco di Monza, Coordinatore Scientifico della campagna “A buon Rendere”, Duccio Bianchi, fondatore di Ambiente Italia e Clarissa Morawski, Fondatrice e Amministratrice Delegata di Reloop, Piattaforma europea multi-stakeholder che promuove politiche e modelli di business basati sull’uso consapevole e circolare delle risorse.


[1] https://www.greenme.it/telegram/coca-cola-non-basta-il-tappo-della-bottiglia-che-non-si-stacca-quando-riempi-il-mondo-di-plastica/