115 milioni dal MASE a 75 progetti per riciclare la plastica

Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica finanzierà 75 nuovi progetti per la creazione di impianti di riciclo dei rifiuti plastici, compresi quelli recuperati nelle acque italiane, con finanziamenti per 115 milioni di euro.

Il dipartimento di sviluppo sostenibile del Ministero ha approvato il decreto di concessione dei contributi a progetti ritenuti particolarmente meritevoli nell’ambito dell’Economia Circolare per il riciclo della plastica, linea di intervento specifica prevista dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. I soggetti beneficiari del finanziamento, contenuti nella lista pubblicata sul sito del Ministero, potranno così realizzare nuovi impianti di riciclo e plastic hubs, che permetteranno anche il recupero dei rifiuti marini, presenti ormai in gran parte delle acque italiane e non solo.

Il Ministro Gilberto Pichetto ha sottolineato che l’investimento del PNRR offre la possibilità di far crescere nel Paese una filiera dell’innovazione per la gestione dei rifiuti plastici. Il Ministro ha ricordato che anche durante il G7 in Giappone ci si è assunti un chiaro impegno per fermare i nuovi rifiuti plastici entro il 2040 e che l’Italia vuole essere un riferimento virtuoso per l’affermazione dell’economia circolare anche su livello internazionale.

Il provvedimento, già trasmesso alla Corte dei Conti per essere registrato, permetterà anche di individuare nuovi beneficiari dei fondi che non si sono riusciti ad inserire nel decreto precedente.


A cura di Andrea Tornavacca, ESPER

Presentazione docufilm “Oltre i luoghi Comuni”

Occorre andare oltre la narrazione non sempre veritiera sulla gestione dei rifiuti, indispensabile risorsa per l’economia circolare

Oltre i luoghi comuni” è il titolo del film-documentario che il regista Alessandro Scillitani ha realizzato, su proposta dell’associazione Greenaccord Onlus e con la partnership di E.S.P.E.R. Società Benefit e l’Editrice Italia libera, per “contribuire a far scoprire un’Italia ancora troppo poco conosciuta che – secondo il presidente di Greenaccord, Alfonso Cauteruccioha affrontato e risolto con successo, anche attraverso il sostegno tecnico di ESPER, le criticità e difficoltà che spesso scoraggiano altre amministrazioni meno lungimiranti, coraggiose e perseveranti”.

Il documentario “Oltre i luoghi comuni” si propone di “smentire i tanti luoghi comuni di una narrazione non sempre veritiera – ha sottolineato il segretario dell’associazione Greenaccord, Giuseppe Milanovalorizzando le tante eccellenze che in Italia abilitano la conversione ecologica rendendola socialmente desiderabile sull’insegnamento di Alex Langer”, ma anche, come spiegato dall’ideatore Attilio Tornavacca, direttore generale di ESPER,per riflettere sui danni arrecati da chi usa alcuni luoghi comuni come alibi per giustificare il mantenimento di modelli di consumo e di gestione dei rifiuti che dovrebbero essere invece superati ed abbandonati”.

Esperienze sviluppate da donne e uomini di tutti i principali movimenti politici e di ogni area geografica nazionale, unite dal comune impegno e ingegno di amministratori e dirigenti che hanno avuto, ad esempio, il coraggio di smentire il pregiudizio secondo cui la tariffazione puntuale non si possa applicare nelle grandi città o nei comuni con grandi flussi turistici oppure la diffusa ed errata convinzione secondo cui le attività di riduzione a monte e di diffusione del compostaggio domestico siano scarsamente efficaci.

Raccontare è il modo migliore per riuscire a infondere speranza, far sognare, coinvolgere. Abbiamo scelto di analizzare vari luoghi comuni documentando proprio le esperienze di buon governo che smentiscono tali errati preconcetti” ha spiegato il regista Alessandro Scillitani ringraziando, in particolare, per la loro disponibilità e competenza, le due voci narranti: il meteorologo Luca Mercalli ed il direttore di “Italia Libera” Igor Staglianò che, quali esperti divulgatori scientifici, hanno saputo smentire i luoghi comuni secondo cui i comportamenti dei singoli non possano influenzare le strategie ambientali dei governi oppure che non si può fare a meno di produrre sempre più rifiuti.

Un contributo tecnico assai qualificato è stato inoltre cortesemente fornito da Enzo Favoino, Direttore scientifico Zero Waste Europa e tecnico della Scuola Agraria del Parco di Monza, e da Gianfranco Amendola, ex magistrato ed esperto in normativa ambientale, che hanno illustrato e chiarito alcune criticità ancora presenti nel settore del riciclaggio e trattamento dei rifiuti.

Il documentario non avrebbe potuto essere realizzato senza la preziosa collaborazione degli amministratori e dirigenti dei seguenti enti locali che hanno collaborato in precedenza con ESPER: la Città metropolitana di Cagliari, Parma, Trento, Ragusa, Capannori (LU), Cattolica (RN), Fiumicino (RM), Oriolo Romano (VT), Santeramo in Colle (BA) e l’Ambito di Raccolta Ottimale Bari 2 (in particolare dei Comuni di Modugno e Bitetto). Un particolare ringraziamento anche agli amministratori di alcune realtà industriali che dimostrano l’efficienza raggiunta da varie aziende pubbliche quali ASCIT SpA di Capannori, Dolomiti Ambiente di Trento, IREN Ambiente e da impianti di riciclaggio e compostaggio pubblici quali l’ACEA di Pinerolo, REVET SpA di Pontedera (a maggioranza pubblica) o privati quali l’impianto di riciclaggio ECOMEC di Augusta e la cartiera Bartoli Spa che hanno contribuito a smentire il luogo comune secondo cui i rifiuti differenziati non vengono poi effettivamente riciclati o compostati.

L’Associazione Greenaccord Onlus concepisce, programma e realizza convegni, manifestazioni e forum nazionali ed internazionali prefiggendosi l’obiettivo di favorire la salvaguardia dell’ambiente, rivolgendosi in particolare al mondo dell’informazione. Tali iniziative hanno l’obiettivo di offrire ai giornalisti la possibilità di conoscere e confrontare le più attuali esperienze scientifiche, istituzionali ed aziendali, volte ad una concreta sostenibilità ambientale.

E.S.P.E.R. Società Benefit si è sempre impegnata nella continua diffusione di esperienze di buone pratiche, conoscenze relative all’economia circolare attraverso la diffusione gratuita di studi, newsletter, articoli, pubblicazioni, libri, blog così come già accaduto con il precedente documentario di Alessandro Scillitani dal titolo “Sogni Comuni”, sempre senza alcuno scopo di lucro.

Si invita la S. V. alla presentazione in anteprima nazionale del documentario presso la Casa della Partecipazione di Maccarese il prossimo mercoledì 22 marzo 2023 come da programma allegato.

Iscrizioni, Contatti e Segreteria:

Francesco Cauteruccio: segreteria.greenaccord@gmail.com – cell. 3450500370

L’UE boccia (di nuovo) l’Italia su rifiuti e smog

Presentata la valutazione dell’attuazione ambientale (EIR), il documento che valuta come l’Italia applica le norme UE: la Commissione ci boccia su rifiuti e smog, mentre ritiene incoraggianti i passi avanti del nostro Paese per l’economia circolare

Norme ambientali europee, dove stiamo sbagliando?
Nel documento di valutazione dell’attuazione delle norme ambientali europee il nostro Paese non presenta buone performance: la Commissione UE boccia l’Italia su rifiuti e smog.

I nostri punti deboli restano la gestione dei rifiuti, la qualità dell’aria e la definizione delle aree protette, mentre Bruxelles ci incoraggia a proseguire nel percorso intrapreso su economia circolare e piani per i bacini idrografici, anche alla luce dei miglioramenti che potrebbero arrivare dall’attuazione del Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza.

Sono già 18 le procedure di infrazione che la Commissione ha aperto verso l’Italia negli anni, e la metà di queste potrebbero concretamente diventare sanzioni pecuniarie perché sono già in una fase avanzata dell’iter che può portare alla Corte di Giustizia Europea. Non sarebbe la prima volta. Ad oggi sono stati comminati milioni di euro di multe per l’emergenza rifiuti in Campania, per la presenza di discariche illegali sul territorio nazionale e per le attività di scarico di acque reflue in aree sensibili: a partire dal 2015, siamo già stati multati per più di 620 milioni di euro.

L’UE boccia l’Italia su rifiuti
Già negli anni passati la Commissione aveva invitato il nostro paese ad adeguarsi alle norme comunitarie in particolare su una serie di aspetti:

in materia di gestione dei rifiuti urbani, perché si limitasse progressivamente il conferimento in discarica a favore di uno sviluppo della raccolta differenziata, soprattutto al Sud;
nel trattamento delle acque reflue, richiedendo maggiori investimenti in strutture adibite a gestirlo in maniera efficace;
nella riduzione di particolato (PM10 e PM2,5) e di biossido di azoto, intervenendo sulla riduzione del traffico;
nel completamento dell’individuazione dei siti marini di conservazione speciale, nell’ambito del programma Natura 2000, con la designazione di obiettivi specifici di conservazione per ogni sito;
in generale, nel migliorare l’efficienza con cui vengono impiegate le risorse destinate alla protezione ambientale.
Negli ultimi anni il nostro Paese ha compiuti diversi sforzi e, per molti ambiti, ha migliorato le proprie performance ma, anche a questo esame, l’UE boccia nuovamente l’Italia proprio su rifiuti e smog. Per quanto riguarda la gestione dei rifiuti urbani, ci dice la Commissione, abbiamo ancora troppe carenze: gli esempi citati sono sotto gli occhi di tutti, dal numero ancora troppo elevato delle discariche alla situazione di emergenza in Campania.

Potrebbero aiutarci, in questo senso, i fondi del PNRR, che potranno supportare una nuova strategia nazionale per l’economia circolare e un programma nazionale di gestione dei rifiuti.

Male anche la qualità la protezione delle aree naturali e la qualità dell’aria
La Commissione ha inoltre segnalato che il nostro Paese è ancora indietro nella designazione delle aree marine protette per la rete Natura 2000. In generale, da Bruxelles ci giunge un monito a migliorare la conservazione degli habitat e delle specie protette dall’Unione, pianificando investimenti strategici ad hoc. Investimenti che la Commissione teme non siano all’orizzonte, sottolineando come “Nel PNRR non sono previsti fondi sufficienti a sostegno della biodiversità per finanziare queste esigenze; di conseguenza l’importo mancante deve essere compensato attingendo ad altri fondi UE e fonti nazionali”.

Ancora troppo limitati sono ritenuti i progressi effettuati per quanto riguarda la qualità dell’aria e la riduzione delle emissioni. Il documento sottolinea anzi come nel 2020 siano proseguiti gli sforamenti dei valori limite di PM10 e NO2. La Commissione sollecita molto su questo punto, facendo presente che il 20% delle risorse del nostro PNRR sia destinato a energia e trasporti sostenibili e come a Bruxelles ci si aspetti che queste misure incidano sul miglioramento della qualità dell’aria. Il documento inoltre sollecita il nostro Paese a valutare ulteriori strumenti, come spostare la tassazione dal lavoro agli imponibili ambientali, ed eliminare i sussidi ambientalmente dannosi.

Male anche la gestione delle acque reflue urbane, per le quali servono maggiori investimenti per risanare molti punti critici, soprattutto al nord Italia, e per intervenire per un miglioramento delle acque potabili nel Lazio. In generale risulta scadente o molto scadente lo stato di diversi descrittori marini e molto allarmante il livello di consumo, soprattutto al Sud, di acqua in agricoltura.

Fonte: Rinnovabili.it

A Roma il primo convegno nazionale dedicato ai Sistemi di Deposito Cauzionale

Si svolgerà a Roma nella mattinata del 7 giugno (dalle 10:15 presso la Sala Capranichetta, in Piazza di Montecitorio 125) il primo convegno nazionale dedicato ai Sistemi di Deposito Cauzionale aperto ai media e a tutti i portatori di interesse dal titolo: Il Sistema di Deposito Cauzionale: Allineare l’Italia alle esperienze europee per massimizzare la circolarità delle risorse

La diffusione indiscriminata delle plastiche e dell’usa e getta e la necessità di raggiungere gli ambiziosi obiettivi europei di raccolta selettiva e riciclo rendono necessario mettere in agenda l’adozione di un efficiente Sistema nazionale di Deposito Cauzionale o Deposit Return System (DRS) per gli imballaggi di bevande monouso. Le evidenze dai Paesi europei dove il sistema è in funzione forniscono abbondanti indicazioni sui risultati conseguibili e sugli elementi essenziali che caratterizzano un DRS di successo che possa garantire le prestazioni attese.

Il Sistema di Deposito Cauzionale prevede che il consumatore paghi una piccola cauzione all’atto dell’acquisto di una bevanda contenuta in un imballaggio monouso, e che poi tale cauzione sia restituita interamente al momento della restituzione dell’imballaggio vuoto presso un punto di raccolta. In sostanza, in un sistema DRS il consumatore compra il contenuto e prende in prestito l’imballaggio.

L’evento è organizzato dalla Campagna Nazionale “A Buon Rendere-molto più di un vuoto” promossa dall’Associazione Comuni Virtuosi e sostenuta dalle principali organizzazioni non governative nazionali che si occupano di ambiente e sostenibilità e da numerose altre di interesse locale.

La coalizione di “A Buon Rendere” si propone di produrre e condividere informazioni ed evidenze sul tema, sensibilizzare i vari pubblici e accompagnare il lavoro dei diversi soggetti interessati a velocizzare i tempi di approvazione di una legge nazionale sul Sistema Cauzionale.

I tempi per tale legge paiono d’altronde pienamente maturi: come confermano i risultati di una recente ricerca condotta da AstraRicerche commissionata dalla campagna, l’83% degli italiani ritiene necessario un Sistema Cauzionale anche nel nostro Paese.

IL CONVEGNO

L’evento del 7 giugno coinvolgerà relatori italiani e internazionali nell’esposizione e analisi di dati, performance ed esperienze provenienti da Paesi che già hanno un DRS in vigore, nonché nell’esposizione del quadro europeo di raccomandazioni, obiettivi vincolanti di raccolta e di presenza di contenuto riciclato (per le bottiglie in plastica) che rende i Sistemi Cauzionali misure ineludibili. L’obiettivo dell’evento è raccogliere le indicazioni necessarie per mettere a punto il Sistema Cauzionale più adatto alla realtà italiana, in grado di intercettare al più presto quei 7 miliardi di contenitori di bevande in plastica vetro e lattine che ogni anno sfuggono al riciclo, come emerge dallo studio “What we waste” della Piattaforma Reloop.

IL PROGRAMMA

Tra le relatrici e i relatori in presenza interverranno Enzo Favoino, Coordinatore Scientifico della campagna, Duccio Bianchi, fondatore di Ambiente Italia e Clarissa Morawski, Fondatrice e Amministratrice Delegata di Reloop, Piattaforma europea multi-stakeholder che promuove politiche e modelli di business basati sull’uso consapevole e circolare delle risorse. Reloop è uno dei partner internazionale della campagna insieme a Zero Waste Europe, EEB European Environmental Bureau, Surfrider Europe e Recycling Netwerk Benelux.

Intervengono invece in remoto due Responsabili del sistema svedese e lituano, rispettivamente Bengt Lagerman, Amministratore delegato di Returpack-Pantamera e Gintaras Varnas, Direttore generale di USAD. Segue l’ultima sessione Prospettive per l’Italia aperta agli interventi delle ONG aderenti alla campagna, Parlamentari, altri soggetti Istituzionali e imprenditoriali.

Modera l’evento Raffaele Lupoli, Direttore editoriale di EconomiaCircolare.com

“I Sistemi Cauzionali, come verrà mostrato nel corso dell’evento, contribuiscono ad una maggiore circolarità nell’impiego delle risorse con benefici per l’ambiente e l’economia. Al contrario, posticipare delle soluzioni invece di anticiparle, genera costi ed incertezza che non aiutano le aziende” dichiara Silvia Ricci coordinatrice di A Buon Rendere”. “In particolare nella fase attuale, l’aumento dei prezzi delle materie prime, la crescente competizione sul mercato globale delle stesse, e l’impennata dei costi dell’energia, incidono negativamente sulla filiera del packaging; questo determina problemi crescenti nell’impiego di materie prime, cui il DRS darebbe una risposta solida e largamente sperimentata in Europa, come si è visto peraltro nel servizio di Report dello scorso 16 maggio sui problemi dell’approvvigionamento di vetro” conclude Enzo Favoino.

COME PARTECIPARE

L’evento è aperto al pubblico ma per partecipare è necessario iscriversi entro il 4 giugno 2022 inviando una mail a: redazione@buonrendere.it. Il Convegno sarà trasmesso in diretta streaming sui canali social della Campagna “A Buon Rendere”: Linkedin e Facebook.

Fonte: BuonRendere

Dalla raccolta dei CD e DVD nella bassa reggiana nasce un nuovo impianto di recupero 

A quanti di noi non è mai capitato di avere un CD o un DVD per le mani? Sono tra gli oggetti che più sono stati usati nelle nostre vite quotidiane nei precedenti decenni. Per necessità lavorative, come memoria esterna grazie ai masterizzatori o come sostituti dei vinili e delle cassette audio e video, hanno finito per riempire i nostri scaffali o le mensole dell’ufficio. Spesso però ci si è chiesti come liberarsene. Ma questi CD o DVD di cosa sono fatti? Di plastica? Di alluminio? No, sono un misto di diversi materiali come il policarbonato, materiali metallici, vernici, coloranti e una piccola parte di alluminio. Quindi come possiamo disfarcene senza buttarli nell’indifferenziato?  

Da una collaborazione tra S.A.BA.R. Servizi S.r.l., NIAL Nizzoli e l’Università di Modena e Reggio Emilia, è nata la campagna di raccolta CD e DVD nel comprensorio della bassa reggiana gestita da S.A.BA.R. Risulta quindi possibile conferire i CD e i DVD che non si utilizzano più presso i Centri di raccolta dei Comuni di Boretto, Brescello, Gualtieri, Guastalla, Luzzara, Novellara, Poviglio e Reggiolo gestiti da S.A.BA.R. Servizi S.r.l. In ogni Centro di Raccolta e nelle scuole sono stati posizionati dei contenitori con una feritoia apposita che permette il solo passaggio di questi dischi rigidi. Oltre ai CD e DVD, l’azienda pubblica S.A.BA.R. Servizi S.r.l. ha implementato la raccolta delle plastiche dure in tutti i propri centri di raccolta. Grazie a queste iniziative nel 2020 SABAR ha recuperato 703 tonnellate di plastiche dure. A seguito di questa iniziativa l’azienda ha poi realizzato un impianto di selezione, recupero e trattamento delle plastiche dure presso la sede di Novellara (RE) che sarà inaugurato a breve ed avrà potenzialità di trattamento di circa 3 t/ora. 

Trento vieta la plastica nel pubblico, Sanpellegrino e Mineracqua ricorrono al Tar

A Trento è scoppiata la guerra della plastica. A scatenarla la decisione della Provincia autonoma di bandire, a partire dal prossimo luglio, la plastica monouso per tutti gli eventi organizzati, finanziati o patrocinati dalla Provincia e dagli enti collegati per ottenere il marchio “Ecoristorazione Trentino” e dal gennaio 2023, da tutti i servizi di somministrazione e vendita – automatica e non – di cibo e bevande all’interno di tutti gli enti pubblici trentini.  Una mossa avanzatissima che però ha fatto imbufalire il business delle acque minerali e non solo.

Il ricorso di Sanpellegrino e Mineracqua

A presentare un ricorso davanti al Tar di Trento, sono state: Unionfood, Mineracqua, Assobibe, Sanpellegrino, Federazione Gomma Plastica, Flo Spa (produttore di stoviglie in plastica monouso), Isap Packaging Spa, Confida (distribuzione automatica) e Aesse Service. Anche la Confindustria locale si è detta contraria alla delibera della Provincia. Secondo i ricorrenti, la decisione è stata troppo frettolosa, senza prima presentare uno studio preliminare, e soprattutto dando poco tempo all’industria di adeguarsi.

Greenpeace: “L’industria sbaglia a fare ostruzione”

Secondo Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace, “Siamo davanti a un film già visto. Il polo produttivo industriale si schiera in maniera compatta a difesa di qualcosa che rappresenta il passato, una filiera inquinante come quella della plastica monouso, invece di cogliere la decisione della provincia di Trento come uno stimolo, come l’occasione per ripensare il loro modo di stare sul mercato in maniera più competitiva e lungimirante. Anche perché in futuro potrebbero essere sempre di più gli enti locali che adottano misure simili. Per esempio i produttori di acqua potrebbero dedicarsi a un sistema efficiente di vuoto a rendere”.

Le novità sui distributori automatici di cibo e bevande

Tra le misure che verranno adottate nel territorio trentino, anche un cambio di filosofia attorno ai distributori automatici presenti in scuole e uffici pubblici. Per le bevande, posto che i bicchieri dovranno essere compostabili, non saranno erogati in automatico, in modo da favorire l’utilizzo della propria tazza, e in caso di erogazione avranno un costo di 50 centesimi. I distributori di bevande calde devono essere allacciati alla rete idrica e avere un macina-chicchi per il caffè, in modo da non dover utilizzare capsule. Per quanto riguarda il cibo, le insalate sono messe a disposizione imballate con materiale compostabile e biodegradabile, così come la frutta sbucciata, mentre la frutta come mele o arance, deve essere distribuita senza imballaggi.

“Vincerà la Provincia, i dati sono chiari”

Misure che spaventano i produttori di acqua minerale e di imballaggi, tanto da averli portati a fare un ricorso al Tar. “Io penso che vincerà la provincia di Trento, perché dal punto di vista scientifico c’è una letteratura consistente che dice come il monouso sia l’opzione peggiore dal punto di vista ambientale, e anche la direttiva europea a riguardo è chiara” conclude Ungherese.

Il business delle minerali

Soprattutto per quanto riguarda l’imbottigliamento di acqua minerale, parliamo di un business ricchissimo, come già nel 2018 ha raccontato il Salvagente. “Per ogni euro speso in canoni di concessione” le società proprietarie delle acque minerali realizzano “191,35 euro in ricavi dalle vendite”. Insomma un grande affare ma non per le casse pubbliche bensì per quelle private. Ad accertare l’evidente sproporzione non è stato una Ong né un’associazione ambientalista ma il Mef, il ministero dell’Economia e Finanze che per la prima volta pubblica un report (dati 2015) “dedicato allo sfruttamento delle acque minerali e termali”. In soldoni l’incasso totale per le amministrazioni locali (18,4 milioni) corrisponde allo 0,68% del fatturato del settore dell’imbottigliamento delle acque minerali, pari a 2,7 miliardi nel 2015.Ma quanto si paga in media di concessione? Il Salvagente se ne era occupato nel numero di agosto 2017 scoprendo che in media (dati riferiti al 2013) le aziende imbottigliatrici pagano 1 euro ogni 1.000 litri emunti, ovvero appena un millesimo di euro per ogni litro imbottigliato. Un vero e proprio regalo fatto dalle amministrazioni pubbliche alle aziende private.

L’acqua da bene comune si è ormai trasformata in business privato.

Fonte: Il Salvagente

Raccolta dell’organico obbligatoria. Ecco cosa cambia per i Comuni

Dal primo gennaio 2022 è scattato l’obbligo della raccolta differenziata dell’organico per tutti i Comuni d’Italia. Ma a che punto siamo sul territorio nazionale? Tra l’aumento di prodotti compostabili, uno sguardo a norme e buone pratiche che potrebbero fare la differenza

In Italia la raccolta differenziata dell’organico è a buon punto. L’organico rappresenta il 43% del quantitativo di rifiuti urbani avviato a riciclo nel 2020, e contribuisce notevolmente al raggiungimento del 65 per cento del totale di raccolta differenziata nel nostro Paese.

Tuttavia, in alcuni Comuni italiani non vi era ancora la possibilità per i cittadini di gettare in maniera differenziata resti di cibo e tutto ciò è compostabile, con un conseguente peggioramento della qualità dell’indifferenziato in cui viene conferito così il materiale organico putrescibile: avere invece un indifferenziato “libero” dall’organico permette ai Comuni di ridurne la frequenza di raccolta, con una riduzione dei costi complessivi. Senza contare il materiale e l’energia ricavati dal trattamento di rifiuti organici, rispettivamente compost e biometano, che possono assolvere a diverse funzioni.

Finalmente, lo scorso primo gennaio la raccolta differenziata dell’organico è diventata obbligatoria in tutti i comuni d’Italia. Lo prevede l’articolo 182 ter del decreto legislativo 152/2006 che recepisce in Italia la direttiva europea 851/2018 in materia di rifiuti. L’entrata in vigore dell’obbligo anticipa di due anni un analogo impegno che sarà introdotto nel resto della Unione Europea solo a inizio 2024.

A più di un mese dall’introduzione dell’obbligo, ci siamo chiesti se ci stiamo muovendo nella giusta direzione e quale potrebbero essere le difficoltà legate all’estensione della raccolta.

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Una raccolta virtuosa

La raccolta differenziata dell’organico, che in Italia nel 2020 è arrivata ad interessare oltre il 90% della popolazione, ha visto un progressivo miglioramento negli ultimi anni.

Secondo i dati dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) sui rifiuti urbani, nel 2016 erano 6.516.938 le tonnellate della frazione organica, comprese le quote avviate a compostaggio domestico. Nel 2020, anno di inizio della pandemia, si è arrivati invece a 7.174.948 tonnellate, registrando però un leggero calo rispetto alle 7.300.000 tonnellate del 2019.

“Diminuzione che – fanno sapere dall’ufficio tecnico del Consorzio Italiano dei Compostatori (CIC) – è stata molto minore di quanto atteso, e che comunque non ha fatto recedere i comuni già attivi nella raccolta differenziata”.

Resta un divario tra Nord, Centro e Sud, che auspichiamo le nuove norme aiuteranno a colmare. Sempre secondo gli ultimi dati dell’Ispra, nel corso del 2020, a Nord erano 130 i chili della frazione organica prodotti per abitante (rappresentato da umido e scarti da manutenzione del verde, escluso il compostaggio domestico), al Centro 112 kg, mentre al Sud 111 chilogrammi.

Con l’introduzione dell’obbligo qualcosa sta cambiando, anche se, come prevedibile, non in maniera così netta.

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Cosa è cambiato dal primo gennaio?

“Non ci aspettavamo cambiamenti repentini : – spiegano dall’ufficio tecnico del CIC – l’attivazione della raccolta differenziata in un comune è un processo che richiede una pianificazione preventiva, con tempistiche programmate di implementazione; a cascata, le aziende deputate al riciclo dei rifiuti organici mediante compostaggio o con sistemi integrati con la digestione anaerobica adeguano la propria capacità di trattamento, o pianificano la costruzione di nuovi impianti. Anche a livello impiantistico ci aspettiamo quindi effetti più graduali e dilazionati nel tempo”.

È lecito chiedersi però a quali difficoltà vadano incontro quei Comuni che avviano per la prima volta una raccolta dell’umido. Su questo i tecnici del CIC non ha dubbi.

“In Italia – affermano – abbiamo un tale know-how sulla raccolta differenziata dei rifiuti organici, e in particolare della frazione umida (di cui siamo esportatori di conoscenza in tutta Europa, e non solo) che i Comuni ancora non attivi non dovrebbero avere nulla da temere sul piano organizzativo. Naturalmente, la filiera dei rifiuti organici può dirsi completa solo se alla raccolta fa seguito un’adeguata ed efficiente capacità di riciclo, ma oggi abbiamo ormai pressoché raggiunto tale capacità a livello nazionale”.

“Quello che ancora manca – sottolineano – è il potenziamento dell’impiantistica in alcune regioni del Centro-Sud; alcune, come la Sicilia, stanno per fortuna dando concreti e positivi segnali in questa direzione”.

In effetti, secondo i dati Ispra177 impianti di compostaggio dei 293 operativi a livello nazionale, 30 dei 43 di trattamento integrato e 20 dei 23 di digestione anaerobica sono localizzati al Nord. La scarsità di impianti rilevata in alcune aree del Centro-Sud del Paese comporta la movimentazione di rilevanti quantità di rifiuti da queste aree verso gli impianti del Nord. Dunque, il pro capite nazionale di trattamento biologico dei rifiuti organici provenienti dalla raccolta differenziata nel 2020 varia molto in base all’area geografica -162 chili per abitante al Nord, 66 al Centro e 68 al Sud – e non è confrontabile con la quantità di raccolta, non corrispondendo necessariamente all’area di riferimento.

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La busta giusta

Per tutti quei cittadini che dovranno approcciarsi per la prima volta alla raccolta differenziata dell’organico, è importante tenere bene a mente che i rifiuti devono essere conferiti obbligatoriamente in buste compostabili, ma il rischio di fare confusione permane e una delle problematiche spesso riscontrate presso gli impianti di riciclo riguarda proprio la presenza di scarti costituiti da materiali plastici.

Non è raro imbattersi ancora in sacchetti non a norma, in particolare presso gli esercizi commerciali, al dettaglio e ambulanti: nel 2019 rappresentavano circa il 30% del totale dell’immesso al consumo. Ma secondo il rapporto L’Italia del Riciclo 2021 della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, ci sarebbe ormai la quasi totale scomparsa dagli impianti di compostaggio dei sacchetti orto-frutta in plastica convenzionale sostituiti, dopo l’introduzione nel 2018 dell’obbligo normativo, da borse in plastica biodegradabile e compostabile.

In questo, la crescita della raccolta differenziata della frazione umida rappresenta un ulteriore stimolo all’utilizzo di borse compostabili, idonee per l’appunto anche al riciclo dei rifiuti organici. D’altra parte, l’eliminazione degli imballaggi in plastica non compostabili contribuirà al miglioramento della conduzione dei processi biologici e ad arginare il rischio che venga intaccata la qualità del compost. Ma perché è importante che la busta sia compostabile?

“Se il sacchetto è realizzato in materiale certificato compostabile ai sensi della norma UNI EN 13432, come impone la legge, – prosegue l’ufficio tencnico del CIC – negli impianti di compostaggio subisce la stessa sorte dei rifiuti organici, venendo interamente degradato nel corso del processo. Laddove, in presenza di particolari tipi di tecnologie adottate, il sacchetto compostabile fosse scartato prima dell’inizio del processo biologico di produzione del compost (è il caso ad esempio di molti impianti che precedono il compostaggio con una fase di digestione anaerobica), si può comunque approfittare del fatto che il sacchetto è compostabile per rimuoverlo biologicamente attraverso un processo (chiamato biostabilizzazione o bioessiccazione), diminuendo il quantitativo di scarti che alla fine viene mandato a smaltimento”.

Data la variabilità delle tipologie di biopolimeri, per i cittadini sarà bene affidarsi dunque ad una corretta etichettatura che certifichi la busta sia a norma.

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Compostabile e biodegradabile

Come è noto, insieme ai residui di cibo sono raccolti nell’organico anche gli imballaggi in plastica compostabile: oltre ai sacchetti in bioplastica, anche gli imballaggi di frutta e verdura, piatti, bicchieri e stoviglie monouso.

Nell’indagine effettuata dal CIC tra il 2019 e il 2020 gli impianti di trattamento della frazione organica hanno gestito circa 83.000 tonnellate all’anno di bioplastiche, imballaggi e non, rispetto alle circa 27.000 tonnellate all’anno dell’indagine del 2016 e 2017. Si trattava quasi esclusivamente di sacchi per raccolta organico e per oltre il 70% da shopper e buste orto-frutta, e in quantità minore di imballaggi rigidi per cibo e capsule di caffè.

“Secondo la normativa nazionale sui rifiuti – ricordano ancora dal CIC – un manufatto compostabile per poter essere aggregato alla raccolta dei rifiuti organici, oltre che essere certificato secondo lo standard EN 14432, deve avere anche ‘analoghe proprietà di biodegradabilità e compostabilità rispetto ai rifiuti organici’ e solo in presenza di questi requisiti l’impianto di compostaggio è nelle condizioni di trattarlo”.

“È però un dato di fatto – precisano – che le tecnologie presenti oggi negli impianti di compostaggio sono molteplici e diverse fra loro, per cui gli impianti potrebbero avere diverse performance nei confronti di singole tipologie di manufatti compostabili e non si può escludere che alcuni di essi, qualora la loro presenza dovesse aumentare considerevolmente rispetto ai valori attuali, dovranno prevedere alcuni aggiustamenti dei percorsi di recupero oggi in essere”.

L’evoluzione del mercato dei prodotti monouso biodegradabili e compostabili potrebbe, inoltre, confondere i cittadini, ma l’unica soluzione sembra essere una periodica formazione ed informazione.

“Al momento – conclude l’ufficio tecnico del CIC – i quantitativi di manufatti compostabili diversi dai sacchetti, a cui i cittadini sono ormai abituati, è piuttosto esiguo. Va da sé, e ne abbiamo già prefigurato i rischi, che una crescita indiscriminata e confusa di manufatti biodegradabili e compostabili a fianco dei loro omologhi realizzati in plastica convenzionale accresce in modo rilevante i rischi di confusione, e quindi di contaminazione reciproca tra le filiere dell’organico e della plastica”.

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Cosa ne facciamo del compost?

Il compost, più correttamente definito ammendante compostato, è un prodotto che contribuisce ad accrescere la fertilità dei suoli, grazie all’elevata concentrazione di sostanza organica che lo caratterizza. In base alla tipologia di ammendante, viene destinato a diversi usi.

Se, ad esempio, deriva da soli scarti vegetali il compost viene prevalentemente venduto ad aziende che confezionano terricci per florovivaismo a livello hobbystico o professionale. Invece, l’ammendante derivato per esempio dagli scarti alimentari, cioè l’umido, viene in gran parte impiegato direttamente in agricoltura di pieno campo e in orticoltura.

Oggi in Italia si producono circa 2,2 milioni di tonnellate all’anno di compost, il cui sbocco principale, circa l’80%, è l’agricoltura di pieno campo; il restante 20% viene commercializzato per utilizzi nei settori del giardinaggio e del florovivaismo.

Fonte: Economia Circolare.com

Il PET è la plastica più riciclabile e riciclata, ma potrebbe essere più circolare

Quanto è effettivamente circolare il PET? Quante bottiglie vengono effettivamente raccolte per il riciclaggio? Quanto PET viene effettivamente riciclato? E quanto di quello riciclato viene utilizzato nella produzione di nuove bottiglie? Un rapporto pubblicato oggi da Zero Waste Europe e da Eunomia Research & Consulting getta nuova luce sulla riciclabilità di questo diffusissimo polimero

Un nuovo rapporto pubblicato oggi da Zero Waste Europe e da Eunomia Research & Consulting,  “Quanto è circolare il PET?”, offre uno spaccato sul reale stato di circolarità del polietilene tereftalato in Europa. Un focus su quante bottiglie, e quindi quanto PET, si raccoglie per essere avviato al riciclo, quanto ne viene effettivamente riciclato e quanto del PET riciclato viene poi utilizzato nella produzione di nuove bottiglie.

La plastica più raccolta e più riciclata

Iniziamo col ricordare che il PET è il polimero ampiamente utilizzato nella produzione di imballaggi monouso come per le bottiglie per bevande e come fibre di poliestere nella produzione tessile. Ed è anche il polimero maggiormente raccolto – insieme al PP, Polipropilene, e al PE, polietilene a bassa ed alta densità (rispettivamente LDPE e HDPE in sigla) – e il più riciclato a livello globale.

Tuttavia la situazione che emerge dal rapporto non è esaltante, in quanto la maggior parte del polietilene tereftalato recuperato dalle bottiglie in Europa non ritorna sotto forma di materia prima seconda, o rPET, nella produzione di nuove bottiglie in PET.

Per migliorare e spingere al massimo la circolarità del PET – avverte lo studio – si dovranno apportare alcuni necessari e significativi miglioramenti nel design degli imballaggi in PET e nei sistemi di raccolta e riciclaggio.

Fonte: Zero Waste Europe – Eunomia Research & Consulting

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 I punti chiave dello studio 

Vediamo nel dettaglio i risultati chiave emersi dal report.

  • La maggior parte del PET riciclato recuperato dalle bottiglie in Europa viene utilizzato in altre applicazioni di qualità inferiore come vassoietti, film, reggette o prodotti tessili, mentre le nuove bottiglie immesse sul mercato contengono in media solamente il 17% di PET riciclato, nonostante il tasso di riciclaggio del PET si attesti sul 50% circa;
In blu il PET per bottiglie, in azzurro per il resto dei prodotti (migliaia di tonnellate).
Di cui i 60% raccolto tra bottiglie e il resto imballaggi.
Di cui una parte persa nel processo selezione (tappi, coperchi e etichette) e di riciclo complessivo.
Del 50% di riciclo da bottiglie solo il 17% va a creare altre bottiglie. Una quota va per fare altri imballaggi e tessile e una parte si perde nel processo di estrusione/riciclo. (POM: prodotti immessi al mercato)
Fonte: Zero Waste Europe – Eunomia Research & Consulting 
  • Il PET da riciclato (rPET) che potrebbe derivare da tutto il flusso dei prodotti in PET  –  compresi i citati vassoietti monouso, prodotti tessili, film e reggette – proviene esclusivamente dalle bottiglie, a causa dei tassi di riciclaggio troppo bassi dei materiali in PET diversi dalle bottiglie. Infatti degli 1,8 milioni di tonnellate di scaglie riciclate prodotte a partire dalle bottiglie, solo il 31% viene trasformato in granuli/pellet per creare bottiglie, mentre il restante 69% va ad alimentare la produzione di altri prodotti in PET;
  • Lo stato dell’arte del riciclaggio delle bottiglie in PET varia da continente a continente. Mentre alcuni Paesi raggiungono alti tassi di riciclaggio dovuti principalmente alla presenza di sistemi di deposito cauzionale (DRS), altri si attestano su tassi di riciclaggio più bassi quando impiegano esclusivamente sistemi di raccolta differenziata.

Oltre al riciclaggio meccanico – spiegano gli autori del report – si potrà contare sul potenziale contributo che le tecnologie di depolimerizzazione chimica possono dare alla circolarità complessiva del PET – a patto che raggiungano la piena maturità e che il loro impatto venga valutato appieno.

Il ruolo cruciale delle raccolte selettive

Le più recenti politiche europee e gli impegni più ambiziosi sottoscritti dai grandi marchi internazionali vanno tutti nella direzione di incrementare la circolarità del PET.

Tuttavia, il rapporto mostra che livelli più alti di contenuto riciclato si possono raggiungere solamente con l’implementazione di raccolte selettive per le bottiglie, come avviene con i sistemi di deposito cauzionale. Vanno poi sostituite le bottiglie colorate o opache con bottiglie trasparenti e bisogna dare priorità al riciclaggio bottle-to-bottle (da bottiglia a bottiglia) per prevenire che il PET venga utilizzato per altre applicazioni meno “nobili”.

Mettendo in campo questi accorgimenti –  conclude lo studio – si potrà arrivare ad avere una disponibilità di PET da riciclo per le bottiglie tra il 61% e il 75% al 2030. Al contrario, senza interventi sostanziali si potrà aspirare all’obiettivo, decisamente poco ambizioso, del 30% indotto dall’azione politica (ovvero l’obiettivo del 30% sul contenuto riciclato presente nelle bottiglie in PET della direttiva SUP).

L’impatto degli accorgimenti prima citati potrebbero favorire l’incremento della percentuale di contenuto riciclato rPET anche sugli altri imballaggi diversi dalle bottiglie: secondo il rapporto potremmo passare dall’attuale 28% a una percentuale compresa tra il 47 e il 56% di rPET.

Per tutte le applicazioni in PET che non sono imballaggi monouso il contenuto riciclato potrebbe passare dall’attuale 24% a un 41-42%, come spiega la figura che segue.

riciclo PET
Fonte: Zero Waste Europe – Eunomia Research & Consulting

“Questo studio dimostra che oggi  il PET non è molto circolare e sarà così anche in futuro, a meno che non arrivino cambiamenti politici sostanziali e si rimuovano le barriere tecniche ed economiche”, dichiara Dorota Napierska di Zero Waste Europe. “Potremmo ipotizzare che, se il tipo di plastica più riciclabile e riciclato fa fatica ad affrontare le sfide per diventare più circolare, gli altri tipi di plastica potrebbero affrontare sfide ancora maggiori. Di conseguenza – aggiunge Napierska – il modo più efficace per aumentare la circolarità di questo materiale non è solo attraverso il riciclaggio, ma attraverso il suo utilizzo su applicazioni durevoli invece di quelle usa e getta”.

Il PET da riciclato copre basse quote del fabbisogno
Fonte: Zero Waste Europe – Eunomia Research & Consulting 

Fonte: Silvia Ricci per EconomiaCircolare.com

Anci-CONAI, aumentati i corrispettivi per la raccolta

La decisione del comitato di verifica congiunto dice che il coefficiente di revisione dei corrispettivi è il 2,27%

Il Comitato di Verifica ANCI-CONAI ha formalizzato la revisione annuale dei corrispettivi riconosciuti per la raccolta e il conferimento ai Consorzi di filiera dei rifiuti di imballaggio. In particolare, i corrispettivi hanno avuto un incremento che tiene conto dell’indice NIC 2020/2019, che è risultato pari all’1,9%, oltre che degli indici NIC dei due anni precedenti, non applicati in quanto inferiori all’1%. Il coefficiente di revisione dei corrispettivi è quindi risultato essere del 2,27%.
I nuovi corrispettivi ANCI-CONAI 2022 sono scaricabili al seguente link https://www.conai.org/wp-content/upl…

La Commissione Ue contro il recepimento della direttiva Sup. Ora l’Italia è rischio infrazione

Per l’Italia continuano i problemi in merito al recepimento della direttiva UE che mira a ridurre la dispersione della plastica monouso nell’ambiente. Dopo la richiesta inascoltata di una sospensione del provvedimento legislativo, il rischio di una procedura d’infrazione si fa più concreto

Pronti… via? Anzi no, meglio un rinvio. Da oggi è in vigore il recepimento italiano della direttiva Sup, la normativa comunitaria del 2019 che punta alla “riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente”. Con il decreto legislativo n. 196 dell’8 novembre 2021 il nostro Paese, dopo più di due anni di rinvii e polemiche, si è finalmente adeguato al dettato comunitario. Lo ha fatto, però, inserendo una serie di commi “aggiuntivi” che la Commissione europea qualche settimana fa ha contestato con una comunicazione ufficiale al ministero dello Sviluppo economico. Il “parere circostanziato” firmato dal commissario europeo al Mercato interno Thierry Breton, che EconomiaCircolare.com ha avuto modo di visionare, è una bocciatura netta e lunga due pagine e mezzo, che analizza alcuni passaggi del provvedimento italiano soffermandosi sulle singole parole e definizioni.

Uno dei focus della bocciatura di Bruxelles è il tentativo del nostro Paese di salvaguardare il settore delle bioplastiche. “La direttiva Sup non prevede alcuna eccezione per la plastica biodegradabile – scrive in maniera esplicita il commissario Breton -. Al contrario, prevede esplicitamente che la definizione di ‘plastica’ contenuta nella direttiva dovrebbe comprendere la plastica a base organica e biodegradabile, a prescindere dal fatto che siano derivati da biomassa o destinati a biodegradarsi nel tempo. Pertanto, tale plastica biodegradabile è considerata come qualsiasi altra plastica“.

In teoria, quando la Commissione emana un parere circostanziato, dovrebbe conseguirne “la proroga dei termini del periodo di astensione obbligatoria dall’adozione del provvedimento notificato, che risultano ora fissati al 23 marzo 2022”.  In pratica il governo italiano, avrebbe dovuto sospendere l’attuazione del provvedimento che invece da oggi è pienamente vigente. Si presume, allora, che utilizzerà questo arco temporale per riaffermare le proprie ragioni nelle sedi europee.
Ma quali sono nel concreto le parti del decreto legislativo di recepimento che la Commissione contesta? E quali possono essere le conseguenze di una bocciatura così netta?

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I motivi della bocciatura 

Il parere della commissione entra nel dettaglio della definizione di plastica monouso e contesta alle norme entrate in vigore oggi di aver escluso da tale definizione i “rivestimenti in plastica aventi un peso inferiore al 10 per cento rispetto al peso totale del prodotto, che non costituiscono componente strutturale principale dei prodotti finiti”. Un’interpretazione tutta italiana, conferma il documento della Commissione, la quale ricorda che le definizioni condivise a livello europeo della plastica monouso “non impongono alcuna soglia per la quantità di plastica da includere nel prodotto affinché possa essere considerato un prodotto di plastica monouso. Non vi sono altri elementi nella direttiva, né nella storia legislativa, che indichino che tali definizioni dovrebbero essere interpretate in modo tale da richiedere una percentuale minima di contenuto di plastica per costituire un prodotto di plastica monouso”. E, secondo il parere, la misura italiana può incidere e modificare arbitrariamente il mercato interno “dato che tale soglia del 10% esclude dal campo di applicazione delle norme sui prodotti di plastica monouso determinati prodotti che sarebbero inclusi in tale ambito senza tale soglia quantitativa”.

Allo stesso modo, come accennato, viene respinto al mittente anche il tentativo di salvaguardare il settore delle bioplastiche dal divieto di immissione sul mercato dei prodotti monouso. A tal proposito, infatti, l’Italia ha previsto, con il paragrafo 3 dell’art. 5 del decreto legislativo dello scorso novembre, “un elenco di eccezioni per taluni prodotti biodegradabili e compostabili per i quali la materia prima rinnovabile raggiunge una certa percentuale” (il 40% per i primi due anni, il 60% a partire dal 2024). Eccezioni che, secondo la Commissione, non si possono applicare perché la plastica biodegradabile è comunque da considerare una plastica a tutti gli effetti. Ecco perché “la Commissione ritiene che tale disposizione del progetto notificato, prevedendo le eccezioni che consentono l’immissione sul mercato di prodotti di plastica biodegradabili e compostabili monouso elencati nella parte B dell’allegato, in particolare bastoncini cotonati, posate, piatti, cannucce, agitatori per bevande, ecc., sia contraria all’articolo 5 della direttiva Sup”.

Bocciato, poi, anche il credito d’imposta previsto dallo Stato italiano verso le imprese che promuovono l’acquisto di materiali e prodotti alternativi alla plastica monouso: anche in questo caso, infatti, il legislatore italiano ha sì inserito correttamente le alternative riutilizzabili ma anche, nuovamente, la plastica biodegradabile e compostabile. Che invece, secondo il parere della Commissione, rischia di incentivare la sostituzione della plastica monouso con quella biodegradabile. In un meccanismo tutt’altro che circolare. “La direttiva invita inoltre gli Stati membri a rispettare con tali misure la gerarchia dei rifiuti – si legge ancora nel documento – favorendo così la prevenzione, il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero prima dello smaltimento. La Commissione ritiene che la misura che, invece di prevenire, promuove finanziariamente l’uso di un determinato prodotto di plastica monouso, sia esso biodegradabile (in quanto plastica ai sensi della direttiva Sup), e non il riutilizzo, il riciclaggio o il recupero, sia contraria all’articolo 4 e agli obiettivi della direttiva Sup”.

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Gli scenari dopo il parere della Commissione

E ora che succede? Prima di arrivare a questa bocciatura, il governo italiano, come ricorda la stessa Commissione, aveva provato a difendere le proprie ragioni (e quelle di un intero settore). “Le spiegazioni fornite dalle autorità italiane in risposta alla richiesta di informazioni supplementari della Commissione del 14 ottobre 2021 in merito al regime specifico introdotto per i prodotti di plastica biodegradabili e compostabili non modificano tale valutazione” scrive la Commissione, che poi aggiunge di non ravvisare “alcuna base giuridica per l’Italia per introdurre deroghe speciali”.  Sì all’adeguamento, insomma, no alle interpretazioni “all’italiana”.

Ora toccherà al governo e al ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani difendere le ragioni della scelta racchiusa nel decreto legislativo approvato a novembre, con la consapevolezza che le “correzioni” implicitamente evocate dall’Unione europea potrebbero produrre notevoli danni economici per l’industria della carta e per la filiera delle bioplastiche, già in difficoltà a causa dell’aumento dei prezzi dell’energia e dell’assenza di materie prime. D’altro canto le questioni emerse in quest’ultima missiva indirizzata al nostro esecutivo erano note da tempo, ma si è preferita la via della forzatura a quella dell’adeguamento per tempo. Non resta che sperare che si riesca, nelle prossime occasioni  di confronto, a evidenziare le specificità italiane nella gestione post consumo degli oggetti monouso messi sotto i riflettori da Bruxelles perché non rientranti nella previsione della direttiva.

Le opzioni, in ogni caso, sembrano limitate, dato che le precedenti prove di dialogo sono tutte falliteCome ricordava a Economiacircolare.com l’esperto Paolo Azzurro, consulente tecnico in materia di rifiuti e di economia circolare, l’Italia ha avuto molto tempo e molti tavoli a disposizione per provare a modificare la direttiva già durante la stesura in sede comunitaria (le direttive, come è noto, sono soggette a discussioni ampie e che si protraggono per anni). Nonostante la ferma opposizione degli interlocutori comunitari, il nostro Paese ha scelto di andare avanti sulla propria strada.
Probabilmente il nostro Paese avrebbe potuto intervenire anche a decreto approvato, prima dell’entrata in vigore effettiva, perché la missiva firmata dal commissario Breton risale a qualche giorno prima di Natale 2021. il governo avrebbe potuto forse prorogare in extremis l’entrata in vigore della nuova normativa, magari prorogandolo al 23 marzo 2022 in applicazione della procedura comunitaria in caso di emissione di pareri circostanziati. Non averlo fatto potrebbe procurare ulteriori problemi al nostro Paese.

Ora le ipotesi sono due: o l’Italia, alla luce delle nuove comunicazioni arrivate da Bruxelles, modifica con il primo provvedimento utile il sui decreto legislativo di recepimento della direttiva Sup, oppure potrebbe aprirsi una procedura d’infrazione nei confronti di uno Stato che ha scelto di non adeguarsi alle (ripetute) indicazioni giunte dalle autorità europee.

Fonte: EconomiaCircolare.com