Perché l’Italia rischia di perdere il vuoto a rendere

In Germania funziona da anni. Ora lo vara Londra. Ma da noi non decolla il compenso in denaro a chi restituisce lattine e bottiglie in alluminio, plastica e vetro. Perché la norma del 2017 scontenta tutti

La speranza di un ritorno al passato per ora è vuota. Come i depositi di bottiglie di ristoranti ed esercenti. Perché se negli anni Ottanta l’Italia faceva scuola con il vuoto a rendere, per ora il BelPaese che prova a riusare e rigenerare è rimasto al palo rispetto al resto d’Europa.
Anche in Inghilterra il governo ha appena deciso di investire nel vuoto a rendere, con l’obiettivo di spingere i britannici che consumano 13miliardi di bottiglie di plastica a imparare a restituire i contenitori di qualsiasi materiale in cambio della restituzione di una cauzione. In Germania, dove da più di 10 anni il sistema funziona, il riciclo è intorno al 97%, cifra simile a quella dei paesi Scandinavi. Obbligo per gli esercenti e macchinette che pagano a suon di bottiglie inserite.
E noi? Nella lotta ai rifiuti, con la plastica che devasta mari e campagne, l’Italia dal 10 ottobre scorso, grazie a un decreto, ha rilanciato l’idea di compensare con qualche centesimo di euro(da 5 a 30 cent) chi riporta i contenitori di vetro e plastica usati. Un progetto però privo di struttura, con troppi oneri per bar o ristoranti costretti ad attrezzarsi con depositi e magazzini, e che infatti non funziona.
Un anno di sperimentazione su base “volontaria”, gli esercizi che lo applicano garantiti da una “etichetta green” (ma che nessuno sa com’è fatta), perfino un registro di “esercenti, distributori e produttori di bevande” dove iscriversi sul sito del ministero. Cinque mesi dopo il via l’iniziativa zoppica vistosamente: nel registro sono iscritte appena 20 aziende e, secondo la Fipe, federazione dei pubblici esercizi Confcommercio, tranne poche eccezioni il piano ha costi di gestione troppo elevati.
«La norma era ottima, ma è stata boicottata dal mondo delle imprese e il ministero dell’Ambiente non ha fatto nulla per fermare il boicottaggio» dice invece Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, secondo cui per le industrie di bevande e packaging il riuso non genera ricavi. «Il ministero non l’ha mai promossa davvero: nessuna campagna informativa e la famosa etichetta green nemmeno sappiamo come è fatta». Insomma ci si sarebbe mossi “all’italiana”, con il risultato di una scarsa adesione. «L’inversione di tendenza», continua Ciafani, «sarà possibile solo se il nuovo governo farà un decreto serio puntando sull’economia circolare: i consumatori che riportano indietro il vuoto vanno premiati economicamente».
Per Corepla, consorzio nazionale raccolta, riciclo e recupero degli imballaggi in plastica, il tentativo italiano porta benefici solo alla grande distribuzione. «Per organizzare un vuoto a rendere che funzioni non basta un progetto improvvisato» dice il presidente Antonello Ciotti. «Alla Germania questo è costato un investimento di 2 miliardi di euro, da noi è su base “volontaria”… Il sistema varato in Italia va studiato meglio perché così com’è penalizza i piccoli esercenti e i cittadini».
Con pochi benefici (economici) e troppi costi di gestione la normativa è un boomerang per chi deve promuoverla. «Nella ristorazione, su acque minerali e birra, qualcosa si è mosso, ma nei bar, che rappresentano il 90% della vendita di bevande, quasi nessuno si è organizzato con i depositi perché ci si perde e basta: pensi cosa vuol dire attrezzarsi per un magazzino, i costi per il personale, per l’igiene» dice Aldo Mario Cursano, vice presidente Fipe. «Fino all’invasione della plastica ci basavamo sulla rigenerazione, dal bicchiere alle tovaglie. Poi sono arrivati i fast-food, i take away e il monouso: allora l’impatto ambientale è diventato accessorio. Così oggi chi fa il riuso spende, chi usa e getta invece ci risparmia. Un fast food in 10-15 mq paga 300 euro di nettezza urbana, io che ho un ristorante con deposito per vuoto a rendere ne pago 13.200 euro. O diamo incentivi per sgravare chi recupera i rifiuti, o hai voglia a cambiare a suon di 0,5 centesimi restituiti».

Fonte: Giacomo Talignani per la Repubblica

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