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I rifiuti di Roma a Napoli?

Era Venerdì 9 aprile quando sui maggiori quotidiani nazionali ha iniziato a rimbalzare una notizia che aveva dell’ìincredibile: la Città di Roma chiedeva una disponibilità ad aziende Campane per il conferimento di rifiuti indifferenziati.

“La Sapna, società provinciale per la gestione dei rifiuti della Città metropolitana di Napoli, ha ricevuto una richiesta da parte della Regione Lazio e di Ama Roma per il conferimento di circa 100 tonnellate al giorno di rifiuto indifferenziato a causa della situazione d’emergenza dei rifiuti che vive la città di Roma dopo la chiusura di un impianto nel Frusinate. Lo apprende l’Ansa da fonti qualificate della Città metropolitana. La richiesta è datata 2 aprile. Al momento Sapna, d’intesa con la Città metropolitana, ha in corso una valutazione tecnica per verificare l’accoglibilità della richiesta” scriveva La Repubblica.

Quasi immediata la risposta di AMA: “Risulta attualmente già superata l’opzione Napoli per l’invio di 100 tonnellate di rifiuti indifferenziati al giorno. Ama, come comunicato all’ente Regione Lazio, ha infatti trovato ulteriore capienza presso un proprio fornitore fuori regione già contrattualizzato e attivo. Come richiesto dalla Regione all’interno dell’Ordinanza Z10 dello scorso primo aprile, per gravare meno sul ciclo dei rifiuti regionale e risolvere le problematiche causate dalla chiusura della seconda discarica in 18 mesi (dopo Colleferro ora anche Roccasecca), l’azienda ha perlustrato vari possibili sbocchi cercando tutte le soluzioni possibili”.

Varia dunque la destinazione finale, che per molti analisti aveva il sapore della beffa, non il succo del discorso: Roma e Ama sono in emergenza, non dispongono più di impianti in grado di accogliere i rifiuti indifferenziati e devono rivolgersi ad impianti fuori regione. Intanto la Capitale è ferma al 45% di raccolta differenziata (20 punti percentuali al di sotto degli obiettivi previsti al 31 dicembre 2012), ben lontano dal 70% promesso ai suoi esordi dalla giunta uscente.

A pesare secondo Legambiente il passo indietro sul porta a porta in alcune zone della città sostituito dai cassonetti, le micro e macro discariche, quella storica mancanza di impianti di smaltimento sul territorio “con un milione di tonnellate all’anno che finiscono, altrove, in discariche e termovalorizzatori”. Una rotta da invertire “abbattendo l’indifferenziato procapite e applicando la tariffazione puntuale secondo il principio ‘chi inquina paga’.” Una sfida nella quale si inserisce, sottolinea Legambiente, “il bisogno di impianti per l’economia circolare sui territori, a partire dai Biodigestori Anaerobici per l’organico”. SC.

Il mercato dei rifiuti non esce dalla crisi

“Dottò, la monnezza è oro” è la celebre frase del pentito di camorra Nunzio Perrella ai magistrati di Napoli che lo interrogavano nel 1992. Oggi questa frase rischia di tornare ancora d’attualità a causa di un contesto difficilissimo che sta vivendo il mercato dei rifiuti in Italia. Siamo infatti in una crisi senza precedenti dovuta alla mancanza di sbocchi, sia della frazione indifferenziata e residuale (purtroppo ancora consistente) sia dei materiali riciclabili. Questo sta facendo lievitare i prezzi di smaltimento (e deprezzare il valore dei materiali) in alcuni casi anche del 50-60% e in tali situazioni è più facile per la criminalità insinuarsi offrendo prezzi a buon mercato, come già accaduto in passato.

Si è arrivati a questo scenario per due ordini di motivi. Da un lato la saturazione degli spazi nelle discariche ma soprattutto negli inceneritori, cioè gli unici impianti di smaltimento finale che possono trattare i rifiuti non differenziati della raccolta urbana ma anche delle aziende e il residuale che rimane dopo le attività di selezione propedeutiche al riciclo.

Il problema viene da lontano e cioè dal DL 133/2014, cd.”Sblocca Italia” (poi convertito nella legge 11 novembre 2014, n.164) che all’art. 35 autorizza gli inceneritori non solo ad ampliare i volumi fino a saturazione del carico termico ma anche a trattare i rifiuti extraregionali. Una manna dal cielo per questi impianti che, causa l’aumento delle raccolte differenziate e il principio di prossimità, rischiavano di restare senza lavoro; ma anche per le regioni e comuni del Sud, da sempre meno virtuosi. Ciò ha comportato lo spostamento di centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti verso il settentrione, con il risultato di una saturazione degli impianti.

Secondo il rapporto Ispra 2018, i rifiuti inceneriti al Nord sono passati dalle 4.082.786 tonnellate del 2013 alle 4.469.251 del 2017. Nello stesso anno – sempre secondo il rapporto – solo la Lombardia ha ricevuto 300 mila tonnellate dalle regioni meridionali, Lazio (101 mila), Campania (52 mila), Abruzzo (33 mila). Il paradosso è che ora i rifiuti lombardi, nonostante i 13 inceneritori, devono trovare sbocchi in altre regioni oppure oltre confine. La saturazione operata dai rifiuti dei Comuni, ai quali viene data priorità, blocca poi anche il settore degli speciali prodotti dalle aziende, aspetto non secondario se consideriamo che in realtà i rifiuti speciali sono il triplo di quelli urbani.

La conseguenza di tutto questo è una regola base del mercato: quando aumenta la domanda e si riducono i posti, i prezzi crescono. Si stima un aumento medio del 30%, con picchi del 50-60% e oltre. Se fino all’estate scorsa un’attività commerciale pagava per smaltire il suo rifiuto non differenziato assimilabile all’urbano tra i 130 e 150 euro a tonnellata, oggi per lo stesso rifiuto si va dai 180 ai 250 euro. Di riflesso, c’è un problema discariche al Sud. Nonostante l’opportunità degli inceneritori del Nord Italia ed le esportazioni (parte dei rifiuti della Campania vanno ad esempio in Portogallo), le discariche rappresentano nel meridione ancora la principale soluzione per gestire l’enorme mole di rifiuti indifferenziati causa del ritardo sulla raccolta differenziata. E anche qui i costi di conferimento stanno lievitando.

Parallelamente, si è abbattuta sul settore un’altra enorme congiuntura negativa: il crollo delle vendite dei materiali oggetto di selezione e destinati all’industria estera del riciclo (es. carta e plastica). L’ultima volta era accaduto dieci anni fa con il valore della carta arrivato a zero. Ma se nel 2008/2009 si era trattato di una fase passeggera dovuta alla crisi mondiale, questa volta il problema è più strutturale perché legato alla drastica riduzione della domanda da parte della Cina, il paese che teneva in piedi il mercato mondiale dell’esportazione. Pechino ha annunciato la svolta green, non vuole più essere la discarica del mondo perchè solo una minima parte dei materiali importati veniva effettivamente riciclata.

Un bel guaio perché il nostro mercato interno non si è strutturato per un’evenienza del genere. Fino al 2017 l’Italia esportava lì oltre il 50% della carta e anche di più per la plastica. Oggi la carta si è ridotta moltissimo e la plastica quasi a zero. Si sono aperti canali alternativi in altri paesi come Thailandia, India, Indonesia ma la richiesta è molto inferiore. Un’altra via è quella della Germania, ma solo di carta per la stampa. La Cina in realtà non ha chiuso i rubinetti, solo non accetta più tutto come prima, ora avviene una rigida selezione della qualità prima della partenza. I controlli sono affidati ad un unico ente, il CCIC di Marsiglia, che ispeziona tutti i carichi e la percentuale di tolleranza delle impurità è bassissima (tra 0,1 e 0,5%); molti imprenditori per non rischiare non fanno più spedizioni. Questo fa sì che i materiali si accumulano negli impianti e aumenta il rischio roghi. Gli incendi dell’ultimo anno hanno infatti interessato sia gli impianti abusivi che quelli regolari che avevano i piazzali pieni di carta e plastica in attesa di piazzarli sul mercato.

Come se ne esce? Per prima cosa abbiamo bisogno degli impianti. Fino a che non avremo raggiunto livelli altissimi di sostenibilità ambientale, a cominciare dalla raccolta differenziata, l’Italia ha bisogno di impianti di trattamento dei rifiuti, un “male necessario”, solo grazie al quale si può uscire dalla continua emergenza, avere una gestione controllata dei rifiuti e superare l’anacronismo inaccettabile della discarica. Per impianti non si intendono solo quelli di smaltimento ma soprattutto di recupero, dove i rifiuti vengono selezionati e avviati a recupero cioè a riciclaggio di materia. Occorre dunque semplificare la burocrazia che oggi rallenta il rilascio delle autorizzazioni, superando anche pregiudizi ideologici. Certo, le autorizzazioni si devono accompagnare anche a prescrizioni tecniche precise e inderogabili a tutela della salute (ad esempio l’indicazione di delle migliori tecnologie per l’abbattimento dei fumi o degli odori) e a controlli e punizione certa per i trasgressori. Solo così si potrà riconquistare la fiducia dei cittadini. Contemporaneamente urge incentivare in tempi rapidissimi la raccolta differenziata ben oltre il 65% (bisognerebbe arrivare all’80%) nonchè la riduzione a monte dei rifiuti, attraverso riparazione e riutilizzo, end of waste, riduzione degli imballaggi, progressiva sostituzione della plastica con materiali più ecocompatibili, in due parole quella che si chiama economia circolare. Questo è il futuro ma solo quando lo avremo realizzato potremo dire di non aver più bisogno di inceneritori ed altro. Con la consapevolezza di una corsa contro il tempo perchè ogni giorno che passa con costi di smaltimento alle stelle è un’opportunità per i criminali dell’ambiente.

Angelo Brancaccio
Fonte: GreenReport

Il Marocco si ribella ai rifiuti: “Non siamo la discarica d’Italia”

«Non siamo la discarica dell’Italia». La frase chiara e sintetica è indirizzata al nostro Paese da un’imponente mobilitazione della società civile marocchina. La petizione sul sito change.org ha già raccolto oltre 10mila firme, che salgono di ora in ora, conquistando sostenitori al grido di «l’Africa non può diventare la pattumiera dell’Europa».

Ormai non si parla d’altro, in Marocco. I rifiuti italiani spediti nel Paese maghrebino per essere smantellati da due settimane sono diventanti un caso nazionale, con tanto di interrogazioni parlamentari per far tornare a casa nostra le 2500 tonnellate di ecoballe, per ora parcheggiate nel porto di El Jadida.

Il Marocco che avanza su più fronti come leader in Africa e partner per la sponda nord del Mediterraneo, è lo stesso Paese dove convive un’altra contraddizione.

La triste fotografia di un’incontenibile invasione di rifiuti e buste di plastica a sfregiare i suoi angoli più belli, compresa la sua invidiabile costa atlantica. Meraviglie e mostruosità, natura seppellita dal consumismo sfrenato. Un binomio che ha allarmato non pochi analisti. Una piaga che diverse associazioni per la tutela dell’ambiente stanno combattendo non solo con l’educazione civica, ma anche facendo pressione al legislatore.

Ne è d’esempio la campagna ZeroMika, «niente più buste di plastica». Dal 1° luglio in Marocco non si può più né produrre né vendere o utilizzare buste di plastica. Un’iniziativa quasi impossibile in un Paese dove il settore produttivo della plastica è tutt’altro che secondario. La tutela dell’ambiente è diventata quindi per il Paese il grande tema. Non a caso a novembre verrà accolta la conferenza della COP22 proprio nella città marocchina di Marrakech.

«Ma come si fa a organizzare la Cop22 e poi importare i rifiuti dall’Italia?» è la domanda che gira sui profili social dei marocchini in collera e indignati contro la ministra dell’ambiente Hakima El Haite, accusata di vendere il territorio senza badare alle conseguenze sulla salute dei cittadini.

Già, la salute dei cittadini. Perché le Ecoballe dall’Italia, secondo i quotidiani locali, arriverebbero dalla regione Campania e precisamente dal sito di Taverna del Re, che si trova tra Caserta e Napoli. Un enorme carico, si legge sui quotidiani marocchini, di materiale plastico, pneumatici e di rifiuti derivati da combustibili. Quanto basta per allarmare gli ambientalisti marocchini che vogliono vederci chiaro e hanno chiesto l’intervento del gabinetto reale, perché il Paese «non diventi il centro di raccolta della spazzatura internazionale».

Fino ad ora la ministra non ha dato risposte convincenti, oltre ad aver cambiato versione due volte, come racconta il quotidiano al Ahdath. Inoltre, è stata lasciata sola dal suo partito oltre che dal governo, in una vicenda che si sta trasformando in un vero e proprio scandalo nazionale.

Infatti, se prima aveva assicurato con un comunicato che era tutto nella norma, adesso ha dichiarato alla stampa che il carico è ancora sospeso perché deve passare due test per verificarne la pericolosità.

Molte ombre, dunque, mentre l’Italia in queste due settimane di certo non sta godendo di una buona nomea, non solo per il silenzio assordante sul caso. Solo ieri il Pd alla Camera – con i deputati Khalid Chaouki, Eleonora Cimbro, Chiara Braga e Floriana Casellato – ha chiesto al ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, di «procedere a un’approfondita verifica della vicenda al fine di chiarire quale tipologia di rifiuti sarebbero arrivata nel porto marocchino e se questi rifiuti siano in linea con i parametri internazionali relativi al loro smaltimento».

Troppo tardi anche perché il nostro Premier, Matteo Renzi, che ancora deve fare la sua visita ufficiale in Marocco, i cittadini marocchini lo stanno conoscendo in queste ore sui social dopo il suo tweet “Via le ecoballe dalla Terra dei Fuochi. Via la camorra da gestione rifiuti. Finalmente si fa sul serio #lavoltabuona”, tradotto in arabo e in francese. E non è un buon bigliettino da visita.

fonte: La Stampa

Rifiuti, revisione direttiva europea. Terminata consultazione pubblica a metà settembre

di Giuseppe Miccoli

Nell’ambito dell’economia europea esiste “un potenziale non sfruttato”: sono i rifiuti che finiscono in discarica o che vengono inceneriti. Perciò la Commissione Europea ha deciso di introdurre nuovi e stringenti obiettivi in tema di prevenzione, riciclaggio e incenerimento. Per il Comitato delle regioni dell’UE (CdR) “entro il 2025, riciclaggio al 70%”. Per l’ACRplus l’Associazione delle Città e Regioni: “Favorevole alla messa al bando dell’incenerimento”

Nell’ambito dell’economia europea esiste “un potenziale non sfruttato”: sono i rifiuti che finiscono in discarica o che vengono inceneriti. Da qui l’esigenza da parte della Commissione Europea di introdurre nuovi e stringenti obiettivi europei in tema di prevenzione, riciclaggio e incenerimento. E’ per questo motivo che durante il periodo 2013-2014, si procederà a una revisione legislativa della attuale politica dei rifiuti. Si effettuerà anche una valutazione ex-post delle direttive tuttora vigenti comprese le modalità per migliorarne la coerenza. L’iter ha avuto inizio a giugno quando la Commissione europea ha disposto (per un periodo di quindici settimane) una consultazione pubblica sulla revisione degli obiettivi di gestione dei rifiuti. I risultati, che saranno pubblicati prossimamente sul sitohttp://ec.europa.eu/environment/, contribuiranno all’elaborazione di una nuova proposta legislativa. Erano attesi suggerimenti da parte di cittadini, imprese, Ong ed enti pubblici al fine di porre obiettivi sempre più ambiziosi alle amministrazioni pubbliche.

Ma qual è la situazione legislativa? Le normative europee attualmente in vigore sui rifiuti urbani, sulle discariche e sugli imballaggi, (rispettivamente Dir. 2008/98/CE, Dir. 1999/31/CE e la Dir. 94/62/CE) avevano posto una serie di obiettivi importanti sul riutilizzo e di riciclaggio dei rifiuti e di riduzione dello smaltimento nelle discariche, stabilendo ad esempio, che entro il 2020 dovessero essere riciclati o riutilizzati almeno il 50% dei rifiuti urbani e domestici e almeno il 70% dei rifiuti da costruzioni e demolizioni. Molti di questi obiettivi in particolare nel sud Italia, non sono ancora stati raggiunti. Un ritardo in parte dovuto ai bassi costi di smaltimento delle discariche. Ma la situazione è a macchia di leopardo. Nelle zone in cui è in funzione un impianto di selezione e trattamento dei rifiuti indifferenziati, il costo della filiera dell’indifferenziato è allineato alla media italiana e determina la convenienza a introdurre sistemi di raccolta differenziata porta a porta.

Eppure, come la Commissione ha indicato nella “Road map per l’efficienza delle risorse” del novembre 2011 [COM(2011) 571 final, ndr], esiste tuttora “nell’ambito dell’economia europea un potenziale non sfruttato”. Sono i rifiuti che finiscono in discarica o inceneriti. Secondo Eurostat, infatti, ogni anno in Europa si buttano 3 miliardi di tonnellate di rifiuti (di cui 90 milioni di tonnellate sono rifiuti pericolosi). Ogni cittadino europeo produce annualmente circa 6 tonnellate di rifiuti (in Italia la media 2013 per i soli rifiuti urbani è pari a circa 504 chili per abitante). Sebbene ad aumentare la media siano i rifiuti dei paesi dell’Est Europa, grandi produttori di rifiuti inerti che poi finiscono nelle discariche e nelle statistiche cittadine, è pur vero che è nelle città d’Europa occidentale che si gioca la partita più difficile, in cui si concentrano le materie “pregiate” che in genere finiscono negli inceneritori (plastica, carta e cartone, legno e rifiuti organici) e che possono essere interamente recuperate e riciclate. Ne è convinto ad esempio l’Istituto per la Promozione delle Plastiche da Riciclo.

“Brutta” aria per gli inceneritori. Durante la sessione plenaria del 3 e 4 luglio 2013, alla presenza del commissario europeo per l’Agricoltura Dacian Ciolo il Presidente del Comitato delle regioni dell’UE (CdR), Ramon Luis Valcárcel Siso e il membro del parlamento della comunità francese Michel Lebrun (BE/PPE), hanno presentato il parere sul tema “Il riesame degli obiettivi chiave dell’unione europea in materia di rifiuti” che invoca l’introduzione di un unico metodo per la contabilità dei rifiuti e propone di stabilire obiettivi più rigorosi in materia di gestione e di riciclaggio. Il comitato è favorevole a portare al 70% entro il 2025, l’obiettivo obbligatorio attuale in materia di riciclaggio dei rifiuti solidi urbani. In tema di incenerimento si propone “vietare l’incenerimento dei rifiuti riciclabili e organici entro il 2020, escludendo gli impianti che raggiungono alti livelli di efficienza attraverso la produzione di calore o la produzione combinata di calore ed elettricità, tenuto conto delle caratteristiche fisico-chimiche dei rifiuti”.

Posizioni ancora più restrittive, sullo stesso tema, le esprime l’ACRplus, l’Associazione delle Città e Regioni per il riciclaggio e la gestione sostenibile delle Risorse (ACR +) che non solo supporta “il parere adottato dal Comitato delle regioni dell’UE (CdR)”, ma “sottolinea il fatto che gli obiettivi sono essenziali nelle politiche dei rifiuti”. Per Acr+ l’Unione europea deve introdurre entro il 2020, l’obiettivo del 100% di raccolta differenziata porta a porta, obiettivi per il riciclaggio di materie plastiche del 70 % e per il vetro, metallo, carta , cartone e legno all’80 %. Ancora bisogna introdurre il divieto di discarica per tutti i rifiuti biodegradabili (umido e verde) e infine, “banning the incineration of recyclable waste (including biowaste) by 2020”: il divieto di incenerimento per tutti i rifiuti urbani.

tratto da Eco dalle Città