Articoli

Da mascherine e guanti nasce un nuovo asfalto plastico

Il nome Supra a tanti appassionati di auto fa subito balzare in testa il nome di un mito dell’automobilismo ma, da oggi, S.U.P.R.A. diventa anche il nome di ciò su cui questa auto sfreccia. Dall’idea e dal progetto di 3 atenei, E-Campus, Tuscia di Viterbo e Università di Bologna, nasce un nuovo asfalto denominato “Single Use Ppe Reinforced Asphalt”, che identifica un materiale rinforzato dall’uso di mascherine e guanti in lattice o plastica, oggetti che oggigiorno si buttano nei rifiuti indifferenziati e che finiscono il loro ciclo con lo smaltimento in discarica o negli inceneritori. Questi oggetti vivono una nuova vita grazie ad un processo di recupero dei materiali, molto utili per rendere il tradizionale asfalto più duraturo e di una qualità maggiore, tutto ciò significa un risparmio per le varie amministrazioni ed anche un utilizzo minore di materie prime.

Coronavirus, riapertura scuole: ‘Distribuiremo 11 milioni di mascherine al giorno, sono un’arma indispensabile’

La data fissata dal Ministero dell’Istruzione per la ripresa della scuola, salvo cambiamenti causati dall’innalzamento dei contagi, è il 14 settembre. Il 29 agosto il Comitato tecnico scientifico si riunirà per analizzare gli indici epidemiologici ed effettuare un bilancio regione per regione. Uno dei punti fondamentali per la ripresa delle lezioni in presenza è l’uso delle mascherine. Fino alla scorsa settimana il Cts aveva ribadito di considerarle “una misura emergenziale” e che il distanziamento fisico sarebbe rimasto “uno dei punti di primaria importanza nelle azioni di prevenzione del contenimento epidemico”. 

Adesso le cose son cambiate. Davanti al crescere dei contagi il Comitato, riunito con la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, il Commissario straordinario per l’emergenza Covid Domenico Arcuri, i rappresentanti di Uffici scolastici regionali, Anci e sindacati della scuola, hanno deciso per un uso esteso delle mascherine in classe. “Sopra i sei anni – ha affermato il coordinatore del Cts Agostino Miozzo a SkyTg24 – sarà richiesto, in Italia come in altri Paesi, che ci imponiamo l’uso della mascherina e il distanziamento. Poi ci saranno condizioni particolari, come l’uso se c’è un ragazzo non udente in classe e momenti del contesto locale che saranno valutati”. La mascherina sarà abbassata durante una interrogazione, a mensa o mentre si farà ginnastica, ma l’indicazione generale è di usarla.

I numeri, chiaramente, sono esorbitanti: “Distribuiremo 11 milioni di mascherine gratuite al giorno alla totalità delle scuole del paese per metterle a disposizione di studenti e personale” – ha dichiarato il commissario all’emergenza Covid Domenico Arcuri – “Distribuiremo 170 mila litri di gel igienizzante la settimana così rispondendo ai 3 requisiti di base: protezione individuale igienizzazione mani e screening: una operazione che pochi paesi hanno attuato molto onerosa”. 

In un’intervista al Corriere della Sera Miozzo ha aggiunto: “Le mascherine sono un’arma indispensabile, sono uno dei pilastri della prevenzione. Come usarla correttamente? Se il docente è certo che i bambini siano seduti e distanziati, ad esempio durante un compito in classe o l’interrogazione, allora potrà consentire di abbassarla. Chi si muove in classe deve indossarla, i movimenti vanno protetti. C’è differenza tra staticità e mobilità. No la mascherina a mensa o in palestra, fermo restando il metro di distanza”.

Non è ancora chiaro se le mascherine distribuite saranno usa e getta oppure riutilizzabili, ma è quasi scontato che si tratterà di quelle chirurgiche monouso, anche se verrà data la possibilità ai ragazzi di usare mascherine in tessuto proprie, come scritto nel verbale del Cts del 12 agosto:

Tuttavia facendo un rapido calcolo sulle sole mascherine che verranno distribuite: una mascherina chirurgica pesa all’incirca cinque grammi, 11 milioni per cinque  fa 55 milioni di grammi, ovvero 55 tonnellate di mascherine al giorno. 

Fonte: Eco dalle Città

Da Enea l’idea di una filiera circolare e Made in Italy per le mascherine

Una nuova filiera circolare, tutta italiana, per le mascherine ad uso civile, dalla produzione al riciclo. La proposta arriva da Enea – Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile che ha ideato un progetto per rispondere a problematiche emergenti che vanno dalla necessità di approvvigionamento al rischio di abbandono nell’ambiente dei dispositivi oltre che alla necessità di offrire una spinta al sistema produttivo.

Economia circolare ed ecodesign le parole d’ordine. Claudia Brunori, responsabile della divisione Uso efficiente delle risorse e chiusura dei cicli, dipartimento Sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali, descrive all’Adnkronos il “progetto per la filiera circolare delle mascherine ad uso civile: l’idea è quella di realizzare una filiera che va dalla progettazione alla produzione, dalla raccolta al riciclo fino alla re-immissione nel ciclo produttivo del materiale riciclato”.

“Si tratterebbe di una filiera completamente nuova ma necessaria sia per motivi sanitari sia ambientali, perché contribuirebbe ad evitare il rischio di dispersione di mascherine nell’ambiente. Oltre ad essere un’opportunità di buona pratica di lavoro e di riconversione delle attività produttive”, continua.

Primo step: pensare ai materiali e all’efficacia in termini di capacità di filtrazione e traspirabilità visto che vengono indossate anche per ore. “I materiali che di norma vengono utilizzati nelle mascherine chirurgiche sono dei polimeri plastici, polipropilene, poliestere, polietilene – spiega Brunori – Poi c’è l’elastico, il ferretto per stringere la mascherina sul naso. Quindi ci possono essere una serie di materiali che rendono il successivo riciclo economicamente non sostenibile. L’unica possibilità di smaltimento, stando pure a quelle che sono le indicazioni, è di conferire tutto nell’indifferenziato. Non è possibile una valorizzazione”.

Secondo elaborazioni Ispra, la produzione calcolata fino a fine 2020 si attesterebbe tra le 60mila e le 175mila tonnellate di rifiuti. “Stiamo parlando potenzialmente di 35-40 mln di mascherine – spiega – che devono essere conferite tutti i giorni nei rifiuti indifferenziati” e anche se c’è “la possibilità di smaltirli”, perché “a livello di peso non si tratta di una quantità elevata rispetto a quello che finisce normalmente nell’indifferenziata, l’obiettivo del progetto è però quello di trarre una opportunità sostenibile dall’attuale criticità”.

Da qui l’idea: “Si tratta di produrre dei filtri monouso, in grado di garantire le caratteristiche che attualmente hanno le mascherine chirurgiche, composti da un solo materiale, in particolare polipropilene che presenta le prestazioni migliori in termini di traspirabilità e filtrazione. I filtri andrebbero poi inseriti in mascherine lavabili e riutilizzabili. Quindi filtri senza elastico e nasello ma inseriti in una mascherina fissa, non usa e getta”.

Una volta utilizzati “i filtri potrebbero essere conferiti in punti di raccolta come quelli dei farmaci scaduti magari presso farmacie o supermercati o in altri luoghi. Contenitori smart che siano in grado di riconoscere il filtro, sanificarlo e contabilizzarlo associandolo a chi lo ha conferito, affinché si possano elaborare anche forme di incentivazione per il corretto smaltimento rivolte al cittadino come, per esempio, bonus per l’acquisto di nuove mascherine”.

Infine: “Ci vuole il coinvolgimento del gestore rifiuti nella filiera, il tutto deve arrivare all’impianto di riciclo. Lo stesso polimero utilizzato per il filtro potrebbe essere riutilizzato per produrre altri filtri o altri materiali in tessuto non tessuto (Tnt) che rientrerebbero nel ciclo produttivo”.

Quali i tempi per una sua realizzazione? “Pochi mesi perché ci sono già tutti gli attori che ci stanno ragionando e si sono messi a sistema. In collaborazione con Radici Group, Enea vorrebbe partire da un primo pilota da realizzare nella zona di Bergamo-Brescia. La stessa tipologia di organizzazione potrebbe essere allargata ad altri territori o altre filiere. Il progetto deve essere finanziato ma nel momento in cui c’è volontà di partire a livello istituzionale si può realizzare in breve tempo”, conclude.

Fonte: ADN Kronos

Emergenza coronavirus: mascherine riutlilizzabili invece che usa e getta

Le linee guida dell’ultimo Dpcm ammettono per le mascherine “di comunità” modelli lavabili e autoprodotti, in “materiali multistrato idonei a fornire una adeguata barriera e al tempo stesso a garantire comfort e respirabilità e che coprano dal mento a sopra il naso”

Per affrontare la Fase 2 dell’emergenza Coronavirus è fondamentale rispettare le norme di distanziamento sociale e utilizzare dispositivi di protezione individuale (DPI) come guanti e mascherine. L’utilizzo delle mascherine è imposto dal Dpcm per la Fase 2 firmato il 26 aprile 2020 dal premier Giuseppe Conte, il cui Art. 3 comma 2 recita:

“Ai fini del contenimento della diffusione del virus COVID-19, è fatto obbligo sull’intero territorio nazionale di usare protezioni delle vie respiratorie nei luoghi chiusi accessibili al pubblico, inclusi i mezzi di trasporto e comunque in tutte le occasioni in  cui non sia possibile garantire continuativamente il mantenimento della distanza di sicurezza.”

Il rischio però è quello di creare un’emergenza nell’emergenza, a causa dell’enorme quantitativo di mascherine usa e getta, ormai ampiamente diffuse, che necessitano di essere smaltite quasi con la stessa velocità con cui vengono prodotte. Secondo il rapporto “Imprese aperte, lavoratori protetti”, del Politecnico di Torino, per la ripartenza serviranno circa un miliardo di mascherine al mese. Numeri impressionanti, soprattutto alla luce delle numerose segnalazioni, in Italia e in gran parte del mondo, di tantissimi casi di abbandono per terra, sui marciapiedi, fuori da supermercati e vicino alle fermate dei mezzi pubblici. Per arginare il problema una soluzione potrebbe essere quella di promuovere l’uso di mascherine riutilizzabili, come per altro contemplato dal Governo stesso. 

Le linee guida dell’ultimo Dpcm ammettono infatti per le “mascherine di comunità“, modelli lavabili e autoprodotti, in “materiali multistrato idonei a fornire una adeguata barriera e al tempo stesso a garantire comfort e respirabilità e che coprano dal mento a sopra il naso”.

Per rispondere a questa esigenza sono diverse le aziende che hanno riconvertito la propria produzione per creare dispositivi di protezione individuale in tessuto lavabile per essere riutilizzate. Ma non solo. Come riporta Marinella Correggia sul Manifesto ci sono anche alcuni laboratori non profit che si sono messi a cucire modelli lavabili in stoffa, come il circolo Island a Perugia che con la sua sartoria realizza e distribuisce gratis mascherine di cotone, oppure il laboratorio tessile Colariage di Roma che coinvolge artigiani in difficoltà, richiedenti asilo e migranti per produrre colorati double face con disegni africani, tessuto impermeabile nel mezzo, e ancora in Sardegna una signora ottantenne ne ha prodotte 1.300 per la protezione civile, di tessuto non tessuto (Tnt), lavabili.
Sull’efficacia di questi dispositivi ci sono diversi pareri, non del tutto concordi. Uno studio di alcuni ricercatori dell’Università di San Francisco, tradotto dalla Fondazione Gimbe, ha messo in evidenze le prove attualmente a disposizione sull’efficacia dei DPI. In particolare viene affermato che: “Se un soggetto COVID-19 positivo tossisce su qualcuno a una distanza di 20 cm, indossare una mascherina di cotone riduce di 36 volte la quantità di virus trasmessa, ed è addirittura più efficace della mascherina chirurgica: ovvero si trasmette solo 1 trentaseiesimo della quantità di virus, diminuendo la carica virale e riducendo verosimilmente la probabilità del contagio, oppure determinando sintomi più lievi”.

Sebbene queste mascherine, come quelle chirurgiche, proteggono gli altri dalla persona che le indossa, non sono in grado di filtrare l’aria esterna. Le uniche che hanno questo tipo di protezione sono le Ffp2 e le loro equivalenti Kn95, che hanno una proprietà di filtraggio pari al 92% e le Ffp3 che arrivano fino al 98%. Il problema di questo tipo di mascherine è la loro natura di essere monouso, anche se recentemente, diverse aziende, anche italiane, si stanno muovendo per produrre dispositivi che abbiamo tale efficacia protettiva e che siano allo stesso tempo lavabili e riutilizzabili. Così non solo fornirebbero un alto livello di protezione dal Covid-19, ma permetterebbero anche di ridurre notevolmente la produzione di rifiuti derivante dalla necessità di smaltimento.

Fonte: Eco dalle Città

Mascherine e guanti usa e getta: pericolo per l’ambiente e per il ciclo rifiuti

La pandemia causata dal COVID-19 ha costretto il mondo a fermarsi: chiuse le scuole, fermato il traffico, città vuote. Le specie selvatiche hanno iniziato a riappropriarsi di spazi prima occupati, aria è diventata più pulita, le acque limpide. Ora però dobbiamo fare attenzione ad una nuova minaccia: i dispositivi di protezione individuale che, dopo essere stati utilizzati diventano rifiuti, devono essere smaltiti correttamente per evitare che invadano le nostre strade, i nostri marciapiede e i nostri parchi.

Inoltre  quantitativi crescenti di mascherine e di guanti sono avvistatati in mare dove rischiano di diventare letali per tartarughe e pesci che li scambiano per prede di cui nutrirsi.
Una stima del Politecnico di Torino dice che per la Fase 2, in cui verranno progressivamente riavviate attività produttive e sociali, serviranno 1 miliardo di mascherine e mezzo miliardo di guanti al mese. Si tratta di quantitativi molto elevati che impongono un’assunzione di responsabilità da parte di chi utilizzerà questi dispositivi di protezione: bisogna che ognuno di noi faccia uno sforzo per far sì che si proceda con uno smaltimento corretto e con il minor impatto possibile sulla natura.

Se anche solo l’1% delle mascherine venisse smaltito non correttamente e magari disperso in natura questo si tradurrebbe in ben 10 milioni di mascherine al mese disperse nell’ambiente. Considerando che il peso di ogni mascherina è di circa 4 grammi questo comporterebbe la dispersione di oltre 40mila chilogrammi di plastica in natura: uno scenario pericoloso che va disinnescato.

“Così come i cittadini si sono dimostrati responsabili nel seguire le indicazioni del governo per contenere il contagio restando a casa, ora è necessario che si dimostrino altrettanto responsabili nella gestione dei dispostivi di protezione individuale che vanno smaltiti correttamente e non dispersi in natura”. A lanciare l’appello è la presidente del WWF Italia Donatella Bianchi che aggiunge: “È necessario evitare che questi dispositivi, una volta diventati rifiuti, abbiano un impatto devastante sui nostri ambienti naturali e soprattutto sui nostri mari. Proprio per difendere il Mediterraneo che ogni anno già deve fare i conti con 570 mila tonnellate di plastica che finiscono nelle sue acque (è come se 33.800 bottigliette di plastica venissero gettate in mare ogni minuto) chiediamo alle istituzioni di predisporre opportuni raccoglitori per mascherine e guanti nei pressi dei porti dove i lavoratori saranno costretti ad usare queste protezioni per operare in sicurezza. Ma sarebbe opportuno che raccoglitori dedicati ai dispositivi di protezione fossero istallati anche anche nei parchi, nelle ville e nei pressi dei supermercati: si tratterebbe di un vantaggio per la nostra salute e per quella dell’ambiente”.

“Ci arrivano le prime segnalazioni di abbandoni per strada e nelle vicinanze di alcuni supermercati di guanti e di mascherine chirurgiche monouso. In previsione di una fase 2 con la riapertura di piccole e medie aziende, di alcuni uffici facciamo appello al senso civico e alla responsabilità dei cittadini ma soprattutto è importante far partire una campagna di informazione e sensibilizzazione seguendo le indicazione dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss)dove viene specificato come smaltire i presidi anti infezione quali mascherine e guanti”. Lo chiede Mariateresa Imparato, presidente Legambiente Campania. “Questi articoli – aggiunge – sono tutti da conferire nella raccolta indifferenziata. E’ bene avvolgere questi rifiuti in due o tre sacchetti, per essere sicuri che niente fuoriesca, e chiuderli bene. Per chiudere il sacchetto è bene usare dei guanti monouso, che poi andranno in un altro sacchetto che andrà sempre nella raccolta indifferenziata. Ricordiamo che i dispositivi sanitari sono molto resistenti e potrebbero durare nell’ambiente decine di anni come accade per le buste di plastica più spesse o i flaconi di liquidi più resistenti”.

“I dispositivi di protezione individuale saranno fondamentali per il prossimo anno finché, grazie al lavoro della scienza, non ci sarà un vaccino o una cura – dice Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – Noi stimiamo che con il Paese in piena attività serviranno circa 100 milioni di mascherine usa e getta al giorno perché bisognerà cambiarne più di una al giorno. Per i guanti sarà la stessa cosa.  Quindi, visto questo uso massiccio, sarà importante promuovere per quanto possibile mascherine riutilizzabili, e l’Istituto superiore di sanità ne sta certificando, perché se nella prima fase abbiamo fatto come potevamo adesso è importante usare dispositivi certificati». Il ricorso alle mascherine riutilizzabili, sottolinea Ciafani, avrà due effetti: «Da una parte eviterà di appesantire troppo il ciclo dei rifiuti, nel caso tutte venissero conferite nel posto giusto e con le modalità giuste; dall’altra permetterà di limitare il fenomeno del littering, l’abbandono dei rifiuti, che stiamo già monitorando in tutta Italia. Abbiamo moltissime segnalazioni: i cittadini maleducati che li lasciano dove capita come viene fatto con qualsiasi altro rifiuto. Ma in questo caso stiamo parlando di rifiuto potenzialmente infettivo. Sarà il nuovo rifiuto plastico che si troverà nei parchi nelle strade e che poi, come succede sempre, attraverso le piogge finirà nelle fognature e da lì in corsi d’acqua fino al mare, aggravando ulteriormente un problema già grave.  Bisogna spingere su dispositivi riutilizzabili, ma anche fare una campagna di sensibilizzazione, utilizzando se serve anche le multe. Perché in questo caso c’è anche un problema di salute».