Il Pacchetto UE sull’Economia Circolare e il paradosso dei termovalorizzatori

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Il quadro nazionale relativo al governo dei rifiuti urbani deve affrontare a breve un profondo rinnovamento a seguito della pubblicazione nel luglio 2018 nella sua versione definitiva del “Pacchetto sull’Economia Circolare”, significativamente sottotitolato “un programma Rifiuti Zero per l’Europa” a testimoniare il solido legame reciproco tra visione circolare di una economia efficientata a livello UE e l’implementazione delle strategie Rifiuti Zero, che ne possono essere lo strumento attuativo nei programmi locali.

Il percorso istituzionale di tale pacchetto era iniziato nel 2014 ed include obiettivi e previsioni qualificanti circa il riuso e riciclo dei rifiuti urbani (65% entro il 2035 senza considerare il compostaggio) e dei rifiuti da imballaggio (70% al 2035), la minimizzazione del ricorso alla discarica (massimo 10% al 2035). A questi si aggiungono l’obbligo di raccolta differenziata dell’organico in tutta Europa a partire dal 2024 nonché un’armonizzazione dei criteri di calcolo per il conseguimento di tali obiettivi.

Inoltre, sempre a livello comunitario è attualmente in atto la revisione della Direttiva sulle Fonti Energetiche Rinnovabili, che prevede condizioni più restrittive per la concessione di sussidi al trattamento termico dei rifiuti (che dovrebbero rispettare la gerarchia UE con la priorità alle opzioni superiori) e la revisione dei criteri di erogazione dei Fondi Regionali UE per escludere dai finanziamenti qualunque tecnologia di trattamento del rifiuto residuo, proprio per renderla meno economicamente vantaggiosa rispetto agli interventi di riduzione e recupero. Il tramonto delle politiche di sussidio e finanziamento determinerà quindi un significativo peggioramento del quadro economico per i business plan di nuovi impianti di incenerimento.

Le principali determinanti della nuova “Waste Policy” comunitaria, cui dovranno essere conformate le strategie e politiche nazionali nei prossimi decenni, possono dunque essere sintetizzate come di seguito:

1.  Si va nella direzione di un forte incremento dei livelli di ambizione a livello UE, in particolare per l’innalzamento degli obiettivi complessivi di riuso e riciclaggio, minimizzando i cosiddetti “leakage (decadimenti) di materiali dai modelli circolari, come sarebbe nel caso di incenerimento e discarica;

2.  La raccolta differenziata obbligatoria dell’organico conferma strategie già ampiamente diffuse sul territorio nazionale, ne consolida ruolo ed effetto, e – per quanto riguarda le implicazioni operative sulla gestione del RUR – determinerà un sempre maggiore drenaggio di matrici putrescibili dal rifiuto residuo, determinandone una maggiore inclinazione alla lavorabilità nell’ottica del recupero dei materiali valorizzabili ancora ivi inclusi (es. plastiche non da imballaggio, che non sono incluse nei circuiti di raccolta differenziata e tendono dunque a concentrarsi nel RUR);

3.  L’effetto combinato di quanto sopra sarà una minimizzazione progressiva del rifiuto urbano residuo (RUR), il che comporta condizioni di rischio per gli investimenti in tecnologie che richiedono flussi costanti di RUR (tipicamente, l’incenerimento), e determina la necessità di tecnologie flessibili, ossia in grado di adattarsi a scenari con diminuzione progressiva del RUR e parallelo aumento delle frazioni da RD, sia quelle compostabili che quelle riciclabili.

In relazione all’ultimo punto, ha recentemente determinato ampia risonanza l’analisi critica della situazione nei Paesi del Nord Europa commissionata dai Ministeri dell’Ambiente di tali Paesi che ha dimostrato che in tale area il largo ricorso alla termovalorizzazione con recupero energetico (termine che nel resto d’Europa viene tradotto semplicemente con “incenerimento”) ha sostanzialmente “ingessato” il sistema frenando lo sviluppo dei tassi di riciclo e delle politiche di riduzione.

Il paradosso degli Stati membri del Nord Europa che hanno praticamente eliminato le discariche è infatti che la rigidità del sistema impiantistico a servizio dell’incenerimento e dei suoi contratti ventennali o trentennali, vincola le comunità e i territori serviti a conferire determinati quantitativi di rifiuti ogni anno. A causa di questi vincoli contrattuali gli interessi dei soggetti pubblici o privati detentori e gestori degli impianti di incenerimento risultano inevitabilmente in contrasto con le politiche di riduzione e prevenzione che tendono a limitare ulteriormente i quantitativi prodotti ed a aumentare oltre certi livelli i tassi di riciclo.

Lo scenario tendenziale nazionale deve dunque mostrare una forte propensione evolutiva, con innalzamento dei tassi di raccolta differenziatariciclo e di recupero materia ben oltre i livelli medi attuali, ed allineati con le buone pratiche operative che abbondano in Italia e fanno spesso da modello a livello mondiale. Per applicare correttamente le suddette strategie europee anche dal punto di vista impiantistico, risulta quindi necessario: realizzare rapidamente l’impiantistica necessaria ad accompagnare l’aumento dei livelli di riciclo e recupero (ad es. gli impianti di compostaggio); garantire la capacità di pretrattamento del RUR, come previsto dalla Direttiva 1999/31 sulle discariche, e dai suoi recepimenti in ambito nazionale; questo va fatto privilegiando le tipologie impiantistiche connotate da intrinseca flessibilità operativa, per garantirne la compatibilità e l’adattamento, diretto o con modifiche organizzative ed operative di entità marginale, a scenari con riduzione progressiva del rifiuto urbano residuo (RUR) ed aumento delle frazioni derivanti da una raccolta differenziata sempre più incisiva ed efficiente.

Tali principi sono stati recepiti anche nel programma del Governo Conte Bis appena insediato che si è impegnato “a promuovere politiche volte a favorire la realizzazione di impianti di riciclaggio e, conseguentemente, a ridurre il fabbisogno degli impianti di incenerimento, rendendo non più necessarie nuove autorizzazioni per la loro costruzione”. Prima di questo importante impegno strategico in Italia si era invece cercato di imporre alle Regioni la realizzazione di 12 nuovi inceneritori con recupero energetico. L’art. 35 del Dl 133/14, noto come “Sblocca Italia” aveva individuato infatti l’incenerimento come unico sistema possibile per il pretrattamento dei rifiuti anche se, come da più parti rilevato, tale scelta risultava in contraddizione con il testo della stessa Direttiva 1999/31, che all’articolo 2 include il trattamento termico (incenerimento, trattamenti termici non convenzionali, co-incenerimento) tra i trattamenti possibili, ma non lo individua come unica opzione. In sede di Conferenza Stato-Regioni è stata inoltre evidenziata la mancanza di una procedura di una VAS (Valutazione Ambientale Strategica) che risultava invece necessaria a corredo del suddetto Decreto in quanto lo stesso si configurava come un vero e proprio atto programmatorio integrativo.

Non a caso, dopo le prese di posizione di diverse Regioni che hanno resa esplicita (con dichiarazioni di Governatori ed Assessori, o con l’adozione di disposizioni o Piani regionali) l’intenzione di non seguire le indicazioni dello “Sblocca-Italia”, è arrivato il rinvio, da parte della Giustizia Amministrativa, del Decreto alla Corte di Giustizia Europea, su iniziative di alcune ONG e proprio in relazione alla debole argomentazione sulle scelte operate e alla mancanza di valutazioni a supporto (oltre che alla potenziale contraddizione con gerarchie UE e previsioni del Pacchetto Economia Circolare). La Corte di Giustizia Europea ha in seguito sostanzialmente confermato la debolezza dell’impianto dello Sblocca-Italia, per l’assenza di una VAS con relativa analisi delle alternative.

Fonte: RiEnergia

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