La Commissione Ue contro il recepimento della direttiva Sup. Ora l’Italia è rischio infrazione

Per l’Italia continuano i problemi in merito al recepimento della direttiva UE che mira a ridurre la dispersione della plastica monouso nell’ambiente. Dopo la richiesta inascoltata di una sospensione del provvedimento legislativo, il rischio di una procedura d’infrazione si fa più concreto

Pronti… via? Anzi no, meglio un rinvio. Da oggi è in vigore il recepimento italiano della direttiva Sup, la normativa comunitaria del 2019 che punta alla “riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente”. Con il decreto legislativo n. 196 dell’8 novembre 2021 il nostro Paese, dopo più di due anni di rinvii e polemiche, si è finalmente adeguato al dettato comunitario. Lo ha fatto, però, inserendo una serie di commi “aggiuntivi” che la Commissione europea qualche settimana fa ha contestato con una comunicazione ufficiale al ministero dello Sviluppo economico. Il “parere circostanziato” firmato dal commissario europeo al Mercato interno Thierry Breton, che EconomiaCircolare.com ha avuto modo di visionare, è una bocciatura netta e lunga due pagine e mezzo, che analizza alcuni passaggi del provvedimento italiano soffermandosi sulle singole parole e definizioni.

Uno dei focus della bocciatura di Bruxelles è il tentativo del nostro Paese di salvaguardare il settore delle bioplastiche. “La direttiva Sup non prevede alcuna eccezione per la plastica biodegradabile – scrive in maniera esplicita il commissario Breton -. Al contrario, prevede esplicitamente che la definizione di ‘plastica’ contenuta nella direttiva dovrebbe comprendere la plastica a base organica e biodegradabile, a prescindere dal fatto che siano derivati da biomassa o destinati a biodegradarsi nel tempo. Pertanto, tale plastica biodegradabile è considerata come qualsiasi altra plastica“.

In teoria, quando la Commissione emana un parere circostanziato, dovrebbe conseguirne “la proroga dei termini del periodo di astensione obbligatoria dall’adozione del provvedimento notificato, che risultano ora fissati al 23 marzo 2022”.  In pratica il governo italiano, avrebbe dovuto sospendere l’attuazione del provvedimento che invece da oggi è pienamente vigente. Si presume, allora, che utilizzerà questo arco temporale per riaffermare le proprie ragioni nelle sedi europee.
Ma quali sono nel concreto le parti del decreto legislativo di recepimento che la Commissione contesta? E quali possono essere le conseguenze di una bocciatura così netta?

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I motivi della bocciatura 

Il parere della commissione entra nel dettaglio della definizione di plastica monouso e contesta alle norme entrate in vigore oggi di aver escluso da tale definizione i “rivestimenti in plastica aventi un peso inferiore al 10 per cento rispetto al peso totale del prodotto, che non costituiscono componente strutturale principale dei prodotti finiti”. Un’interpretazione tutta italiana, conferma il documento della Commissione, la quale ricorda che le definizioni condivise a livello europeo della plastica monouso “non impongono alcuna soglia per la quantità di plastica da includere nel prodotto affinché possa essere considerato un prodotto di plastica monouso. Non vi sono altri elementi nella direttiva, né nella storia legislativa, che indichino che tali definizioni dovrebbero essere interpretate in modo tale da richiedere una percentuale minima di contenuto di plastica per costituire un prodotto di plastica monouso”. E, secondo il parere, la misura italiana può incidere e modificare arbitrariamente il mercato interno “dato che tale soglia del 10% esclude dal campo di applicazione delle norme sui prodotti di plastica monouso determinati prodotti che sarebbero inclusi in tale ambito senza tale soglia quantitativa”.

Allo stesso modo, come accennato, viene respinto al mittente anche il tentativo di salvaguardare il settore delle bioplastiche dal divieto di immissione sul mercato dei prodotti monouso. A tal proposito, infatti, l’Italia ha previsto, con il paragrafo 3 dell’art. 5 del decreto legislativo dello scorso novembre, “un elenco di eccezioni per taluni prodotti biodegradabili e compostabili per i quali la materia prima rinnovabile raggiunge una certa percentuale” (il 40% per i primi due anni, il 60% a partire dal 2024). Eccezioni che, secondo la Commissione, non si possono applicare perché la plastica biodegradabile è comunque da considerare una plastica a tutti gli effetti. Ecco perché “la Commissione ritiene che tale disposizione del progetto notificato, prevedendo le eccezioni che consentono l’immissione sul mercato di prodotti di plastica biodegradabili e compostabili monouso elencati nella parte B dell’allegato, in particolare bastoncini cotonati, posate, piatti, cannucce, agitatori per bevande, ecc., sia contraria all’articolo 5 della direttiva Sup”.

Bocciato, poi, anche il credito d’imposta previsto dallo Stato italiano verso le imprese che promuovono l’acquisto di materiali e prodotti alternativi alla plastica monouso: anche in questo caso, infatti, il legislatore italiano ha sì inserito correttamente le alternative riutilizzabili ma anche, nuovamente, la plastica biodegradabile e compostabile. Che invece, secondo il parere della Commissione, rischia di incentivare la sostituzione della plastica monouso con quella biodegradabile. In un meccanismo tutt’altro che circolare. “La direttiva invita inoltre gli Stati membri a rispettare con tali misure la gerarchia dei rifiuti – si legge ancora nel documento – favorendo così la prevenzione, il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero prima dello smaltimento. La Commissione ritiene che la misura che, invece di prevenire, promuove finanziariamente l’uso di un determinato prodotto di plastica monouso, sia esso biodegradabile (in quanto plastica ai sensi della direttiva Sup), e non il riutilizzo, il riciclaggio o il recupero, sia contraria all’articolo 4 e agli obiettivi della direttiva Sup”.

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Gli scenari dopo il parere della Commissione

E ora che succede? Prima di arrivare a questa bocciatura, il governo italiano, come ricorda la stessa Commissione, aveva provato a difendere le proprie ragioni (e quelle di un intero settore). “Le spiegazioni fornite dalle autorità italiane in risposta alla richiesta di informazioni supplementari della Commissione del 14 ottobre 2021 in merito al regime specifico introdotto per i prodotti di plastica biodegradabili e compostabili non modificano tale valutazione” scrive la Commissione, che poi aggiunge di non ravvisare “alcuna base giuridica per l’Italia per introdurre deroghe speciali”.  Sì all’adeguamento, insomma, no alle interpretazioni “all’italiana”.

Ora toccherà al governo e al ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani difendere le ragioni della scelta racchiusa nel decreto legislativo approvato a novembre, con la consapevolezza che le “correzioni” implicitamente evocate dall’Unione europea potrebbero produrre notevoli danni economici per l’industria della carta e per la filiera delle bioplastiche, già in difficoltà a causa dell’aumento dei prezzi dell’energia e dell’assenza di materie prime. D’altro canto le questioni emerse in quest’ultima missiva indirizzata al nostro esecutivo erano note da tempo, ma si è preferita la via della forzatura a quella dell’adeguamento per tempo. Non resta che sperare che si riesca, nelle prossime occasioni  di confronto, a evidenziare le specificità italiane nella gestione post consumo degli oggetti monouso messi sotto i riflettori da Bruxelles perché non rientranti nella previsione della direttiva.

Le opzioni, in ogni caso, sembrano limitate, dato che le precedenti prove di dialogo sono tutte falliteCome ricordava a Economiacircolare.com l’esperto Paolo Azzurro, consulente tecnico in materia di rifiuti e di economia circolare, l’Italia ha avuto molto tempo e molti tavoli a disposizione per provare a modificare la direttiva già durante la stesura in sede comunitaria (le direttive, come è noto, sono soggette a discussioni ampie e che si protraggono per anni). Nonostante la ferma opposizione degli interlocutori comunitari, il nostro Paese ha scelto di andare avanti sulla propria strada.
Probabilmente il nostro Paese avrebbe potuto intervenire anche a decreto approvato, prima dell’entrata in vigore effettiva, perché la missiva firmata dal commissario Breton risale a qualche giorno prima di Natale 2021. il governo avrebbe potuto forse prorogare in extremis l’entrata in vigore della nuova normativa, magari prorogandolo al 23 marzo 2022 in applicazione della procedura comunitaria in caso di emissione di pareri circostanziati. Non averlo fatto potrebbe procurare ulteriori problemi al nostro Paese.

Ora le ipotesi sono due: o l’Italia, alla luce delle nuove comunicazioni arrivate da Bruxelles, modifica con il primo provvedimento utile il sui decreto legislativo di recepimento della direttiva Sup, oppure potrebbe aprirsi una procedura d’infrazione nei confronti di uno Stato che ha scelto di non adeguarsi alle (ripetute) indicazioni giunte dalle autorità europee.

Fonte: EconomiaCircolare.com

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