Direttiva SUP: per l’Italia il recepimento può attendere

Nonostante i vari interventi del Ministro Cingolani apparsi sui media nelle settimane precedenti alla data di entrata in vigore della Direttiva sulle plastiche monouso SUP, l’Italia ha finito per non recepire la direttiva entro il termine del 3 luglio. Secondo indiscrezioni parrebbe che il decreto legislativo di recepimento finisca per slittare a dopo l’estate .

EuPC l’associazione che in Europa rappresenta i trasformatori europei di materie plastiche, nel comunicato stampa divulgato recentemente sulla SUP lamenta una situazione estremamente frammentata, con i singoli stati che procedono al recepimento in ordine sparso. Secondo l’associazione l’eterogeneità delle legislazioni nazionali e la pubblicazione tardiva delle Linee guida hanno contribuito, a rendere la situazione ancora più complicata e confusa.

Nella nota di EuPC si legge : “La Francia ha deciso di prendere una certa distanza dalle disposizioni della Direttiva e, dopo aver raccolto i riscontri di molte parti interessate, uno dei testi notificati è stato recentemente rinviato al legislatore nazionale per la modifica, causando ulteriori ritardi. L’Italia potrebbe essere l’unico Paese a prendere la discutibile decisione di escludere i prodotti in plastica a base biologica dal campo di applicazione della legge di recepimento, mentre in Svezia il ritardo sembra essere uno scenario inevitabile a causa dell’altissimo numero di risposte che la bozza del testo di la normativa nazionale ricevuta dai portatori di interessi. Molti paesi come la Romania e la Bulgaria non hanno ancora compiuto passi concreti verso il recepimento.”

La direttiva sulle materie plastiche monouso – prosegue la nota – “è un atto legislativo europeo peculiare che lascia ampio spazio di interpretazione ai legislatori nazionali. Gli Stati membri stanno sviluppando interpretazioni dissimili di molti concetti cardine, che alla fine causeranno l’impossibilità di preservare l’obiettivo finale dell’armonizzazione in tutta l’Unione europea.”

Il Rapporto della coalizione Break Free from Plastics

Una panoramica sullo stato dell’arte del recepimento da parte degli Stati membri dell’UE della direttiva SUP la offre il recente rapporto “Moving on from single-use plastics: how is Europe doing? ” Assessment of European countries’ transposition of the Single Use Plastics Directive, frutto del lavoro congiunto di Zero Waste Europe, Surfrider Europe, Rethink Plastic Alliance e Seas at Risk.

Se l’Europa vuole davvero allontanarsi dalla plastica monouso e avvicinarsi all’economia circolare – si legge nella relazione – il livello di ambizione negli Stati membri che emerge rimane nel complesso insufficiente. Solo cinque paesi (Estonia, Francia, Grecia, Irlanda e Svezia) hanno mostrato di volere esplorare appieno il potenziale offerto dalla direttiva nell’eliminazione graduale della plastica monouso andando persino oltre ai requisiti imposti.

Il resto degli Stati membri ha adottato solamente i requisiti minimi o, peggio ancora, non ha adottato alcuna (o molte) delle misure previste. Inoltre, in molti paesi, il processo di recepimento è ancora in corso – come in Belgio, Finlandia, Ungheria, Italia, Lussemburgo, Portogallo e Spagna – o è appena iniziato come nel caso di Bulgaria, Repubblica Ceca, Polonia e Romania.

Le nove raccomandazioni del rapporto delle ONG ai paesi membri per un recepimento ottimale della direttiva
La relazione, sottolineando che la transizione verso prodotti e modelli aziendali basati sulla prevenzione e il riutilizzo non può più essere ritardata invita gli Stati membri a:

  • Garantire la piena attuazione e applicazione dei divieti contenuti nella direttiva in tutta l’UE ed estendere i divieti ad altri articoli monouso in plastica;
  • Prevenire spiacevoli sostituzioni dei materiali adottando misure per garantire che gli articoli vietati siano sostituiti con alternative riutilizzabili, piuttosto che con prodotti monouso in altro materiale;
  • Fissare obiettivi di riduzione quantitativi ambiziosi per altri articoli non vietati per ridurne il consumo e promuovere il riutilizzo: come bicchieri e tazze per bevande, contenitori da asporto per alimenti pronti al consumo, ma anche altri articoli come involucri da imballaggio e salviette umidificate;
  • Introdurre quanto prima, e al più tardi entro il 2024, regimi di Responsabilità Estesa del Produttore (EPR) pienamente vincolanti che includano una forte eco-modulazione dei contributi ambientali a carico dei produttori, che coprano almeno i costi completi tra raccolta, trattamento, pulizia ambientale causati dal fine vita dei loro prodotti e le iniziative di sensibilizzazione;
  • Fissare obiettivi minimi di contenuto riciclato per gli articoli in plastica di almeno il 50% per le bottiglie e del 30% (minimo) per gli altri articoli;
  • Implementare sistemi di depositi per contenitori di bevande o aumentare le prestazioni dei sistemi esistenti in modo che: a) raggiungano al più presto il 90% di raccolta differenziata delle bottiglie; b) includano bottiglie di plastica, lattine per bevande e bottiglie di vetro; c) includano sia bottiglie di bevande ad uso singolo che ricaricabili (vuoto a rendere).
  • Attuare e far rispettare pienamente i requisiti di marcatura della Direttiva;
  • Mettere in atto misure di sensibilizzazione per i cittadini incentrate sugli impatti ambientali e sulla salute della plastica monouso, sulla necessità di ridurre i consumi, e sulla disponibilità di alternative riutilizzabili per sostituire il monouso;
  • In contemporanea con l’adozione delle misure individuate garantire un’accurata raccolta e monitoraggio dei dati onde potere valutare e/o adeguare le misure, per migliorare l’efficacia.

Senza volere mettere il carro davanti ai buoi, e ammesso che quanto riportato nella scheda sull’Italia non venga smentito nel decreto di recepimento, non ci sono per ora indizi sulla volontà da parte italiana di volere accogliere buona parte di queste raccomandazioni.

Nel capitoletto “Main Issues” colpisce in negativo la scelta di affidare ad accordi volontari tra soggetti pubblici e privati gli obiettivi di riduzione dei consumi. Esiste infatti sufficiente evidenza storica a documentare l’inefficacia di accordi e protocolli di riduzione dei rifiuti che si sono susseguiti negli ultimi anni tra regioni/provincie/comuni ed associazioni di categoria, o altri interessi privati.

Tutti accordi spesso basati su generici obbiettivi di riduzione dei rifiuti tra le parti che non prevedevano neanche una misurazione reale del consumo che si voleva andare a ridurre e che a distanza di un annetto finivano nel nulla.
A questo proposito viene ripreso nel capitoletto “Missing measures” il fatto che l’Italia non ha presentato un piano nazionale di misure con obiettivi di riduzione (ambiziosi) per gli articoli parte dell’allegato A, tra i quali tazze e bicchieri per bevande e contenitori di cibo da asporto. Come baseline per valutare il raggiungimento degli obiettivi previsto nel 2026 (art.4 della SUP) si dovrà considerare il consumo di questi articoli che si avrà nel 2022.

Difatti, come ha sintetizzato Paolo Azzurro, consulente tecnico in materia di rifiuti e di economia circolare nell’intervista ad EconomiaCircolare.com entro il 3 luglio 2021 l’Italia avrebbe dovuto predisporre e notificare alla Commissione una descrizione delle misure adottate allo scopo, che, come specificato nel testo della Direttiva, possono comprendere la fissazione di obiettivi nazionali di riduzione del consumo; disposizioni volte ad assicurare che siano messe a disposizione del consumatore finale presso i punti vendita alternative riutilizzabili, strumenti economici per evitare che tali prodotti siano forniti gratuitamente nei punti vendita al consumatore finale, come successo con i sacchetti e così via…”.

Infine sempre al punto “Missing Measures” nella scheda viene anche ripresa l’intenzione espressa dall’Italia di esentare dal campo di applicazione della direttiva gli articoli vietati come piatti, posate e cannucce qualora realizzati con bioplastiche biodegradabili e compostabili certificate UNI EN 13432, ove le opzioni riutilizzabili non possono essere impiegate. L’Italia – si legge – richiederebbe questa deroga considerando che ha una filiera virtuosa del rifiuto organico come raccolta e trattamento e che la riconversione della propria industria chimica deve essere valorizzata. Resta da vedere se la Commissione Europea interverrà.

Nella parte invece dedicata ai “Positive Developments” dove si trovano alcune dichiarazioni generali di intenti si legge che “Con decreto del ministero all’ambiente saranno inoltre istituiti diversi DRS (Deposit Return System) per la raccolta differenziata di bottiglie per bevande e altri prodotti monouso categorie soggette all’articolo 8 della direttiva sulla Responsabilità Estesa del Produttore EPR”. Speriamo di vedere presto misure in tal senso, e che parlando di DRS si intenda un sistema di deposito nazionale per contenitori di bevande in plastica, metallo e vetro che prenda esempio dai sistemi nazionali di maggiore successo europei.

Un parere da Bruxelles

Pascal Canfin, europarlamentare del gruppo centrista Renew, presidente della commissione ambiente intervistato da Domani qualche giorno fa, ha fatto delle considerazioni molto interessanti. L’europarlamentare ha vissuto da vicino i tentativi fatti da parte italiana, e in particolare nelle ultime settimane da parte del ministro Cingolani, per convincere le istituzioni europee sulla fondatezza della “linea italiana” nel recepimento della direttiva,

Sostanzialmente Canfin afferma nell’intervista che non è ancora possibile “fidarsi delle bioplastiche” perché non sono biodegradabili nell’ambiente e in Commissione non vogliono correre rischi, bensì essere certi che questi materiali non portino ad impatti paragonabili a quelli che hanno poi avuto le plastiche tradizionali. D’altronde – spiega Canfin – c’è stata una valutazione tra i pro e i contro che l’utilizzo delle bioplastiche presenta basata sullo stato dell’arte a livello europeo della raccolta e trattamento di questi materiali che ha spinto l’Europa a trattare le bioplastiche come le altre plastiche. “Non possiamo dare un assegno in bianco alle tecnologie italiane, rinunceremmo a tutti gli obiettivi di riduzione d’impatto. Con quale livello di riciclo e in quanto tempo possiamo fidarci abbastanza della raccolta da poter considerare le bioplastiche sostenibili? Cinque, dieci, quindici anni, dipende dagli effetti della direttiva. E non c’è una percentuale di riciclo oggi considerata accettabile, dipende dal prossimo ciclo di legislazione sull’economia circolare”.

A dire il vero un assegno in bianco alle nostre tecnologie ancora non ce lo meritiamo perché un conto è la biodegradazione dei sacchetti compostabili (che contengono l’organico negli impianti di compostaggio) , altro paio di maniche è la gestione di quantità crescenti di manufatti tra stovigliame, posate, capsule da caffè e altri imballaggi. Gli impianti hanno tecnologie e cicli di trattamento “tarati” sul trattamento dello scarto organico che non sarà banale, e neanche a costo zero, adattare o riprogrammare. Ma ci sono anche altre criticità e la confusione dei cittadini da affrontare qualora aumentassero i manufatti compostabili che sono state puntualmente riprese nel documento La gestione e il recupero delle bioplastiche disponibile sul sito di Utilitalia.

Tornando all’intervista la conclusione di Canfin non lascia spazio ad eventuali speranze sul fare cambiare idea all’Europa, almeno nel breve termine “Lo ripeto: una stoviglia di plastica bio su una spiaggia non fa nessuna differenza, dovrebbe essere nel vostro interesse capirlo, vista l’estensione della costa e l’importanza del turismo. Ne riparleremo solo quando i livelli di riciclo saranno cresciuti. In quel momento vi troverete leader di una tecnologia nuova. Ma quel momento non è ora, mi dispiace. È un peccato vedere un paese così minacciato dall’inquinamento marino cercare di essere un’eccezione nella protezione del mare, non vedo come gli italiani possano essere fieri di questo.

Sul punto dell’inquinamento da plastica del Mediterraneo va precisato per chi ha letto sui media che l’Italia non ha grandi responsabilità sulla dispersione della plastica nei mari che l’evidenza ci dice tutt’altro. Sono almeno tre gli studi recenti che hanno individuato nell’Italia e nella Turchia i paesi maggiormente responsabili del marine littering nel Mediterraneo.

Insomma per quanto l’Italia abbia investito nel settore delle bioplastiche (e monouso in genere), essere in Europa significa prendere atto della realtà comunitaria e prepararsi come paese a cogliere invece le opportunità economiche che possono nascere dai modelli economici circolari. Modelli in cui le risorse non vengono sprecate in un solo utilizzo e consentono una crescita economica disaccoppiata dal consumo di risorse, con provati vantaggi occupazionali.

Un obiettivo che oltretutto siamo obbligati a perseguire se non vogliamo estinguerci, e dovremmo cominciare a lavorarci da subito. Banalmente perché siamo nel bel mezzo di una crisi climatica e delle risorse con poco più di una decina di anni a disposizione per invertire drasticamente la rotta.

Fonte: Silvia Ricci per comunivirtuosi.org

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