Rifiuti in plastica, continuando così non raggiungeremo gli obiettivi europei di riciclo

Con i nuovi e più rigidi criteri di misura il tasso di riciclaggio degli imballaggi di plastica dell’Ue potrebbe anzi diminuire, passando dal 42% attuale al 29% circa

La plastica è un materiale che come pochi altri ha rivoluzionato la modernità, e sembra che sia ormai impossibile farne a meno. Eclettica, economica e durevole, quasi tutta la plastica viene però ancora oggi prodotta da fonti non rinnovabili (petrolio) e pone serie sfide ambientali: senza sistemi di produzione e gestione post-consumo migliori – come evidenzia l’analisi della Corte dei conti europea pubblicata oggi – ne saremo presto sommersi.

«Facendo rinascere le abitudini dell’usa e getta a causa di preoccupazioni di ordine sanitario, la pandemia di Covid-19 – dichiara Samo Jereb, responsabile dell’analisi – dimostra che la plastica continuerà ad essere un pilastro delle nostre economie, ma anche una minaccia ambientale sempre più grave».

Qualche numero è necessario per inquadrare meglio la situazione. Nel mondo la domanda di plastica è quasi raddoppiata nell’ultimo ventennio, tanto che metà di tutta la plastica presente oggi sulla Terra è stata prodotta a partire dal 2005; le economie in via di sviluppo ne usano sempre di più, ma è in quelle avanzate – come la nostra – i consumi pro capite sono ancora 20 volte più alti.

Molta, troppa di questa plastica una volta usata finisce per inquinare. Ogni anno viene immessa nell’oceano una quantità di rifiuti di plastica compresa tra 4,8 a 12,7 milioni di tonnellate, e anche in Europa l’85% circa dei rifiuti marini rinvenuti sulle spiagge è di plastica (per il 43% di tratta di plastica monouso, per il 27% da attrezzi da pesca).

Pur con tutti i suoi limiti, l’Ue già oggi può vantare il più elevato tasso di riciclaggio della plastica (per tutti i tipi di rifiuti di plastica considerati complessivamente) tra le economie avanzate, ma a guardarlo bene si tratta di un risultato assai modesto.

Il problema principale sta negli imballaggi: è in questo comparto che si concentra il 40% della produzione di plastica e il 61% del totale dei rifiuti di plastica generati nel Vecchio continente. I dati disponibili mostrano che il tasso di riciclaggio degli imballaggi di plastica europei potrebbe addirittura diminuire nel breve termine, passando dal 42% attuale al 29% circa a causa dei più rigorosi metodi di rendicontazione introdotti con la nuova direttiva sugli imballaggi (appena recepita in Italia): lo vedremo con le prime relazioni (concernenti il 2020) previste per giugno 2022.

Quel che già sappiamo è che la quantità di imballaggi in plastica non riciclati è rimasta relativamente stabile – circa 9,5 milioni di tonnellate all’anno – negli ultimi 5 anni, e che per raggiungere gli obiettivi stabiliti prima dalla strategia Ue sulla plastica e successivamente dalla già citata direttiva (riciclo al 50% nel 2025 e al 55% nel 2030) c’è molto da lavorare. Anche in Italia: nel 2019, secondo i dati comunicati da Corepla, il 43,39% degli imballaggi plastici immessi al consumo è stato avviato a riciclo e il 48,63% a recupero energetico.

«Per raggiungere i nuovi valori-obiettivo in materia di riciclaggio degli imballaggi di plastica, l’Ue – sottolinea Jereb – deve invertire l’attuale situazione, nella quale le quantità incenerite sono maggiori di quelle riciclate. Si tratta di una sfida difficilissima».

Questo, beninteso, non significa rinunciare alla termovalorizzazione bensì rimetterla al suo posto individuato dalla gerarchia Ue (dopo il riciclo e prima della discarica). Come ricorda al proposito la stessa Corte, il “rilascio di alcune emissioni (dovute alla combustione della plastica, ndr) può essere compensato dalla produzione di energia, che riduce il bisogno di altre forme di generazione di energia”.

Come migliorare la situazione? Una bacchetta magica naturalmente non c’è. Secondo il report, ad esempio, il riciclo chimico è per ora nella fase di ricerca: “Non si tratta ancora di un’opzione per il trattamento dei rifiuti percorribile, né in termini tecnologici né in termini economici”. E i sistemi di cauzione-rimborso per alcuni imballaggi, come le bottiglie in Pet? Permettono di aumentare la raccolta differenziata e anche migliorare la qualità di questa frazione raccolta, tuttavia possono “comportare dei costi, diretti e indiretti, e rendere più complessi i sistemi di gestione dei rifiuti degli Stati membri”: il costo annuale della gestione del sistema tedesco di cauzione-rimborso è stimato ad esempio in circa 800 milioni di euro, e al contempo come noto nel Paese c’è un ampio ricorso alla termovalorizzazione per gestire le frazioni plastiche che restano fuori dal circuito e sono più difficili da riciclare.

Quel che serve è dunque un approccio ad ampio spettro: ridurre la produzione di plastica monouso (come peraltro stabilito dalla direttiva Ue in materia), intervenire a livello di ecodesign dei prodotti (oltre l’80% di tutti gli impatti ambientali connessi ai prodotti hanno origine nella fase di progettazione), migliorare i regimi di responsabilità estesa del produttore (Epr), e creare un mercato adeguato per i prodotti in plastica riciclata (in Italia la normativa sul Gpp è storicamente disattesa).

Soprattutto, per l’immediato quanto per il futuro, è necessario investire in educazione civica – pochi incivili determinano la dispersione dei rifiuti plastici nell’ambiente, a danno di tutti – e in una dotazione impiantistica adeguata per riciclare e/o smaltire i nostri scarti. Ad oggi ad oggi le spedizioni di rifiuti di imballaggio di plastica rappresentano addirittura un terzo del tasso di riciclaggio, nonostante nei fatti il trattamento nei paesi terzi provochi spesso pressioni ambientali maggiori.

Raggiungere un’economia più circolare, del resto, porterebbe a grandi vantaggi non “solo” dal punto di vista ambientale ma anche da quello occupazionale: come osserva la Corte “L’ulteriore sviluppo dell’industria del riciclaggio e l’adattamento del mercato a princìpi di circolarità più rigorosi, soprattutto con l’integrazione della plastica riciclata nei nuovi prodotti, potrebbe creare posti di lavoro e offrire alle imprese dell’Ue, in alcuni settori, i vantaggi riservati ai primi arrivati”.

Fonte: Greenreport

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