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Consumi e rifiuti in era COVID. CONAI: -7% immesso al consumo ma +1% riciclo

Una diminuzione degli imballaggi immessi sul mercato pari al 7%, ossia un milione di tonnellate di packaging in meno. Ma un aumento dell’1% del loro riciclo, che dal 70% del 2019 dovrebbe passare al 71% per il 2020: ossia 9 milioni di tonnellate di imballaggi riciclati. È la prima stima sui dati dell’anno della pandemia che CONAI rende nota in occasione della Giornata mondiale del riciclo.

Il COVID-19, insomma, non frena la filiera del riciclo degli imballaggi in Italia. «L’immesso al consumo è diminuito nel 2020, soprattutto per il venir meno dei pack destinati ai settori commerciali e industriali» spiega il presidente del Consorzio Nazionale Imballaggi Luca Ruini. «Sono ovviamente calati i conferimenti dal circuito di hotel, bar e ristoranti. Ma, grazie alla crescita della raccolta differenziata urbana, stimiamo che la contrazione delle quantità complessive avviate a riciclo sia più contenuta. Il riciclo dei rifiuti di imballaggio di origine domestica, quindi, ci ha permesso di superare il 70% del 2019: dovremmo aver messo a segno un 71% di riciclo totale, anche in un anno così difficile».

CONAI rivela anche una prima previsione per l’anno in corso.

Compatibilmente con un andamento della situazione sanitaria non in peggioramento, il 2021 autorizza a prevedere nuovi miglioramenti nei risultati: è infatti atteso un incremento dell’immesso al consumo di imballaggi e dei loro quantitativi avviati a riciclo, che a fine anno dovrebbero arrivare a rappresentare il 71,4%. È quindi legittimo aspettarsi che il 2021 possa chiudersi con quasi 9 milioni e mezzo di tonnellate di packaging riciclate.

Pesantemente segnato dalla pandemia, il primo quadrimestre 2020 aveva visto scongiurare un’emergenza rifiuti grazie all’efficace collaborazione fra il sistema consortile, le Istituzioni, i gestori e gli impianti. Già prima della fine di marzo, infatti, il blocco di settori economici che tradizionalmente impiegano il materiale riciclato stava mettendo in difficoltà la filiera. Il sistema consortile aveva così lanciato l’allarme e proposto un modello di intervento capace di gestire la fase più acuta attraverso provvedimenti urgenti per l’anello della catena più sotto pressione: gli impianti di trattamento per il riciclo, aumentandone temporaneamente i limiti di stoccaggio.

«Anche durante i mesi dell’esplosione dell’emergenza i ritiri dei rifiuti di imballaggio da raccolta urbana non si sono mai interrotti» commenta il presidente Ruini. «Anzi, hanno continuato a crescere. Il primo quadrimestre del 2020, quello che ha segnato l’inizio della pandemia, ha visto i conferimenti al sistema consortile aumentare per tutti i sei materiali d’imballaggio, pur con percentuali diverse. Un fenomeno chiaramente legato all’aumento degli acquisti di prodotti imballati nei comparti dell’alimentare, della detergenza e della farmaceutica».

Nel 2020, sul totale degli imballaggi avviati a riciclo in Italia, la percentuale di quelli riciclati grazie al contributo del sistema CONAI è prevista in aumento: dovrebbe risultare pari al 53% (nel 2019 si assestava sul 50%).

«Come spesso accade in situazioni di crisi, i Consorzi di Filiera che fanno capo a CONAI  dimostrano ancora una volta il loro ruolo di sussidiarietà al mercato» commenta Luca Ruini. «Un vero e proprio valore aggiunto per l’intera filiera del riciclo e del recupero dei rifiuti di imballaggio. CONAI, del resto, rimane il garante del raggiungimento degli obiettivi di riciclo imposti dall’Unione Europea, che chiede di raggiungere il 65% entro il 2025. Anche alla luce di questo dato, il 71% con cui stimiamo di aver chiuso il 2020 ci rende soddisfatti e, pur fra tante difficoltà, rende ottimista il nostro sguardo di lungo periodo».

Fonte: Eco dalle Città

Produzione rifiuti urbani, Italia poco sotto media Ue in 2019

Gli italiani producono 499 chili di rifiuti urbani l’anno, dato di poco inferiore alla media europea di 502. Lo rende noto Eurostat. Il dato si riferisce al 2019, in leggero calo rispetto al 2012 (504 chili). I danesi producono più rifiuti di tutti (844 chili), seguiti da lussemburghesi (791) e maltesi (694) mentre tra gli altri Paesi solo la Spagna (476 chili) ne produce meno dell’Italia.
    Romania, Polonia ed Estonia sono gli Stati in cui si producono meno rifiuti urbani pro-capite. Degli Stati rilevati fuori dall’Ue, Norvegia (776 chili), Svizzera (709) e Islanda (656) sono sopra la media europea, mentre il Regno Unito si attesta al di sotto con 463 chili di rifiuti urbani pro-capite. I rifiuti urbani rappresentano il 10% dei rifiuti prodotti. Di questi il 48% in Ue viene riciclato. L’Eurostat rileva una chiara tendenza degli Stati membri a ricorrere a metodi alternativi di smaltimento dei rifiuti rispetto alla discarica.
    Dal 1995 al 2019 le tonnellate di rifiuti smaltiti in discarica sono passati da 121 a 54, un calo pari al 56%. (ANSA)

Con coronavirus produzione rifiuti urbani indietro di 20 anni

Una riduzione della produzione dei rifiuti urbani – in linea con le previsione sul crollo del Pil – potrebbe portare la quantità totale a fine pandemia ai livelli di venti anni fa e cioè a 28,7 milioni di tonnellate.

Senza contare che bisogna calcolare il raddoppio, se non di più, dei rifiuti sanitari. A scattare una fotografia dell’impatto del coronavirus sulla filiera del settore è la relazione ‘Emergenza epidemiologica Covid-19 e ciclo dei rifiuti’, portata avanti dalla commissione Ecomafie.

“Nella fase di applicazione delle più stringenti misure di contenimento – spiega la commissione bicamerale – si sono osservati una decisa contrazione nella produzione dei rifiuti speciali di origine industriale e un aumento dei rifiuti domestici e del rifiuto organico. Nel complesso, i rifiuti urbani sono diminuiti per effetto della forte riduzione” di quelli provenienti da commercio, turismo e terziario.

In base all’analisi dei dati dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) “i rifiuti urbani nel bimestre marzo e aprile 2020 sono diminuiti di circa il 10%”, pari a “meno 500mila tonnellate”. E, seguendo la linea del Pil, “la produzione dei rifiuti urbani alla fine del 2020 potrebbe ammontare a circa 28,7 milioni di tonnellate, dato confrontabile con quello del 2000”. Mentre sono aumentati “i rifiuti sanitari a rischio infettivo”; e anche se ancora non è possibile fare una valutazione corretta, “i dati mostrano una capacità degli impianti pari a 340mila tonnellate, a fronte delle 144mila trattate nel 2018”.

Fonte: Ansa.it

ISPRA presenta il Rapporto Rifiuti Urbani 2016

Il Rapporto Rifiuti Urbani 2016 dell’Ispra fotografa un’Italia che tende a produrre sempre meno rifiuti. Nel 2015 sono stati 29,5 milioni di tonnellate i rifiuti urbani, -0,4% rispetto al 2014 e un calo complessivo, rispetto al 2011, di quasi 1,9 milioni di tonnellate (-5,9%).
A calare di più è il Centro Italia (-0,8%), che in valori assoluti produce 6,6 milioni di tonnellate di rifiuti, mentre il Nord si mantiene sulla media nazionale (-0,4%) con un quantitativo prodotto pari a 13,7 milioni di tonnellate; al Sud la produzione si contrae dello 0,2% (9,2 milioni di tonnellate).
Sono 11 le regioni italiane a segnare una riduzione della produzione dei rifiuti urbani nel 2015. In particolare, una decrescita di poco inferiore al 3% si osserva per l’Umbria e cali superiori o pari al 2% per la Liguria, il Veneto e il Lazio. Il Trentino Alto Adige, la Basilicata e la Calabria mostrano riduzioni rispettivamente pari all’1,4%, 1,1% e 1%, mentre per Lombardia, Marche, Puglia e Sardegna la contrazione risulta inferiore all’1%.
Nel 2015, la percentuale di raccolta differenziata in Italia raggiunge il 47,5% della produzione nazionale, facendo rilevare una crescita di + 2,3 punti rispetto al 2014 (45,2%), superando i 14 milioni di tonnellate.
Nel Nord il quantitativo si attesta al di sopra di 8 milioni di tonnellate, nel Centro a quasi 2,9 milioni di tonnellate e nel Sud a 3,1 milioni di tonnellate. Tali valori si traducono in percentuali, calcolate rispetto alla produzione totale dei rifiuti urbani di ciascuna macroarea, pari al 58,6% per le regioni settentrionali, al 43,8% per quelle del Centro e al 33,6% per le regioni del Mezzogiorno.
Alla regione Veneto va la palma della raccolta differenziata nel 2015 grazie al 68,8%, seguita dal Trentino Alto Adige con il 67,4%. Entrambe le regioni sono già dal 2014 al di sopra dell’obiettivo del 65% fissato dalla normativa per il 2012. Seguono, tra le regioni più virtuose, il Friuli Venezia Giulia (62,9%), seguita da Lombardia, Marche, Emilia Romagna, Sardegna e Piemonte, queste ultime cinque con tassi superiori al 55%. Tra 45% e 50% si collocano Abruzzo, Umbria, Campania, Valle d’Aosta e Toscana. Liguria e Lazio sono di poco al di sopra del 35%, mentre superano il 30% la Basilicata e la Puglia. La Calabria è la regione che fa segnare la maggiore crescita della percentuale di raccolta differenziata, +6 punti rispetto al 2014, anche se il 25% la colloca ancora al penultimo posto tra le regioni, seguita solo dalla Sicilia (12,8%). Sfiorano i 5 punti di crescita Valle d’Aosta e Lazio.
I servizi di igiene urbana in Italia costano in media 168 euro l’anno pro capite, per l’esattezza 167,97.
Il Rapporto Rifiuti Urbani 2016 dell’Ispra che contiene i dati dell’indagine condotta su un campione di circa 5.800 Comuni (corrispondenti a oltre 48,6 milioni di abitanti).
Di questi 168 euro, i costi di gestione dei rifiuti indifferenziati e delle raccolte differenziate ammontano rispettivamente a 58,98 e a 46,35 euro l’anno; lo spazzamento e lavaggio delle strade a 22,53 euro l’anno; i costi comuni a 32,09 euro l’anno e, infine, i costi di remunerazione del capitale a 8,01 euro l’anno.
Aumentano, con il crescere della dimensione comunale, i costi annui pro capite, passando dai 131,76 euro per abitante l’anno per i Comuni con una popolazione inferiore ai 5mila abitanti ai 191,03 euro per i Comuni con più di 50mila abitanti.

L’indagine dell’Ispra ha determinato anche i costi di gestione delle raccolte differenziate delle principali tipologie di materiali. In particolare, i costi specifici in eurocentesimi/kg, calcolati come medie nazionali, risultano, nel 2015, di 15,7 per la carta e cartone; 10,7 per il vetro; 16,5 per la plastica; 21,1 per la raccolta multimateriale. E ancora: 10,6 per i metalli; 9,4 per il legno; 18,6 per i tessili; 22,1 per la frazione umida; 9,2 per la frazione verde; 38,3 per gli oli commestibili esausti; 33 per gli pneumatici usati; 18,1 per i Raee e 86,9 eurocentesimi/kg per le batterie e gli accumulatori esausti.

Rapporto Rifiuti Urbani – Edizione 2016

Rapporto Rifiuti Urbani – Edizione 2016 Estratto