Panta Rei. A Vimercate il riuso è filosofia di vita

Panta Rei.
Una citazione filosofica eraclitéa, ma anche il nome del centro del riuso di Vimercate. Un centro nato “per camminare con le proprie gambe”, e dove tutto scorre ed è in divenire.
Ne parliamo con Maurizio Bertinelli, ex Assessore al Comune di Vimercate e promotore di Panta Rei.

Buongiorno Maurizio. Ci racconta la genesi di Panta Rei?

Il presupposto iniziale è l’adesione del Comune di Vimercate alla strategia Rifiuti Zero. All’interno della giunta Cinque Stelle del 2016 eravamo due attivisti di Zero Waste Italy e siamo riusciti ad indirizzare l’azione amministrativa verso il perseguimento dei dieci punti fissati da Rossano Ercolini. Ovviamente con l’obiettivo di rispettare la normativa nazionale e con un occhio alle esperienze europee, prevalentemente sul tema della riduzione dei rifiuti e poi sulla corretta differenziazione, sull’educazione alla cittadinanza, sulla gestione del rifiuto residuo.
In questo percorso abbiamo cercato di individuare quali fossero le azioni più efficaci per la riduzione dei rifiuti e alcune di queste le abbiamo adattate e replicate al nostro contesto: i parchi a rifiuti zero e le EcoFeste, ad esempio. Nel quadro generale ha preso corpo l’idea che si potesse creare un luogo in cui gli oggetti, pur scartati dalle persone, potessero avere una seconda vita. Questo pensiero si è incrociato con la seconda edizione del bando regionale dei centri del riutilizzo in Lombardia (2017).
Abbiamo cercato di individuare associazioni e soggetti che avessero esperienza nei centri del riuso con cui co-progettare e, con la collaborazione fondamentale degli uffici comunali, abbiamo predisposto la nostra proposta, che poi è stata approvata dalla Regione. Nei mesi successivi all’approvazione del progetto (fine 2017) il Centro del Riuso ha preso forma e vita.

Su quali basi ha preso il via l’avventura di Panta Rei?

Esistevano alcuni presupposti su cui si basava il progetto.

Il primo era quello, ovviamente di dare una valenza espressamente ambientale, escludendo fin dall’inizio l’idea di una donazione dei materiali raccolti. L’obiettivo esplicito, era quello di sottrarre materiale al ciclo dei rifiuti, non di fare solidarietà, o quantomeno non come target primario. I cittadini cedono gratuitamente i propri oggetti che, dopo i trattamenti necessari vengono messi in vendita, naturalmente a prezzi anche simbolici, ed in questo si può rintracciare la chiave solidaristica. L’obiettivo principale, però, è e resta quello di prolungare la vita degli oggetti, evitando che possano diventare rifiuti, dando loro un valore.  

Il secondo quello della sostenibilità economica del Centro: Comune e Gestore del servizio di raccolta si impegnano a fornire il luogo e le attrezzature necessarie, ma tutta la gestione delle spese correnti (bollette, stipendi degli operatori, etc.) devono essere recuperate dalla vendita degli oggetti ed in carico al soggetto che gestisce il centro. Insomma, volevamo espressamente che il centro avesse gambe proprie. E questa impostazione ha fatto da stimolo alla nascita di attività parallele quali laboratori di riparazione, corsi di manutenzione di piccoli oggetti (dai mobili alle biciclette), laboratori creativi di upcycling…
Inoltre abbiamo voluto che la struttura fosse in grado di accogliere azioni di volontariato, anche temporaneo, delle realtà del territorio. Ci sono state, ad esempio numerose attività di volontariato aziendale.
Infine abbiamo trovato collaborazioni con associazioni che si occupano del reinserimento di persone con disabilità, che si occupano di fare determinate attività nell’ambito della gestione del centro. Ma sempre nell’ottica del lavoro-formazione: non solo fornisci il tuo contributo operativo, ma vieni formato in modo che tu stesso possa poi diventare formatore, abbia gli strumenti per passare ad altri l’esperienza compiuta ed i principi acquisiti.

Molti centri del riuso lavorano in collaborazione con Caritas e i Servizi Sociali, donando gli oggetti a soggetti in difficoltà. Panta Rei non fa questa attività? 

Eravamo consapevoli di questa interpretazione e di questa impostazione di alcuni centri del riuso.
Esistono realtà in cui esiste una lista di nomi che possono prelevare liberamente gli oggetti, che poi sono per lo più tessili e capi d’abbigliamento. In Lombardia c’è una tradizione solidaristica storica proprio in questo campo.
A Vimercate, però abbiamo fatto la scelta di non raccogliere abiti usati. Abbiamo visto come altrove arrivassero a rappresentare oltre il 50% degli oggetti raccolti, ma non l’abbiamo individuata significativa dal punto di vista del messaggio ambientale.

Ovviamente anche a Panta Rei il sociale ha un ruolo di rilievo e tiene in piedi tutto. Abbiamo voluto che il gestore del centro fosse obbligatoriamente un’associazione o un soggetto senza fini di lucro.

Ci ha detto di presupposti, di obiettivi che l’amministrazione di Vimercate si era posta nella progettazione di Panta Rei. Gli obiettivi sono stati centrati? Il centro oggi funziona come avevate progettato?

La pandemia ha certamente rallentato il raggiungimento degli obiettivi. È chiaro che nel momento in cui il centro resta chiuso per mesi causa COVID, ci sono delle difficoltà. Il centro sta comunque andando bene. Ma io non avevo dubbi: siamo nella Brianza ricca e gli oggetti che arrivano sono spesso di qualità e dunque abbastanza attrattivi. È mancata un po’ la parte di arruolamento di volontari ed associazioni, quella che considero la parte arricchente del progetto, che non può ridursi al mero scambio di oggetti.
Sono però molto contento del fatto che Panta Rei abbia raggiunto da qualche mese il pareggio di bilancio.

Maurizio, lei ha dato il via al centro Panta Rei di Vimercate, ma ha fatto anche un lavoro di censimento Nazionale. Qual è lo stato di salute del sistema “centri del Riuso” in Italia?

Con l’aiuto di Danilo Boni, che è un amico di Zero Waste Italy, circa un anno fa ci siamo chiesti se si potesse fare un censimento nazionale deli Centri del Riuso, soffermandoci sulle realtà supportate dalle amministrazioni pubbliche ed escludendo quelle private. Abbiamo predisposto un questionario con cui raccogliere tutte le informazioni dei Centri del Riuso italiane, ma anche abbiamo cercato di fissare le caratteristiche che noi vediamo come essenziali per la nascita di un centro del riuso. Il tentativo è quello di non fare semplicemente un censimento, ma di creare uno strumento per chi volesse partire con una nuova esperienza legata al riuso.

Abbiamo censito circa 120 centri, che ci hanno dato una indicazione di quel che fanno, di come lo fanno. Soprattutto abbiamo creato un “catalogo” di tutte le esperienze differenti. Credo che anche solo il cercare di organizzarle in un’unica visione sia un processo sbagliato: la ricchezza è anche quella di una profonda diversità fra le varie esperienze. Certo: alcune esperienze sono condivisibili, altre meno; alcune riescono a camminare su gambe proprie, altre stentano a trovare una sostenibilità economica; alcune hanno una vocazione più solidaristica che sociale, altre, come Vimercate, puntano invece decisamente sul discorso di riduzione rifiuti. Ma in ognuna di esse c’è, potenzialmente, un’indicazione utile per chi vorrà cimentarsi con il settore del riuso.
(SC)

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