Con l’e-commerce troppi imballaggi usa e getta. Ma ora arrivano le startup del riutilizzo

Il Covid-19 è stato il definitivo trampolino di lancio per le vendite online. Secondo le stime di un rapporto dell’Unctad (United Nations Conference on Trade and Development) pubblicato il 3 maggio, il balzo dell’e-commerce tra le restrizioni di movimento causate dalla pandemia, ha aumentato la quota delle vendite online globali dal 16% al 19% nel 2020. Il Regno Unito ha visto il picco più marcato nelle transazioni online con un aumento del 7,5 %; così anche per Cina (4,2%) e Stati Uniti (3%). Le vendite online B2C per le 13 principali aziende del mondo hanno toccato il record di 2,9 trilioni di dollari nel 2020. Cifre da capogiro che hanno messo in crisi i punti vendita fisici e arricchito quelli digitali, esacerbando i problemi nel gestire i rifiuti da imballaggio usa e getta.

Confezionare i beni che consumiamo per il trasporto via corriere, infatti, comporta un utilizzo di materiali decisamente maggiore rispetto agli acquisti fatti direttamente in negozio che include anche i materiali di protezione. Gli effetti sull’ambiente causati dalla continua crescita degli imballaggi usa e getta, che siano di carta, cartone, plastica o polistirolo, si è acuito e le previsioni non sembrano delle più rosee. Secondo le stime del Global E-commerce Plastic Packaging Market, nel 2020 il mercato globale degli imballaggi in plastica per l’e-commerce è stato valutato 10,26 miliardi di dollari e si prevede che raggiungerà i 21,78 miliardi di dollari entro il 2026.

Anche nel settore dell’e-commerce si stanno facendo strada alcune soluzioni riutilizzabili, prevalentemente in materiali plastici in varie dimensioni poiché leggeri e facilmente igienizzabili. Si tratta di opzioni adatte a varie tipologie di prodotto che, comparate a quelle monouso, hanno un minore impatto sull’ambiente ma anche sul budget delle aziende perché sul medio e lungo termine vengono a costare di meno.

Sistema centralizzato e decentralizzato

Il riutilizzo degli imballaggi anche nell’e-commerce rappresenta un processo a ciclo chiuso, circolare, dove l’imballaggio non viene sprecato in un singolo viaggio, ma conserva le sue funzioni senza perdere di valore all’interno di cicli di vita che possono anche durare anni.

Da un recente studio  The Rise of Reusable Packaging: Understanding the Impact and Mapping a Path to Scale di Fashion for Good, in collaborazione con l’università di Utrecht e la Sustainable Packaging Coalitionmirato al mondo della moda, emerge che l’impiego di imballaggi riutilizzabili nelle spedizioni al posto del monouso possono portare a importanti riduzioni nelle emissioni di CO2 e nel consumo dei materiale in peso. Lo studio fa anche luce sul numero e la natura della variabili che possono influenzare drasticamente l’impatto ambientale tra le quali le distanze di trasporto, i tassi di restituzione e i tipi di imballaggio utilizzati.

Alcune delle opzioni più comuni di packaging usate nel commercio online (buste in plastica e in cartone) sono state valutate attraverso un’analisi LCA per misurare le emissioni di CO2 equivalenti associate a ciascuna opzione ipotizzando una spedizione di uno stesso bene. In generale i risultati hanno evidenziato che le comuni buste in LDPE (polietilene a bassa intensità) d uso singolo devono oltre tre quarti delle emissioni di carbonio alla fase di lavorazione delle materie prime – indicazione che rafforza la scelta di realizzarle con un alto contenuto di materiale riciclato.

Nel caso degli imballaggi riutilizzabili, una proporzione molto maggiore (tra il 40% e il 60%) delle  emissioni derivano invece dalla fase di trasporto, considerato che le emissioni riferite alla fase di fabbricazione del bene vengono ripartite ( e quindi ammortizzate) su molteplici usi. Da un confronto degli impatti ambientali di un ciclo d’uso tra un imballaggio in cartone (monouso), una busta in LDPE (polietilene a bassa densità) monouso e una riutilizzabile (sempre in LDPE) emerge che :

  • le buste riutilizzabili gestite con un sistema centralizzato (ovvero rese a un unico centro per le operazioni di controllo e igienizzazione prima di essere rimesse in distribuzione presso i rivenditori che ne fanno uso) causano il 39% in meno di emissioni di carbonio per ciclo di utilizzo rispetto a buste  monouso dello stesso materiale con il 30% di contenuto riciclato;
  • le buste riutilizzabili in un sistema decentralizzato (ovvero quando rese al centro di distribuzione dei prodotti da cui partite) causano il 72% di emissioni di carbonio per ciclo in meno rispetto a una busta monouso in LDPE realizzata con il  30% di contenuto riciclato;
  • l’imballaggio riutilizzabile ha l’82% in meno di emissioni di carbonio per ciclo rispetto a una busta in LDPE vergine.
  • in tutti i casi si genera l’87% in meno di rifiuti di plastica (in peso) quando si utilizzano buste riutilizzabili piuttosto che monouso (indipendentemente dal contenuto di materiale riciclato con cui possono essere state realizzate)

“L’imballaggio riutilizzabile è una leva chiave per ridurre l’impatto della plastica anche nel settore della moda. Ci auguriamo che i risultati di questo studio servano a convincere il settore che la circolarità è realizzabile oggi e a utilizzarli come toolkit per tracciare il proprio percorso e scalare soluzioni più sostenibili delle attuali”, afferma Katrin Ley, amministratore delegato di Fashion for Good.

Vista dal lato del cliente la differenza tra gestire un imballaggio monouso o riutilizzabile si presenta nel momento in cui ha esaurito la sua funzione e invece di essere “buttato”  viene chiesto al destinatario di restituire l’imballaggio, tramite posta o altra modalità di consegna. Nel modello centralizzato l’imballaggio viene reso a un nodo logistico aggiuntivo, come anticipato, dove viene pulito e ricondizionato quando necessario, che non coincide con il centro di distribuzione del bene che ha trasportato. Successivamente viene inviato ai centri di distribuzione che fanno capo ai rivenditori online, e il ciclo ricomincia.

Nel modello decentralizzato invece l’imballaggio torna direttamente al centro di distribuzione del rivenditore da cui è partito con operazioni di pulizia e manutenzione effettuate nello stesso hub, senza un passaggio intermedio presso un nodo logistico aggiuntivo.

Il modello decentralizzato si è rivelato in alcuni casi più sostenibile rispetto al sistema centralizzato, perché si elimina un passaggio e si riducono i viaggi che gli imballaggi devono percorrere con minori emissioni di CO2 prodotte. Tuttavia l’adozione di entrambi i modelli determina un impatto ambientale sensibilmente inferiore al modello tradizionale basato sul packaging monouso, sia in plastica che in carta.

Tra i casi studio che vedremo, RePack utilizza un modello centralizzato con un hub logistico per l’Europa situato a Tallinn in Estonia – così come Hipli in Francia– mentre gli altri casi citati hanno adottato un modello decentralizzato. Tuttavia, quando si ripensano i modelli di business è inevitabile imbattersi in cambiamenti necessari che non possono riguardare solamente una sola azienda. Infatti spesso richiedono un cambiamento a livello di sistema e il consenso e la collaborazione di tutte le parti interessate lungo la catena del valore di un particolare prodotto. Il passaggio ad imballaggi riutilizzabili rappresenta un’area in cui la collaborazione tra marchi, rivenditori e produttori di imballaggi riutilizzabili innovativi può sviluppare soluzioni e processi che soddisfano tutta la catena di approvvigionamento migliorandone la sostenibilità. Un esempio che ben chiarisce le potenzialità dell’approccio di sistema è la collaborazione nata recentemente tra RePack e la finlandese Axla Logistics. Quest’ultima che gestisce la completa logistica dell’e-commerce per i prodotti delle aziende clienti proporrà le buste di RePack agli acquirenti online, con benefici per entrambi i partner dell’accordo.

RePack e l’accordo con le poste francesi

Utilizzare la confezione più volte sembra la soluzione più sostenibile e ci sono Paesi, come la Francia, in cui si iniziano a vedere movimenti e iniziative concrete verso vari modelli di riutilizzo. La più grande compagnia postale in Francia, La Poste, ha firmato recentemente un accordo di collaborazione per un progetto di 9 mesi con la startup finlandese RePack che offre ai commercianti aderenti le proprie buste riutilizzabili. Una volta che il consumatore riceve il prodotto, le buste riutilizzabili, provviste di un’etichetta prepagata, vengono ripiegate e inviate all’azienda tramite posta ordinaria. RePack, che collabora con quasi 150 marchi e ha in circolazione 250mila pacchi in tutta Europa, pulisce e controlla la qualità dell’imballaggio prima di rimandarlo ai negozi e ai magazzini di distribuzione. RePack ha vinto recentemente il premio German Design Award 2021 nella categoria ‘Excellent Communication Design Packaging’ per la comunicazione presente sulle sue buste.

Nel 2020 si è registrata in Francia una crescita del settore dell’e-commerce del 32%, il doppio rispetto all’anno precedente e che ha generato circa 1,3 miliardi di pacchi consegnati. Un fenomeno in crescita che  ha probabilmente indotto La Poste a ripensare il proprio modello, considerato che gli imballaggi sono responsabili di una quota che compresa dal 10% al 30% delle emissioni di CO2 del commercio online.

A questo proposito va detto che la Francia, a differenza di altri Paesi, ha previsto con la sua legge anti-spreco (anti-gaspillage) per un’economia circolare del 2020 il perseguimento di obiettivi di riduzione e riutilizzo che nel caso degli imballaggi richiede ai produttori che il 5% degli imballaggi sia riutilizzabile entro il 2023 e che entro il 2027 si arrivi al 10% rispetto all’immesso al consumo.

In Olanda Robin, una piattaforma online con sede ad Amsterdam, offre il meglio di ciò che le boutique locali della città hanno da offrire e le consegne a domicilio avvengono in bicicletta. Per consegne fuori città Robin si avvarrà degli imballaggi riutilizzabili di RePack attraverso il servizio postale.

Le virtuose realtà d’Oltralpe

In Francia non c’è solo RePack che offre ai rivenditori online un sistema di riuso che non produce rifiuti e gestisce gli imballaggi in un ciclo continuo. La startup Hipli ha ideato delle buste riutilizzabili in tre formati in materiale sintetico impermeabile che stanno all’interno di una pochette con chiusura a cerniera che i clienti possono restituire facilmente per posta. La busta è progettata per essere utilizzata 100 volte che significa – secondo le stime di Hipli – circa 25 kg di rifiuti evitati. ll funzionamento è abbastanza semplice. Il rivenditore online che vuole aderire al sistema inserisce l’opzione riutilizzabile tra le modalità di spedizione. L’acquirente interessato che sceglie l’opzione è invitato a restituire l’imballaggio in modalità prepagata tramite servizio postale con la pochette che, una volta richiusa, presenta già l’indirizzo di spedizione prestampato. Il costo per il servizio di resa e manutenzione dell’imballaggio corrisponde a 2 euro ed è in genere sostenuto dal rivenditore online che può decidere se ribaltarlo sul cliente o meno.

“In pratica il 10% dei nostri partner non addebita il nostro servizio al cliente e gli altri parzialmente, in media il contributo è di 1 euro” spiega Anne-Sophie Raoult, co-fondatrice di Hipli. Attualmente Hipli conta un centinaio di piccole aziende clienti nel settore della moda, oggettistica e cosmetica con circa 100mila pochette in circolazione che hanno un tasso di restituzione dell’89%.

Un’altra startup francese ancora in fase di test è Opopop, che si propone di sostituire con le sue buste riutilizzabili in materiale sintetico 1 milione di pacchetti usa e getta entro tre anni e di ottenere un tasso di restituzione del 95%. Il servizio funziona con un sistema di deposito cauzionale digitale (con addebito di un importo di 5 euro qualora ‘imballaggio non sia reso entro 15 giorni) oppure nella modalità del pagamento “a consumo”, a un costo di 1,65 euro per ogni rotazione.

Chiudere la carrellata sulla Francia LivingPackets, con sedi a Nantes, Parigi e Berlino, che sta introducendo sul mercato europeo una tecnologia di imballaggio intelligente molto sofisticata. Si tratta di una scatola, “The Box”, progettata per compiere mille viaggi e che porta fino a 5 kg di peso, adatta per l’80% dei prodotti venduti online, come si può leggere sul sito. Questa Box incorpora un sistema per il fissaggio del carico e in più un display dove si possono inserire e aggiornare dati come l’indirizzo e altre informazioni rilevanti per la logistica. Dentro la scatola ci sono dei sensori e una telecamera integrata per monitorare il contenuto della spedizione e le condizioni ambientali a cui è esposto il carico: temperatura, umidità e possibili urti durante il trasporto. Il lancio del servizio – che l’azienda descrive come “packaging-as-a-service” – è partito all’inizio di quest’anno con accordi in via di definizione con le oltre mille potenziali aziende clienti in Francia e Germania, che hanno contattato LivingPackets manifestando interesse per il prodotto e il servizio offerto.

Anche negli Usa si sperimenta il riuso innovativo

Le startup statunitensi LimeLoop Returnity utilizzano entrambe un modello logistico decentrato e una tecnologia digitale sofisticata. Puntando a realizzare un modello di spedizione più digitale, LimeLoop usa dei sensori GPS inseriti nell’imballaggio, che tracciano le spedizioni e rivelano dati come l’apertura del pacco. Rivenditori e clienti finali possono interagire ulteriormente con l’imballaggio tramite un’app.

LimeLoop noleggia i propri contenitori “intelligenti” ai rivenditori online, tramite un servizio di abbonamento. I clienti che ricevono la merce acquistata utilizzano un’etichetta di spedizione prepagata per restituire l’imballaggio al magazzino del produttore più vicino tramite UPS.
Le confezioni prodotte da LimeLoop sono realizzate in vinile riciclato da vecchi cartelloni pubblicitari e sono riutilizzabili fino a 2000 volte.

Michael Newman, fondatore di Returnity, spiega bene la filosofia del progetto. “Affrontare il tema del packaging significa saper vedere un sistema – afferma – Non si tratta solamente di un prodotto, ma di  rocessi e partecipazione. Solamente da questa prospettiva mentale si potrà capire come funzionano gli imballaggi riutilizzabili all’interno dei sistemi”. Returnity fornisce soluzioni di imballaggio riutilizzabili alle aziende, che possono rimpiazzare una vasta gamma di imballaggi utilizzati nelle spedizioni personalizzandole: buste, scatole, borse, borsoni e porta-abiti progettati per risparmiare spazio e facilmente impilabili dopo l’uso. Robusti e realizzati in materiali riciclati, possono “resistere” a più di 40 spedizioni.

Returnity fornisce anche un sistema logistico integrato che include pulizia e manutenzione degli imballaggi riutilizzabili. Una piattaforma denominata “Returnity’s 3P Platform” supporta le aziende a fare la “scelta giusta” sotto l’aspetto operativo, economico e ambientale. La startup statunitense si avvale della partnership di Happy Returns, una rete di luoghi fisici che si occupa di spedire gli imballaggi resi dai clienti ai suoi hub regionali – in contenitori riutilizzabili anch’essi – dove vengono smistati e restituiti ai rivenditori. Le aziende che utilizzano il pacchetto completo di Happy Return, che include anche la gestione dei resi, risparmiano in media il 20% sulle spese di spedizione con un 10% nel primo anno, rispetto all’utilizzo di imballaggi monouso. I consumatori restituiscono l’imballaggio in soli 60 secondi e il rimborso è immediato. Negli Stati Uniti sono operativi oltre 700 punti di resa per i contenitori, con circa 15mila imballaggi in continua circolazione.

Dalla Norvegia all’Olanda, pacchi e pallet riutilizzabili 

Packoorang è un’azienda norvegese che fornisce un servizio di imballaggi riutilizzabili ai rivenditori online con due linee di prodotto: le “Packoorang Mailer Bags, buste in varie dimensioni e modelli che possono essere usate fino a 500 volte, e i pallet riutilizzabili Palloorang, adatti per settore del B2B. Packoorang  collabora inoltre con aziende partner che mettono a disposizione uno spazio fisico e possono fungere da centri di raccolta per gli imballaggi resi dagli utilizzatori del servizio. Lanciata nel 2019, l’azienda progetta le sue opzioni riutilizzabili in poliestere – con o senza imbottitura – a partire da bottiglie riciclate e altri scarti di fabbricazione del settore del tessile.

Il rivenditore che si affida al servizio di Packoorang sceglie le opzioni riutilizzabili più adatte ai propri prodotti che possono essere personalizzate. I clienti che scelgono l’imballaggio riutilizzabile lo rendono in modalità prepagata postale al centro logistico unificato o presso altri punti di raccolta. Dopo le usuali operazioni di controllo e pulizia gli imballaggi ripartono poi alla volta dei centri di distribuzione dei rivenditori online.

Fonte: Simone Fant e Silvia Ricci per Economiacircolare.com

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